Misure Alternative: Il Principio di Gradualità Giustifica il Diniego dell’Affidamento in Prova
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5240 del 2024, ha affrontato un tema cruciale nell’ambito dell’esecuzione della pena: la concessione delle misure alternative alla detenzione. La decisione ribadisce che non esiste un diritto automatico all’affidamento in prova, anche a fronte di una pena residua contenuta, se il percorso rieducativo del condannato non è ancora completo. La Corte ha valorizzato il principio di gradualità, giustificando la scelta di una misura meno ampia, come la detenzione domiciliare, quale tappa intermedia nel percorso di reinserimento sociale.
I Fatti del Caso
Un uomo, condannato per omissione di soccorso a una pena residua di un anno e otto mesi, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale, tuttavia, rigettava la richiesta, ritenendo che il soggetto non offrisse ancora sufficienti garanzie per un pieno reinserimento. Pur negando l’affidamento, il giudice concedeva al condannato la misura della detenzione domiciliare, considerandola più adeguata alla sua attuale situazione personale e al livello di pericolosità sociale residua.
Il Ricorso in Cassazione: le censure del condannato
Il condannato proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione del Tribunale di Sorveglianza, lamentando un vizio di motivazione. Secondo la difesa, il giudizio prognostico sfavorevole espresso dal Tribunale era errato, assertivo e contraddittorio. In particolare, si contestava che il giudice non avesse verificato concretamente le garanzie offerte dal condannato per astenersi dal commettere futuri reati. La contraddittorietà, secondo il ricorrente, emergeva dal fatto che, pur negando l’affidamento, il Tribunale gli aveva comunque concesso un’altra misura alternativa, la detenzione domiciliare, riconoscendo implicitamente un’attenuazione delle esigenze cautelari.
Le Motivazioni della Cassazione: Gradualità e Discrezionalità nelle Misure Alternative
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo importanti chiarimenti sulla valutazione necessaria per la concessione delle misure alternative. In primo luogo, ha ribadito che la decisione è rimessa alla valutazione discrezionale del magistrato di sorveglianza. Quest’ultimo deve verificare, caso per caso e al di fuori di ogni automatismo, la meritevolezza del condannato e l’idoneità della misura a facilitarne il reinserimento sociale.
Nel caso specifico, la Suprema Corte ha ritenuto la valutazione del Tribunale di Sorveglianza logica, congrua e priva di contraddizioni. Il diniego dell’affidamento in prova non era immotivato, ma si basava su elementi concreti:
1. Gravità dei reati e pericolo di recidiva: Il giudice di merito aveva considerato non solo il reato in esecuzione, ma anche il pericolo di reiterazione, tenendo conto di segnalati contatti con ambienti della criminalità organizzata.
2. Scarsa collaborazione: Le relazioni dell’equipe di osservazione avevano evidenziato un atteggiamento “non molto collaborativo rispetto all’analisi del proprio agito” da parte del condannato. Questo elemento è stato ritenuto cruciale per considerare l’affidamento in prova una misura ancora “prematura”.
La Cassazione ha quindi spiegato che la concessione della detenzione domiciliare non è in contraddizione con il diniego dell’affidamento. Al contrario, si inserisce perfettamente nell’ottica della gradualità, un principio cardine del trattamento penitenziario. Questo principio, pur non essendo una regola assoluta, risponde a un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative. Esso prevede che l’accesso a benefici sempre più ampi segua un percorso progressivo, basato sui concreti progressi del condannato. La detenzione domiciliare rappresenta un passo intermedio, meno restrittivo del carcere ma più controllato rispetto all’affidamento in prova, e quindi adeguato a una fase in cui il percorso di reinserimento non è ancora consolidato.
Le Conclusioni
Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione rafforza un orientamento consolidato: le misure alternative non sono un diritto, ma il risultato di una complessa e ponderata valutazione giudiziale. Il principio di gradualità si conferma come uno strumento fondamentale a disposizione del magistrato di sorveglianza per personalizzare il percorso di esecuzione della pena, bilanciando le finalità rieducative con le imprescindibili esigenze di sicurezza della collettività. La decisione di concedere una misura intermedia come la detenzione domiciliare, anziché l’affidamento in prova, è legittima quando il percorso di revisione critica del condannato è ancora in divenire e richiede un monitoraggio più strutturato.
La concessione dell’affidamento in prova è un diritto automatico del condannato?
