LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Misure alternative e residenza UE: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha stabilito che un condannato residente in un altro Stato UE non può ottenere le misure alternative alla detenzione se la sua assenza dal territorio italiano impedisce all’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) di svolgere i necessari accertamenti preliminari. Sebbene la normativa europea consenta l’esecuzione della pena in un altro Stato membro, la fase istruttoria per la concessione della misura richiede una collaborazione fattiva del condannato, ritenuta insufficiente nel caso di specie, giustificando così il rigetto del ricorso.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure alternative e residenza UE: la Cassazione chiarisce

La possibilità per un cittadino condannato in Italia di scontare la pena nel proprio paese di residenza all’interno dell’Unione Europea rappresenta un importante traguardo della cooperazione giudiziaria. Tuttavia, quali sono i presupposti per accedere a tali benefici? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sui doveri di collaborazione del condannato, specificando che la residenza all’estero non può diventare un ostacolo alla fase preliminare di valutazione per la concessione delle misure alternative. Analizziamo insieme la decisione.

I fatti del caso

Un cittadino, condannato a due anni di reclusione dal Tribunale di Larino, presentava istanza per ottenere l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare o la semilibertà. Il Tribunale di Sorveglianza di Campobasso, però, respingeva la richiesta. La motivazione del rigetto era fondata sulla “irreperibilità” del condannato sul territorio italiano. L’uomo si era infatti stabilmente trasferito in Romania, dove viveva e lavorava con la sua famiglia. Tale assenza, secondo il Tribunale, aveva impedito all’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) di effettuare gli indispensabili accertamenti socio-familiari necessari per valutare l’idoneità del soggetto alle misure alternative richieste.

Il ricorso e le ragioni della difesa

Il condannato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale di Sorveglianza avesse errato. La difesa evidenziava come il proprio assistito avesse regolarmente eletto domicilio in Italia presso lo studio del legale e avesse collaborato, fornendo tutte le informazioni richieste su residenza, lavoro e nucleo familiare in Romania. Sottolineava inoltre di aver avuto contatti con l’UEPE di Foggia direttamente dalla Romania.

Il ricorso si basava sulla normativa europea (Decisione quadro 2008/947/GAI, attuata in Italia con il D.Lgs. 38/2016) che permette l’esecuzione di misure alternative in un altro Stato membro dell’UE, sostenendo che l’interpretazione del Tribunale di Sorveglianza vanificasse di fatto tale possibilità.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulle misure alternative

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, offrendo un’importante distinzione tra la fase di concessione della misura e la sua successiva esecuzione.

La Corte ha confermato che la normativa vigente consente l’esecuzione di una misura come l’affidamento in prova in un altro Stato UE. Tuttavia, ha chiarito che la decisione sulla concessione della misura spetta all’autorità giudiziaria italiana e deve essere preceduta da un’adeguata fase istruttoria. Questa fase è di competenza dell’UEPE e richiede la piena e doverosa collaborazione del condannato.

L’obbligo di eleggere domicilio in Italia e di cooperare attivamente non viene meno solo perché la pena potrebbe essere eseguita all’estero. L’assenza fisica del condannato dal territorio nazionale può concretamente ostacolare gli accertamenti e giustificare il rigetto della richiesta.

Nel caso specifico, la collaborazione è stata giudicata insufficiente. I contatti si erano limitati a mere telefonate durante le quali, secondo la nota dell’UEPE, il condannato aveva minimizzato il reato commesso e dichiarato di non avere intenzione di rientrare in Italia. Questo tipo di interazione a distanza non è stato ritenuto sufficiente per redigere la complessa indagine socio-familiare richiesta per legge.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio chiaro: la possibilità di eseguire le misure alternative in un altro paese dell’Unione Europea non elimina i requisiti procedurali previsti dalla legge italiana per la loro concessione. La fase istruttoria, gestita dall’UEPE, è fondamentale e richiede una collaborazione diretta e sostanziale da parte del condannato. La sua assenza fisica e una cooperazione limitata, come quella avvenuta tramite contatti telefonici, possono legittimamente portare al rigetto dell’istanza. Di conseguenza, chi risiede all’estero e aspira a beneficiare di misure alternative deve garantire una partecipazione attiva e concreta alla fase di valutazione, superando gli ostacoli posti dalla distanza geografica.

È possibile scontare una misura alternativa, come l’affidamento in prova, in un altro Stato dell’Unione Europea?
Sì, la normativa italiana, in attuazione di una decisione quadro europea (D.Lgs. n. 38 del 2016), consente che l’esecuzione di una misura alternativa possa avvenire in uno Stato membro dell’UE in cui il condannato ha la residenza legale e abituale.

Perché la richiesta di misure alternative è stata respinta nonostante la possibilità di esecuzione all’estero?
La richiesta è stata respinta perché la fase istruttoria, necessaria per concedere la misura, non ha potuto essere completata adeguatamente. L’assenza del condannato dal territorio italiano e la sua collaborazione, limitata a contatti telefonici, sono state ritenute insufficienti dall’UEPE per svolgere la necessaria indagine socio-familiare.

La sola elezione di domicilio in Italia presso un difensore è sufficiente per ottenere una misura alternativa se si risiede all’estero?
No. Secondo la Corte, l’elezione di domicilio è un requisito formale ma non sostituisce la necessità di una collaborazione attiva e sostanziale con gli uffici di esecuzione penale esterna. La mancata cooperazione fattiva per l’indagine preliminare può portare al rigetto della richiesta, a prescindere dall’avvenuta elezione di domicilio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati