Misure Alternative: La Dichiarazione di Domicilio è un Atto Personale e Inderogabile
L’accesso alle misure alternative alla detenzione rappresenta un momento cruciale nel percorso di esecuzione della pena, mirando al reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la procedura per ottenerle è scandita da requisiti formali rigorosi, la cui omissione può precludere l’esame nel merito dell’istanza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la dichiarazione o elezione di domicilio da parte del condannato è un atto strettamente personale, non delegabile al difensore, la cui assenza rende l’istanza inammissibile.
I Fatti del Caso
Un soggetto condannato, tramite il proprio difensore, presentava un’istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere la concessione di misure alternative alla detenzione, come previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario. Il Tribunale di Sorveglianza, tuttavia, non entrava nel merito della richiesta, dichiarandola inammissibile. La ragione di tale decisione risiedeva in un vizio formale: l’istanza mancava della dichiarazione o elezione di domicilio effettuata personalmente dal condannato. Contro questa decisione, il difensore proponeva ricorso per Cassazione, chiedendone la revoca.
La Decisione della Cassazione sull’Accesso alle Misure Alternative
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso, confermando pienamente la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici supremi hanno qualificato le censure sollevate dal ricorrente come ‘manifestamente infondate’. La Corte ha richiamato il chiaro dettato normativo dell’articolo 677, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Tale norma stabilisce che la domanda con cui un condannato non detenuto richiede una misura alternativa deve contenere, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l’elezione di domicilio.
Le Motivazioni della Decisione
Il fulcro della motivazione risiede nella natura ‘strettamente personale’ di tale formalità. La Corte ha specificato che la dichiarazione di domicilio non può essere surrogata, ovvero sostituita, dalla semplice indicazione di un indirizzo nell’istanza presentata e sottoscritta unicamente dal difensore. Questo requisito garantisce che il condannato sia personalmente a conoscenza del procedimento che lo riguarda e sia effettivamente reperibile per tutte le comunicazioni necessarie. La scelta del domicilio è un atto che implica una consapevolezza e una responsabilità diretta dell’interessato, che la legge non consente di delegare. Citando un precedente specifico (Sez. I, n. 30779 del 13/01/2016), la Corte ha rafforzato l’idea che questa formalità non è un mero cavillo burocratico, ma un presidio essenziale del corretto svolgimento del procedimento di sorveglianza.
Conclusioni
La decisione della Corte di Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Chiunque intenda presentare un’istanza per accedere a misure alternative deve assicurarsi che l’atto contenga la propria personale dichiarazione o elezione di domicilio. Non è sufficiente che l’avvocato indichi un recapito. L’omissione di questo adempimento personale comporta l’inammissibilità automatica della richiesta, senza che il giudice possa valutarne il contenuto. La conseguenza diretta della declaratoria di inammissibilità del ricorso è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questo caso sottolinea, ancora una volta, l’importanza della precisione formale negli atti giudiziari, specialmente in un ambito delicato come quello dell’esecuzione penale.
Perché una richiesta di misure alternative può essere dichiarata inammissibile?
Secondo la decisione, una richiesta di misure alternative è dichiarata inammissibile se manca della dichiarazione o elezione di domicilio effettuata personalmente dal condannato, come previsto a pena di inammissibilità dall’art. 677, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
L’avvocato può eleggere domicilio per conto del suo assistito in questa procedura?
No. La Corte ha stabilito che la dichiarazione o elezione di domicilio è una formalità di natura strettamente personale che non può essere surrogata dalla mera indicazione di un domicilio nell’istanza sottoscritta e presentata dal solo difensore.
Quali sono le conseguenze se un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se non sussistono ipotesi di esonero, al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata determinata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6692 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6692 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/10/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
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Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nella richiesta difensiva proposta nell’interesse di NOME, convertita in ricorso per Cassazione – il difensore chiede la revoca dell’ordinanza di inammissibilità delle misure alternative ex artt. 47 e 47 ter 1 bis I. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.) emessa dal Tribunale di sorveglianza di Torino – sono manifestamente infondate.
Invero, la domanda con cui il condannato non detenuto o il suo difensore richiedono una misura alternativa alla detenzione deve contenere, a pena di inammissibilità ex art. 677, comma 2-bis cod. proc. pen., la dichiarazione o l’elezione di domicilio effettuata personalmente dall’interessato, formalità che ha natura strettamente personale e che non può essere surrogata dalla mera indicazione di un domicilio nell’istanza sottoscritta e presentata dal difensore (Sez. I, n. 30779 del 13/01/2016, Medeot, Rv. 267407).
Considerato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. peri.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.