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Misure alternative: no se c’è pericolosità sociale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una condannata a cui erano state negate le misure alternative alla detenzione. La decisione conferma che, in assenza di un’evoluzione positiva della personalità e in presenza di una persistente pericolosità sociale, il giudice può legittimamente respingere sia l’affidamento in prova che la detenzione domiciliare, ritenendo il suo giudizio non censurabile se logicamente motivato.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure Alternative: La Cassazione Conferma il Diniego in Caso di Pericolosità Sociale

L’ordinamento penitenziario italiano prevede le misure alternative alla detenzione come strumenti fondamentali per attuare il principio costituzionale della rieducazione del condannato. Tuttavia, la loro concessione non è automatica, ma subordinata a una rigorosa valutazione da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito che, in assenza di un percorso di revisione critica e in presenza di una conclamata pericolosità sociale, tali benefici possono essere legittimamente negati.

I Fatti del Caso

Una donna condannata presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per essere ammessa a una delle misure alternative previste dalla legge: in via principale, l’affidamento in prova al servizio sociale e, in subordine, la detenzione domiciliare. Il Tribunale rigettava entrambe le richieste, motivando la decisione sulla base della personalità della condannata. Secondo i giudici, non solo mancavano segnali di una positiva evoluzione, ma persisteva un atteggiamento oppositivo, indicativo di una pericolosità sociale ancora attuale. A loro avviso, anche la detenzione domiciliare avrebbe esposto la collettività al rischio di nuove imprese criminose, data la manifesta incapacità di autocontrollo della donna.
Contro questa decisione, la condannata proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che alcuni elementi, come la revoca di una precedente misura di sicurezza e la buona condotta recente, dimostrassero la sussistenza delle condizioni per accedere ai benefici richiesti.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle Misure Alternative

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno ritenuto il ragionamento del giudice di merito esente da vizi logici e giuridici, sottolineando come la valutazione sulla personalità del condannato sia una prerogativa insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata. La ricorrente, secondo la Corte, si era limitata a contestare i fatti senza individuare reali fratture logiche nel provvedimento impugnato.

Le Motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda su principi consolidati in materia di esecuzione della pena. Vediamo i punti chiave.

Il Giudizio Prognostico per le Misure Alternative

L’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario, è una misura che mira alla risocializzazione del condannato, prevenendo il pericolo di recidiva. La sua concessione si basa su un giudizio prognostico positivo: il giudice deve convincersi che, anche attraverso specifiche prescrizioni, il percorso fuori dal carcere possa contribuire efficacemente al reinserimento sociale. Tale valutazione deve tenere conto della natura dei reati commessi e dei precedenti, ma soprattutto della condotta tenuta dal soggetto dopo il reato. È necessario che sia iniziato un significativo “processo di emenda”, ovvero un percorso di cambiamento interiore, anche se non è richiesto un ravvedimento completo come per la liberazione condizionale.

La Persistente Pericolosità Sociale come Ostacolo

Nel caso di specie, il Tribunale di Sorveglianza aveva evidenziato l’assenza totale di questo percorso. Al contrario, l’atteggiamento oppositivo e la mancanza di autocontrollo, manifestati anche nei confronti del personale dell’UEPE, erano stati interpretati come sintomi di una personalità ancora incline a delinquere. La Cassazione ha validato questo ragionamento, affermando che quando il processo di emenda non è neppure avviato, la concessione delle misure alternative è preclusa. Il diniego si estende anche alla detenzione domiciliare, poiché la valutazione negativa sulla personalità della condannata rendeva concreto il rischio che potesse approfittare della parziale libertà per commettere nuovi reati.

La Discrezionalità del Giudice di Merito

La Corte ha infine ribadito un principio fondamentale: la scelta sulla misura più idonea e l’apprezzamento dei presupposti per la sua concessione rientrano nella piena discrezionalità del giudice di merito. Questa valutazione può essere criticata in Cassazione solo se manifestamente illogica o contraddittoria, cosa che non è stata riscontrata nel provvedimento impugnato. Il Tribunale aveva fornito una motivazione coerente, basata su elementi concreti come il comportamento della condannata, ritenendo inidonee entrambe le misure alternative a prevenire il rischio di recidiva.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione: l’accesso alle misure alternative non è un diritto automatico, ma il risultato di un percorso concreto di cambiamento. La giustizia richiede prove tangibili di una revisione critica del proprio passato e di un’adesione sincera a un percorso di legalità. In assenza di questi elementi, e di fronte a una pericolosità sociale ancora viva, la risposta del sistema giudiziario non può che essere quella della detenzione, poiché la sicurezza della collettività rimane un bene primario da tutelare.

Quando può un giudice negare le misure alternative come l’affidamento in prova o la detenzione domiciliare?
Un giudice può negare le misure alternative quando, sulla base dell’osservazione della personalità del condannato e della sua condotta, ritiene che non sia iniziato un effettivo processo di cambiamento (emenda) e che persista una concreta pericolosità sociale, ovvero il rischio che la persona commetta nuovi reati.

Qual è la differenza nei presupposti tra affidamento in prova e detenzione domiciliare secondo questa ordinanza?
L’affidamento in prova richiede una prognosi positiva sulla rieducazione e la prevenzione della recidiva. Se questo presupposto manca ma il limite di pena lo consente, si può considerare la detenzione domiciliare, a condizione però che sia scongiurato il pericolo di commissione di nuovi reati. Se anche questa condizione non è soddisfatta a causa dell’elevata pericolosità sociale, entrambe le misure vengono negate.

È sufficiente mantenere una buona condotta per un certo periodo per ottenere le misure alternative?
No, secondo la Corte non è sufficiente. Sebbene la buona condotta sia un elemento da valutare, essa deve inserirsi in un quadro più ampio di evoluzione positiva della personalità. Se, nonostante un comportamento formalmente corretto, emergono un atteggiamento oppositivo e una mancanza di autocontrollo, il giudice può ritenere che il percorso di cambiamento non sia autentico e negare i benefici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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