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Misure alternative: no se c’è rischio di recidiva

La Corte di Cassazione ha confermato il diniego di misure alternative alla detenzione per un condannato, sottolineando che un’elevata pericolosità sociale e un concreto rischio di recidiva giustificano la permanenza in carcere. La decisione si basa su precedenti penali, pendenze giudiziarie e la mancanza di una prospettiva lavorativa, elementi sufficienti a formulare un giudizio prognostico negativo anche in assenza della relazione dei servizi sociali.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure Alternative: Quando il Rischio di Recidiva Chiude le Porte del Carcere

La concessione di misure alternative alla detenzione rappresenta un pilastro del sistema penitenziario moderno, orientato alla rieducazione del condannato. Tuttavia, l’accesso a benefici come l’affidamento in prova o la detenzione domiciliare non è automatico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 35474/2024) ha ribadito un principio fondamentale: in presenza di un’elevata pericolosità sociale e di un concreto rischio di recidiva, il diniego di tali misure è pienamente legittimo. L’analisi del caso offre spunti cruciali su come i giudici bilanciano le finalità rieducative della pena con le esigenze di sicurezza della collettività.

I Fatti del Caso

Un giovane condannato, con un residuo di pena di circa un anno e sette mesi per reati legati agli stupefacenti, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, la detenzione domiciliare. Il Tribunale rigettava la richiesta, motivando la decisione sulla base della spiccata pericolosità sociale del soggetto. Gli elementi a sostegno di tale valutazione erano molteplici: l’essere già agli arresti domiciliari per gravi delitti commessi in passato, la presenza di altri procedimenti penali pendenti per reati analoghi e una serie di informazioni di polizia che attestavano una fitta attività criminale. Inoltre, la mancanza di un’attività lavorativa stabile veniva interpretata come un indizio del fatto che il condannato si mantenesse abitualmente con proventi illeciti.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa del condannato impugnava la decisione del Tribunale di Sorveglianza, lamentando vizi di legge e di motivazione. Secondo il ricorrente, i giudici non avevano tenuto conto della mancata presa in carico da parte dell’UEPE (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna), la cui relazione è fondamentale per valutare la personalità e l’idoneità del soggetto alle misure richieste. Si contestava inoltre che la pericolosità sociale fosse stata desunta unicamente dai precedenti penali, peraltro riconducibili a un unico disegno criminoso. Infine, la difesa riteneva illogica la valutazione sulla mancanza di lavoro, dato che il suo assistito si trovava agli arresti domiciliari, circostanza che di per sé ostacola la ricerca di un’occupazione.

La Valutazione delle Misure Alternative e la Pericolosità Sociale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici supremi hanno chiarito che, sebbene la relazione dell’UEPE sia uno strumento utile, la sua assenza non impedisce al Tribunale di Sorveglianza di decidere qualora disponga già di elementi sufficienti per un giudizio negativo. Entrambe le misure alternative richieste sono concedibili solo se il giudice ritiene che possano prevenire il pericolo di commissione di nuovi reati. Una valutazione negativa su questo punto è di per sé sufficiente a giustificare il diniego.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La decisione della Suprema Corte si fonda su un’analisi logica e coerente degli elementi a disposizione.

Il Giudizio Prognostico Negativo

Il fulcro della motivazione risiede nel giudizio prognostico negativo. La Corte ha affermato che è legittimo fondare tale giudizio su una rilevante propensione a delinquere, dimostrata non solo dai precedenti penali ma anche dalle pendenze giudiziarie. Nel caso specifico, la reiterazione di gravi reati a scopo di lucro, protrattasi fino a tempi molto recenti, costituiva una base solida per ritenere che qualsiasi misura alternativa sarebbe stata inidonea a prevenire il rischio di recidiva. La gravità e la continuità dell’attività criminale giustificavano pienamente la valutazione di elevata pericolosità sociale.

La Mancanza di una Prospettiva Lavorativa

Un altro punto cruciale è stata la valutazione della mancanza di un lavoro. La Corte ha sottolineato che l’assenza di un’occupazione lecita e di un impegno concreto per procurarsela non è un dettaglio trascurabile. Anzi, viene vista come un elemento che conferma il giudizio prognostico negativo. Il fatto che il ricorrente avesse solo preso contatti preliminari per attività di volontariato, senza mai aver intrapreso passi concreti per trovare un lavoro retribuito, è stato interpretato come un indicatore della sua scarsa volontà di abbandonare uno stile di vita basato sul crimine.

Le Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza un principio cardine nell’esecuzione della pena: le misure alternative sono uno strumento di rieducazione, non un diritto incondizionato. La loro concessione è subordinata a un’attenta valutazione prognostica che deve dare esito positivo. Quando elementi concreti, come una storia criminale significativa e la mancanza di un progetto di vita legale, delineano un profilo di elevata pericolosità sociale e un alto rischio di recidiva, il giudice ha il dovere di negare il beneficio per tutelare la sicurezza pubblica. La decisione dimostra come il sistema giudiziario bilanci la speranza di recupero del singolo con la necessità di proteggere la società.

Un giudice può negare le misure alternative anche senza la relazione dei servizi sociali (UEPE)?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che, sebbene la relazione dell’UEPE sia importante, il Tribunale di Sorveglianza può decidere autonomamente di rigettare la richiesta se possiede già elementi sufficienti per formulare un giudizio negativo sulla pericolosità del condannato e sul rischio che commetta nuovi reati.

Quali elementi sono decisivi per valutare il rischio di recidiva?
Secondo la sentenza, il rischio di recidiva viene valutato sulla base di elementi concreti come i precedenti penali, i procedimenti giudiziari in corso, la gravità e la frequenza dei reati commessi (specialmente se recenti e a scopo di lucro), e la mancanza di una stabile prospettiva lavorativa, che può indicare una dipendenza da attività illecite per il proprio sostentamento.

La mancanza di un lavoro può impedire la concessione di una misura alternativa?
Sì, può essere un fattore determinante. La Corte ha considerato la mancanza di un lavoro e di un impegno concreto per trovarlo come un elemento che conferma un giudizio prognostico negativo. Viene interpretato come un segnale che il condannato non ha ancora sviluppato un progetto di vita alternativo al crimine, rendendo inadeguata una misura esterna al carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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