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Misure alternative: la pericolosità sociale è decisiva

La Cassazione ha respinto il ricorso di un detenuto, negando le misure alternative alla detenzione. La decisione si basa sulla perdurante pericolosità sociale del soggetto, desunta dalla gravità dei reati, precedenti condanne e la commissione di nuovi illeciti, ritenendo questi elementi prevalenti sulla buona condotta carceraria e su una temporanea opportunità lavorativa.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure Alternative: La Pericolosità Sociale Prevale su Buona Condotta e Lavoro

L’accesso alle misure alternative alla detenzione rappresenta un momento cruciale nel percorso di esecuzione della pena, finalizzato al reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, non è un diritto automatico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 35628/2025) chiarisce che la valutazione della pericolosità sociale del soggetto è un elemento preponderante, capace di superare anche elementi positivi come la buona condotta in carcere e la disponibilità di un lavoro. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Contesto del Ricorso

Il caso riguarda un detenuto che stava scontando una pena di due anni e sei mesi di reclusione per reati di violenza privata, lesioni aggravate e calunnia. Dopo il rigetto della sua istanza da parte del Tribunale di Sorveglianza, l’uomo ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo la concessione di una misura alternativa, come l’affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà o la detenzione domiciliare.

La difesa ha basato il ricorso su due motivi principali:
1. La mancata valorizzazione della condotta positiva tenuta in carcere, della disponibilità a intraprendere un percorso di recupero per le dipendenze e dell’esistenza di una documentata, seppur breve, opportunità lavorativa.
2. Un difetto di motivazione da parte del Tribunale di Sorveglianza proprio in merito alla svalutazione della suddetta proposta di lavoro.

La Decisione del Tribunale di Sorveglianza

Il Tribunale di Sorveglianza aveva fondato il proprio diniego sulla ritenuta “perdurante pericolosità sociale” del soggetto. Questa valutazione non si basava solo sulla gravità dei reati per cui era stato condannato, ma teneva conto di un quadro più ampio: il suo casellario giudiziale, la commissione di ulteriori reati anche dopo aver beneficiato in passato di altre misure e, non da ultimo, la sua continua negazione di responsabilità per i fatti commessi.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Il fulcro della motivazione risiede nella natura del giudizio della Cassazione, che è un giudizio di legittimità e non di merito. Ciò significa che la Corte non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice precedente, ma può solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della decisione sia logica e non contraddittoria.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza fosse lineare, esaustiva e priva di vizi logici. Il giudice di merito aveva compiuto una valutazione globale e approfondita della personalità del condannato. La pericolosità sociale era stata desunta non da un singolo elemento, ma da una serie di indicatori coerenti tra loro: la gravità dei delitti, i precedenti penali e la recidiva.

La questione delle misure alternative e la pericolosità sociale

La Suprema Corte ha sottolineato che la valutazione per la concessione delle misure alternative non può prescindere da un giudizio prognostico sulla probabilità di recidiva. Gli elementi portati dalla difesa, come la buona condotta carceraria o la volontà di entrare in una comunità terapeutica (ritenuta peraltro generica e non supportata da elementi concreti), non sono stati considerati sufficienti a scalfire il solido giudizio di pericolosità. Anche l’opportunità lavorativa, circoscritta a soli due mesi nel settore agricolo, è stata ritenuta inidonea a modificare un quadro complessivamente negativo. La Corte afferma che il nucleo centrale della decisione è la non meritevolezza del condannato, una valutazione negativa globale che assorbe e ridimensiona anche gli aspetti specifici e potenzialmente positivi come il lavoro temporaneo.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale nell’ambito dell’esecuzione penale: la concessione delle misure alternative non è un automatismo derivante da singoli comportamenti positivi, ma il risultato di una valutazione complessiva della personalità del condannato. La persistente pericolosità sociale, se adeguatamente motivata sulla base di elementi concreti e complessivi (storia criminale, condotta post-delittuosa, consapevolezza critica), costituisce un ostacolo legittimo all’accesso a benefici penitenziari. Per il legislatore e gli operatori, questa decisione conferma l’importanza di un’analisi multifattoriale che ponga al centro la sicurezza della collettività, bilanciandola con le finalità rieducative della pena.

Una buona condotta in carcere garantisce l’accesso alle misure alternative?
No, secondo la sentenza, la buona condotta è solo uno degli elementi di valutazione. Se il giudice ritiene che persista una pericolosità sociale del condannato, basata su altri fattori come la gravità dei reati e precedenti penali, può legittimamente negare le misure alternative.

Un’offerta di lavoro è sufficiente per ottenere una misura alternativa alla detenzione?
No, non necessariamente. Nel caso esaminato, un’offerta di lavoro stagionale e di breve durata (due mesi) è stata ritenuta insufficiente a superare una valutazione complessivamente negativa sulla pericolosità del soggetto. L’opportunità lavorativa viene considerata all’interno di un quadro più ampio.

Cosa intende la Corte per “pericolosità sociale” nel decidere sulle misure alternative?
La pericolosità sociale è un giudizio sulla probabilità che il condannato commetta nuovi reati. La Corte ha chiarito che tale giudizio si fonda su una valutazione globale che include la gravità del reato commesso, le precedenti condanne annotate sul casellario giudiziale e il fatto che il soggetto abbia commesso altri illeciti anche dopo aver ottenuto in passato misure alternative.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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