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Misure alternative: no se il percorso non è convinto

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto contro il diniego delle misure alternative alla detenzione. La decisione si fonda sulla valutazione di un elevato e attuale rischio di recidiva, desunto da comportamenti negativi recenti e da un’osservazione psicologica che evidenziava una mancata, genuina revisione critica del proprio passato criminale, ritenendo tali elementi ostativi alla concessione di qualsiasi beneficio.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure alternative alla detenzione: perché non bastano i buoni propositi?

L’accesso alle misure alternative alla detenzione rappresenta un punto cruciale nel percorso di reinserimento sociale di un condannato. Tuttavia, la loro concessione non è automatica ma subordinata a una valutazione rigorosa della personalità del soggetto e del suo percorso di cambiamento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito che, per ottenere benefici come l’affidamento in prova, non è sufficiente una condotta formalmente corretta, ma è indispensabile dimostrare un’autentica revisione critica del proprio passato e l’assenza di un concreto rischio di recidiva.

I Fatti del Caso

Un detenuto si vedeva rigettare dal Tribunale di Sorveglianza la richiesta di espiare la pena tramite una misura alternativa (affidamento in prova, semilibertà o detenzione domiciliare). La decisione del Tribunale si basava su elementi specifici e recenti: comportamenti negativi che avevano portato prima alla revoca del lavoro all’esterno e poi alla sospensione dei permessi premio. Inoltre, l’osservazione psicologica aveva sollevato seri dubbi sulla reale capacità del soggetto di rimettere in discussione criticamente le proprie scelte devianti.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Contro questa decisione, il detenuto proponeva ricorso in Cassazione, lamentando principalmente che il Tribunale avesse ignorato gli aspetti positivi del suo percorso, come la condotta carceraria ineccepibile negli ultimi due anni e la maturata consapevolezza dei propri errori. Secondo la difesa, i giudici avrebbero errato nel valorizzare episodi negativi non recentissimi, trascurando invece le relazioni più aggiornate che testimoniavano un progresso nel percorso di risocializzazione.

Le Motivazioni della Cassazione: No alle misure alternative alla detenzione senza un cambiamento reale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la validità della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno chiarito un principio fondamentale: per la concessione delle misure alternative alla detenzione, non basta l’assenza di elementi negativi, ma è necessario accertare in positivo l’esistenza di un’evoluzione della personalità che renda possibile un giudizio prognostico favorevole.

Il giudice deve verificare che il soggetto abbia avviato un processo di revisione critica del proprio passato. Questo processo non deve essere solo formale, ma genuino e profondo. Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente valorizzato elementi ostativi concreti e attuali:

1. Condotte Antigiuridiche Recenti: Il compimento di atti illeciti in un’epoca tutt’altro che remota (anno 2022) e la commissione di un reato di considerevole allarme sociale durante la detenzione (anno 2019).
2. Esiti dell’Osservazione Psicologica: Le relazioni psicologiche, pur riconoscendo alcuni progressi, evidenziavano la tendenza del condannato a mantenere un’immagine di sé da ‘furbetto’, con una propensione a comportamenti riprovevoli. Ciò indicava l’esigenza di un approfondimento della personalità, incompatibile con la concessione immediata di benefici.

Questi fattori, nel loro insieme, delineavano un quadro di inaffidabilità e un elevato, attuale e concreto rischio di recidiva, rendendo il condannato non idoneo per nessuna delle misure alternative richieste, comprese la semilibertà e la detenzione domiciliare.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce che la valutazione per la concessione delle misure alternative è un giudizio complesso che non può basarsi solo sulla buona condotta intramuraria o su dichiarazioni di intenti. È necessaria una prova tangibile di cambiamento. La persistenza di tratti di personalità problematici e la commissione di illeciti recenti sono indicatori potenti di un rischio di recidiva che il sistema giudiziario non può ignorare. Per il legislatore e per i giudici, l’obiettivo primario delle misure alternative resta la risocializzazione, ma questa può essere raggiunta solo quando il percorso del condannato è credibile, convinto e supportato da elementi concreti che ne attestino l’irreversibilità.

Per ottenere le misure alternative alla detenzione è sufficiente una buona condotta in carcere?
No. La sentenza chiarisce che una condotta formalmente corretta non è sufficiente. È necessario un giudizio prognostico positivo che si basi su elementi concreti che dimostrino un’evoluzione della personalità e l’avvio di un serio processo di revisione critica del proprio passato, tale da escludere un concreto e attuale rischio di recidiva.

Cosa valuta il giudice per concedere l’affidamento in prova e altre misure simili?
Il giudice valuta la personalità del soggetto nel suo complesso, analizzando il comportamento tenuto dopo i fatti per cui è stato condannato. Deve accertare in positivo la presenza di elementi che consentano di prevedere un buon esito della misura e la prevenzione di futuri reati, come una genuina revisione critica del passato e l’assenza di inaffidabilità.

Perché il ricorso del detenuto è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le critiche mosse alla decisione del Tribunale non denunciavano vere e proprie violazioni di legge, ma si limitavano a proporre una diversa interpretazione dei fatti. Tale attività di valutazione del merito è riservata ai giudici di primo e secondo grado e non può essere oggetto del giudizio della Corte di Cassazione, che si occupa solo della corretta applicazione della legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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