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Misure alternative e residenza all’estero: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato residente all’estero (Kenya) che chiedeva di accedere a misure alternative alla detenzione. La decisione si fonda sulla ritenuta pericolosità sociale del soggetto, desunta dai suoi precedenti penali, e sull’assenza di un progetto di reinserimento sociale in Italia. La Corte ha inoltre chiarito che le misure alternative, come l’affidamento in prova, non possono essere eseguite in un Paese extra-UE in assenza di specifici accordi internazionali, e che la recente Riforma Cartabia non era applicabile al caso di specie.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure Alternative e Residenza all’Estero: Quando il Giudice Può Dire di No

La concessione di misure alternative alla detenzione rappresenta un pilastro del sistema penale moderno, orientato alla rieducazione del condannato. Ma cosa succede quando il richiedente risiede stabilmente all’estero, in un Paese non appartenente all’Unione Europea? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 2637/2024) offre chiarimenti cruciali, confermando il rigetto della richiesta di un cittadino italiano residente in Kenya, basandosi sulla sua pericolosità sociale e sull’assenza di un progetto di vita in Italia.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo, condannato a scontare una pena detentiva, che da anni si era stabilito e lavorava in Kenya. Avendo ricevuto l’ordine di esecuzione della pena, egli ha presentato al Tribunale di Sorveglianza istanza per ottenere l’affidamento in prova ai servizi sociali e la semilibertà, chiedendo di poter svolgere il colloquio preliminare con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) in via telematica, data la difficoltà a rientrare in Italia. Il Tribunale di Sorveglianza ha rigettato le sue richieste, ritenendole inammissibili e infondate.

L’Ordinanza e i Motivi del Ricorso

L’interessato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando diversi vizi della decisione. In sintesi, i motivi del ricorso erano:
1. Errata applicazione della legge: Sosteneva l’immediata applicabilità della Riforma Cartabia, più favorevole, nonostante non fosse ancora formalmente in vigore.
2. Inammissibilità erronea: Contestava la dichiarazione di inammissibilità della richiesta di detenzione domiciliare, sostenendo che il limite di pena dovesse essere ricalcolato secondo la nuova normativa.
3. Violazione del diritto di difesa: Lamentava che il Tribunale non avesse risposto alla sua richiesta di un colloquio telematico, decidendo senza acquisire un’adeguata osservazione della sua personalità.
4. Valutazione errata della pericolosità: Riteneva che il Tribunale avesse dato un peso eccessivo a una vecchia condanna per un reato grave (art. 416-bis c.p.), da cui era stato poi assolto in appello, senza considerare il suo comportamento attuale.
5. Violazione del principio rieducativo: Sottolineava che l’esecuzione della pena in carcere in Italia gli avrebbe fatto perdere il lavoro in Kenya, unica fonte di sostentamento, frustrando ogni finalità di reinserimento.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sulle Misure Alternative

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto. Le motivazioni della Suprema Corte sono fondamentali per comprendere i limiti e le condizioni di accesso alle misure alternative.

Inapplicabilità della Riforma Cartabia e Limiti di Pena

Innanzitutto, la Corte ha chiarito che la Riforma Cartabia non poteva essere applicata al caso. Al momento della decisione del Tribunale di Sorveglianza, la legge non era ancora entrata in vigore a causa della cosiddetta vacatio legis. Inoltre, l’esistenza di una condanna definitiva (il “giudicato”) impedisce l’applicazione di nuove norme, anche se più favorevoli, in questo specifico contesto. Di conseguenza, la richiesta di detenzione domiciliare speciale era correttamente stata ritenuta inammissibile, poiché la pena da scontare superava il limite di due anni previsto dalla normativa allora vigente.

Valutazione della Pericolosità Sociale e Assenza di un Progetto in Italia

Il punto centrale della decisione riguarda la valutazione della personalità del condannato. La Cassazione ha confermato che il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente basato la sua decisione sull’analisi della carriera criminale del ricorrente. I giudici hanno considerato non solo il singolo reato, ma la pluralità di condanne, tra cui favoreggiamento a un esponente di Cosa Nostra e bancarotta fraudolenta, che delineavano un quadro di “estrema pericolosità sociale”.

In un contesto del genere, la Corte ha affermato un principio importante: il tribunale non è obbligato a disporre ulteriori accertamenti (come il colloquio con i servizi sociali) quando le risultanze documentali sono già sufficienti a dimostrare l’inidoneità del soggetto a beneficiare delle misure alternative. La mancanza di qualsiasi “progettualità in Italia” e l’assenza di segni di ravvedimento sono stati considerati elementi decisivi che hanno reso superfluo il colloquio, anche telematico.

L’Impossibilità di Eseguire le Misure Alternative in un Paese Extra-UE

Infine, la Corte ha affrontato la questione della residenza all’estero. È stato ribadito che, sebbene la normativa europea (Decisione Quadro 2008/947/GAI) preveda il reciproco riconoscimento delle decisioni di sospensione condizionale e delle sanzioni alternative, questa disciplina si applica esclusivamente tra gli Stati membri dell’Unione Europea. Il Kenya, non essendo parte dell’UE, non rientra in questo ambito. Allo stato attuale, non esiste alcuna convenzione tra l’Italia e il Kenya che permetta l’esecuzione di misure alternative alla detenzione in quel Paese. Pertanto, la richiesta del condannato era, anche sotto questo profilo, irrealizzabile.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce alcuni principi cardine in materia di esecuzione della pena. L’accesso alle misure alternative non è un diritto incondizionato, ma è subordinato a una prognosi favorevole sul percorso di reinserimento sociale del condannato. Tale valutazione si basa sull’intera storia personale e criminale del soggetto. Per chi risiede all’estero, emerge un ulteriore ostacolo: l’imprescindibile necessità di un concreto progetto di vita e rieducazione sul territorio italiano e l’impossibilità, salvo specifici accordi, di scontare tali misure in Paesi esterni all’Unione Europea. La decisione sottolinea, in definitiva, che la finalità rieducativa della pena deve essere ancorata a un percorso verificabile e gestibile dalle autorità italiane.

È possibile scontare le misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova, risiedendo in un Paese fuori dall’Unione Europea?
No, la sentenza chiarisce che, allo stato attuale, non è possibile. L’esecuzione di tali misure all’estero è prevista solo per i Paesi dell’Unione Europea che hanno recepito una specifica decisione quadro. Per i Paesi extra-UE, come il Kenya nel caso di specie, non esistono convenzioni che lo consentano.

Un giudice può negare le misure alternative senza aver prima disposto un colloquio del condannato con i servizi sociali (UEPE)?
Sì, il giudice può farlo. La Corte di Cassazione ha stabilito che il tribunale di sorveglianza non ha l’obbligo di disporre ulteriori accertamenti, come il colloquio con l’UEPE, quando la documentazione già disponibile (come i precedenti penali e giudiziari) è sufficiente a dimostrare l’inidoneità del richiedente al beneficio e la sua pericolosità sociale.

La “Riforma Cartabia” sulle sanzioni sostitutive si applica retroattivamente a sentenze già definitive?
No, la sentenza lo esclude per due motivi. Primo, al momento della decisione impugnata, la riforma non era ancora entrata in vigore a causa del differimento del termine di vacatio legis. Secondo, l’ostacolo del giudicato (la definitività della condanna) impedisce l’applicazione di nuove norme processuali, anche se più favorevoli, in questo specifico contesto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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