No, la concessione delle misure alternative è rimessa alla valutazione discrezionale del magistrato di sorveglianza. Questi deve verificare la meritevolezza del condannato e l’idoneità della misura a facilitarne il reinserimento sociale, senza alcun automatismo.
Perché il Tribunale ha negato l’affidamento in prova ma ha concesso la detenzione domiciliare?
Il Tribunale ha ritenuto l’affidamento in prova una misura “prematura” a causa della gravità dei reati, del pericolo di recidiva e della scarsa collaborazione dimostrata dal condannato nel suo percorso rieducativo. La detenzione domiciliare è stata considerata un passo intermedio più adeguato e coerente con un percorso graduale di reinserimento.
Cosa si intende per “principio di gradualità” nelle misure alternative?
È un principio secondo cui la concessione di benefici penitenziari sempre più ampi deve seguire un percorso progressivo, basato sui reali progressi compiuti dal condannato nel suo trattamento rieducativo. Non è una regola assoluta, ma un criterio razionale che permette al giudice di adattare la misura alla specifica fase del percorso di reinserimento del singolo individuo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5240 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5240 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MARSALA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in preambolo, con cui il Tribunale di sorveglianza ha rigettato la sua istanza di affidamento in prova al servizio sociale in relazione alla pena residua di un anno e otto mesi di reclusione per il reato di omissione di soccorso, ammettendolo alla misura della detenzione domiciliare;
Rilevato che, con l’unico motivo, il ricorrente denuncia che il giudice specializzato avrebbe formulato un giudizio prognostico sfavorevole circa il pericolo di reiterazione di reati errato, siccome basato su motivazione assertiva (avendo omesso di verificare se il condannato offriva garanzie sulla astensione futura dal delinquere e di osservanza delle prescrizioni connesse all’applicazione dei benefici), oltre che contraddittoria (poiché ha ammesso l’istante alla misura della detenzione domiciliare);
ribadito che – come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza – la concessione delle misure alternative alla detenzione è rimessa alla valutazione discrezionale della magistratura di sorveglianza, che deve verificare, al di fuori di ogni automatismo, la meritevolezza del condannato in relazione al beneficio richiesto e l’idoneità di quest’ultimo a facilitarne il reinserimento sociale (da ultimo, Sez. 1, n. 8712 del 08/02/2012, Tanzi, Rv. 252921-01) e che nel caso dell’affidamento in prova, il giudice, basandosi sulle relazioni provenienti dagli organi deputati all’osservazione del condannato medesimo, ma senza essere vincolato ai giudizi ivi espressi, deve apprezzare le riferite informazioni sulla sua personalità e sul suo stile di vita, parametrandone la rilevanza ai fini della decisione alle istanze rieducative sottostanti la misura e ai profili di pericolosità residua dell’interessato (Sez. 1, n. 23343 del 23/03/2017, Arzu, Rv. 27001601);
rilevato che, nella specie, il Tribunale di sorveglianza, a ragione del provvedimento assunto, ha formulato una valutazione articolata, certamente congrua e – contrariamente a quanto lamenta ill ricorrente – non contraddittoria ed ha valorizzato, in relazione all’attuale stadio dell’iter trattamentale, insussistenti le condizioni per addivenire già al suo affidamento in prova, apparendo tale misura ancora prematura, alla luce della gravità dei reati, del pericolo di recidiva (alla luce anche dei segnalati contatti con il criminale organizzato) e di quanto risultanze dall’osservazione osservazione della equipe che ha segnalato come egli si sia dimostrato «non molto collaborativo rispetto all’analisi del proprio agito», sicché la decisione del Giudice specializzato s’inserisce nell’ottica di una necessaria gradualità del percorso finalizzato al reinserimento sociale del condannato;
ritenuto che tale decisione è conforme al principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità della gradualità della concessione dei benefici penitenziari che, pur non costituendo una regola assoluta è codificata, risponde a un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative di previsione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario (Sez. 1 n. 22443 del 17/01/2019, COGNOME, Rv. 267213; Sez. 1 n. 27264 del 14/01/2015, COGNOME, Rv. 264037; Sez. 1 n. 15064 del 06/03/2003, COGNOME, Rv. 224029);
ritenuto che a tale motivazione il ricorrente non contrappone alcun argomento capace realmente d’infirmarne la tenuta, sicché il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualit dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2023