Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22264 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22264 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ANDRIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/09/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19 settembre 2023, il Tribunale di sorveglianza di Bari ha rigettato l’istanza, proposta da NOME COGNOME, intesa all’ammissione ad una misura alternativa alla detenzione in relazione alla porzione residua della pena detentiva di un anno e sei mesi di reclusione, inflittagli per aver commesso, nell’ottobre del 2013, il reato sanzionato dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Ha, in proposito, ritenuto che il notevole curriculum criminale del condannato – il quale ha riportato numerose condanne per reati anche di notevole gravità, è stato sottoposto a misura di prevenzione e, da ultimo, è stato tratto in arresto nella flagrante detenzione illecite di armi – concorre con l’assenza di segno alcuno di resipiscenza e di prospettive di inserimento lavorativo nell’attestare l’insussistenza delle condizioni per ammetterlo ad una delle misure richieste.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale eccepisce che la motivazione dell’ordinanza impugnata si impernia su presupposti di fatto non correttamente esposti, sì da viziare il complessivo ragionamento svolto dal Tribunale di sorveglianza.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento.
L’affidamento in prova al servizio sociale, disciplinato dall’art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354, è una misura alternativa alla detenzione carceraria che attua la finalità costituzionale rieducativa della pena e che può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorché, sulla base dell’osservazione della personalità del condannato condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che essa, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla risocializzazione prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato.
Il giudizio in merito alla ammissione all’affidamento si fonda, dunque, sull’osservazione dell’evoluzione della personalità registratasi s,uccessivamente al
fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale: è infatt consolidato, presso la giurisprudenza di legittimità, l’indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine al buon esito della prova, giudice, pur non potendo prescindere dalla natura e gravità dei reati commessi, dai precedenti penali e dai procedimenti penali eventualmente pendenti, deve valutare anche la condotta successivamente serbata dal condannato» (Sez. 1, n. 44992 del 17/09/2018, S., Rv. 273985), in tal senso deponendo il tenore letterale dell’art. 47, commi 2 e 3, legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui condiziona l’affidamento al convincimento che esso, anche attraverso le prescrizioni impartite al condannato, contribuisca alla sua rieducazione ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
Il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248984; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009, COGNOME, Rv. 244654; Sez. 1, n. 3868 del 26/06/1995, NOME, Rv. 202413).
Se il presupposto dell’emenda non è riscontrato, o non lo è nella misura reputata adeguata, il condannato, se lo consentono il limite di pena diversamente stabilito con riferimento alle varie ipotesi disciplinate dall’art. 47 ter legge 26 luglio 1975, n. 354 – ed il titolo di reato, può essere comunque ammesso alla detenzione domiciliare, alla sola condizione che sia scongiurato il pericolo di commissione di nuovi reati (Sez. 1, n. 14962 del 17/03/2009, Castiglione, Rv. 243745).
Il fine rieducativo si attua, in tal caso, mediante una misura dal carattere più marcatamente contenitivo, saldandosi alla tendenziale sfiducia ordinamentale sull’efficacia del trattamento penitenziario instaurato rispetto a pene di contenuta durata.
Per quel che concerne la semilibertà – che attua la de-carcerazione solo parziale del condannato, ammesso a svolgere fuori dall’istituto, per parte del giorno, attività lavorativa (o altra attività risocializzante) — l’ammissione relativo regime, pure ancorato a requisiti legali di pena, presuppone una prognosi favorevole, in relazione ai progressi trattamentali compiuti (o, comunque, allo svolto percorso di emancipazione dalla devianza), in ordine alla mera possibilità di un suo graduale reinserimento nella società, secondo quanto previsto dall’art. 50 legge 26 luglio 1975, n. 354.
Rientra nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento in ordine all’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle misure alternative – alla cui base vi è la comune necessità di una
prognosi positiva, seppur differenziata nei termini suindicati, frutto di un unitari accertamento (Sez. 1, n. 16442 del 10/02/2010, Pennacchio, Rv. 247235) – e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto.
Le relative valutazioni non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Caroso, Rv. 189375), basata su esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementu di giudizio.
Scrutinata alla luce di tali principi, l’ordinanza impugnata non supera il vaglio di legittimità.
Il Tribunale di sorveglianza ha, per un verso, ancorato la propria valutazione alla durata della pena detentiva da espiare’ che ha indicato in un anno e sei mesi, laddove, invece, il ricorrente ha dimostrato che, al tempo della decisione, egli doveva ancora scontare il più circoscritto periodo di tre mesi e venticinque giorni, suscettibile, peraltro, di eventuale, ulteriore riduzione in caso concessione della liberazione anticipata, già richiesta in relazione ad uno specifico semestre.
In tal modo, è incorso in un lapsus afferente ad un profilo di sicura incidenza sull’apprezzamento delle condizioni per l’ammissione, quantomeno, alla detenzione domiciliare, connesso, tra l’altro, all’intensità del pericolo di recidiva elemento non insensibile alla maggiore o minore protrazione del regime restrittivo.
Ha, sotto altro aspetto, assegnato precipua rilevanza alla commissione, da parte di COGNOME, del reato per il quale egli è stato, da ultimo, arrestato che, però, ha collocato in una dimensione temporale non corretta (indicando, quale data di consumazione, il 4 marzo 2023 anziché lo stesso giorno dell’anno precedente) e per il quale, soprattutto, egli è stato sottoposto ad un procedimento penale conclusosi con sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto.
Tale circostanza – coerente con l’indicazione, da parte dello stesso Tribunale di sorveglianza, dell’assenza di pendenze – rende illogico il ragionamento sotteso all’ordinanza impugnata, nella parte in cui rinviene nella più recente manifestazione antisociale di COGNOME la conferma della sua inveterata ed attuale propensione criminale.
Se a ciò si aggiunge che l’affermazione dedicata alla carenza di opportunità risocializzanti di tipo lavorativo sembra trovare apparenl:e contraddizione nell’indicazione, pure contenuta nel provvedimento impugnato, della titolarità, in capo all’odierno ricorrente, di una vasta azienda agricola, è agevole cogliere la complessiva, manifesta illogicità del percorso argomentativo sviluppato dal
Tribunale di sorveglianza, che non tiene conto della modestia della pe espianda, da vagliarsi anche con riferimento alla offensività – in questo c assai contenuta – del delitto accertato e dell’assenza di prova in ordine commissione, nell’ultimo decennio, di ulteriori reati.
Le precedenti considerazioni impongono, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Bari per nuovo esame dell’istanza di ammissione a misure alternative alla detenzion libero nell’esito ma emendato dal vizio riscontrato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Bari.
Così deciso il 18/04/2024.