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Misure alternative: no se c’è rischio di recidiva

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale di Sorveglianza di negare le misure alternative alla detenzione (affidamento in prova e detenzione domiciliare) a un soggetto condannato. La richiesta è stata respinta a causa dell’elevato e attuale rischio di recidiva, desunto dai numerosi precedenti penali e dalla commissione di nuovi gravi reati, anche dopo aver già beneficiato in passato di un affidamento in prova. La Corte ha ritenuto irrilevante la lamentata assenza di una specifica relazione dell’UEPE, poiché la decisione si fondava su altri elementi sufficienti a delineare la pericolosità sociale del condannato.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure Alternative e Rischio di Recidiva: La Decisione della Cassazione

Le misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova al servizio sociale, rappresentano uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la loro concessione non è automatica e dipende da una valutazione attenta della personalità del soggetto e delle probabilità di successo del percorso rieducativo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 35924/2025) ha ribadito un principio cruciale: un elevato e concreto rischio di recidiva costituisce un ostacolo insormontabile all’applicazione di tali benefici.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato trae origine dal ricorso di un condannato avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Messina, che aveva respinto la sua richiesta di affidamento in prova o, in subordine, di detenzione domiciliare. La richiesta era relativa a una pena di 4 mesi di reclusione per violazione dell’art. 349 del codice penale.

Il ricorrente lamentava che la decisione del Tribunale fosse viziata, in particolare per non aver acquisito una relazione dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE), ritenuta indispensabile per una corretta valutazione. Sosteneva, inoltre, che il Tribunale si fosse basato su formule di stile e su precedenti penali risalenti nel tempo, senza considerare la sua attuale condizione.

La Decisione della Corte: il Rigetto delle Misure Alternative

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo le censure infondate e confermando la legittimità della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Secondo gli Ermellini, il diniego delle misure alternative era correttamente motivato sulla base di un’analisi approfondita e concreta della pericolosità sociale del condannato.

La Corte ha sottolineato che per la concessione dell’affidamento in prova non è sufficiente l’assenza di elementi negativi, ma è necessario accertare in positivo l’esistenza di elementi che supportino un giudizio prognostico favorevole, ovvero la ragionevole previsione che il soggetto si asterrà dal commettere nuovi reati.

Le Motivazioni: Perché il Rischio di Recidiva Prevale

Il fulcro della decisione risiede nella valutazione del rischio di recidiva, che il Tribunale prima e la Cassazione poi hanno giudicato “elevato, attuale e concreto”. Questa valutazione non era astratta, ma fondata su elementi sintomatici specifici e convergenti:

1. I Numerosi Precedenti Penali: Il condannato presentava un curriculum criminale significativo, che delineava una personalità incline a delinquere.
2. La Condotta Recente: Il Tribunale ha valorizzato le ripetute condotte antigiuridiche tenute in epoca recente (fino al 2024), talmente gravi da aver giustificato l’applicazione della custodia cautelare in carcere.
3. La Commissione di Nuovi Reati Gravi: Elemento decisivo è stata la commissione, anche dopo un precedente affidamento in prova conclusosi positivamente, di reati di considerevole allarme sociale (detenzione di stupefacenti), per i quali era già intervenuta una condanna in primo grado a una pena significativa (4 anni e 8 mesi di reclusione).

La Cassazione ha chiarito che, a fronte di un quadro così allarmante, l’omessa acquisizione di una specifica relazione dell’UEPE non inficiava la validità della decisione. Il Tribunale, infatti, aveva adempiuto al suo onere acquisendo e valutando la relazione comportamentale degli organi penitenziari e basando il suo giudizio negativo su fonti informative concrete e utilizzabili, come le pendenze e i provvedimenti giudiziari. In sostanza, la personalità del soggetto e la sua storia criminale recente parlavano da sole, rendendo del tutto inidonea qualsiasi misura alternativa a neutralizzare il pericolo di recidiva.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio cardine nell’esecuzione della pena: le misure alternative non sono un diritto incondizionato, ma un’opportunità legata a un percorso di risocializzazione che deve apparire credibile e con buone probabilità di successo. Quando la storia criminale di un soggetto, specialmente quella più recente, dimostra una persistente e grave tendenza a delinquere, il giudice deve privilegiare la tutela della collettività. Un giudizio prognostico negativo, basato su elementi fattuali concreti come la commissione di nuovi e gravi reati, giustifica pienamente il diniego dei benefici, poiché l’obiettivo primario di prevenire la recidiva risulterebbe altrimenti compromesso.

Quando può essere negato l’affidamento in prova ai servizi sociali?
L’affidamento in prova può essere negato quando il giudice formula un giudizio prognostico sfavorevole, ritenendo che esista un rischio elevato, attuale e concreto che il condannato commetta nuovi reati. Tale valutazione si basa su elementi come numerosi precedenti penali e la commissione di reati gravi in epoca recente.

L’assenza di una relazione dell’UEPE invalida la decisione di negare le misure alternative?
No, non necessariamente. Come specificato in questa sentenza, se il giudice dispone di altri elementi informativi sufficienti (come relazioni comportamentali dal carcere, certificati penali e pendenze giudiziarie) per formulare un giudizio completo sulla pericolosità sociale del soggetto, la decisione resta valida anche in assenza della relazione dell’UEPE.

Un precedente affidamento in prova concluso positivamente garantisce la concessione di future misure alternative?
No. La commissione di nuovi e gravi reati dopo aver già beneficiato di un affidamento in prova, anche se concluso con esito positivo, è un elemento che depone fortemente a sfavore del condannato. Dimostra, infatti, l’inaffidabilità della persona e l’inefficacia del precedente percorso rieducativo nel prevenire la recidiva, giustificando un diniego di ulteriori benefici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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