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Misure alternative e personalità: no della Cassazione

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto contro il diniego di misure alternative alla detenzione. La decisione è basata sulla valutazione della personalità del soggetto, ritenuta incline alla violenza, e sui gravi precedenti penali, confermando la necessità di un percorso graduale di reinserimento.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure alternative alla detenzione: la personalità del reo è decisiva

L’ordinanza in esame, emessa dalla Corte di Cassazione, offre un’importante riflessione sui criteri di concessione delle misure alternative alla detenzione. In particolare, la Corte chiarisce che la buona condotta carceraria e la partecipazione a percorsi rieducativi, sebbene elementi positivi, non sono sufficienti a superare una valutazione negativa sulla personalità del condannato, soprattutto in presenza di gravi precedenti e di una tendenza alla violenza. Questo principio ribadisce la centralità di un giudizio complessivo sulla persona, finalizzato a prevenire la recidiva.

I Fatti del Caso

Un detenuto si era visto rigettare dal Tribunale di Sorveglianza la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali o, in subordine, di ammissione al regime di semilibertà. Il Tribunale aveva basato la sua decisione su una valutazione complessiva della personalità del soggetto, ritenuta ancora incline alla violenza e alla sopraffazione, nonostante i progressi registrati durante la detenzione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il condannato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Secondo la difesa, i giudici di merito non avrebbero adeguatamente considerato elementi favorevoli emersi durante l’osservazione in carcere, quali:
– La regolarità della condotta.
– La partecipazione attiva al trattamento rieducativo.
– L’avvio di un percorso di revisione critica dei reati commessi.
– La frequentazione di un corso specifico per autori di violenza di genere e atti persecutori.
La difesa sosteneva, in sostanza, che la valutazione del Tribunale fosse stata parziale e non avesse tenuto conto dei progressi effettivi compiuti dal detenuto.

Le motivazioni della Cassazione sulle misure alternative alla detenzione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e finalizzato a una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità. Secondo gli Ermellini, il Tribunale di Sorveglianza ha agito correttamente, formulando un giudizio logico e ben motivato. In particolare, la decisione si fondava su elementi oggettivi di grande peso:
1. Gravi precedenti penali: Il passato criminale del soggetto era un indicatore rilevante della sua personalità.
2. Pericolosità sociale: La commissione di reati di lesioni personali e minaccia in un periodo molto vicino all’arresto dimostrava una persistente inclinazione alla violenza. La natura dei reati commessi, protratti in un ampio arco temporale, era sintomatica di una personalità incline alla sopraffazione.
3. Necessità di un percorso graduale: Il Tribunale ha correttamente concluso che, prima di poter accedere a misure alternative ampie come l’affidamento o la semilibertà, fosse necessaria la prosecuzione del trattamento intramurario. L’affidabilità del condannato doveva essere testata in modo graduale, iniziando con la concessione di permessi premio. Questo approccio prudenziale è stato ritenuto congruo e non viziato da illogicità.
La Corte ha quindi stabilito che le censure del ricorrente si limitavano a contestare nel merito la valutazione del Tribunale, senza evidenziare reali violazioni di legge o vizi di motivazione, unici aspetti sindacabili in Cassazione.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nell’esecuzione della pena: la concessione delle misure alternative non è un automatismo derivante dalla buona condotta. È il risultato di una valutazione prognostica complessa che il Tribunale di Sorveglianza deve compiere sulla personalità del condannato e sulla sua effettiva pericolosità sociale. La progressione nel trattamento penitenziario deve essere graduale, e i permessi premio rappresentano il primo e fondamentale banco di prova per testare l’affidabilità del detenuto all’esterno del carcere. Per i condannati, ciò significa che la partecipazione a percorsi trattamentali è essenziale, ma deve essere accompagnata da un cambiamento profondo e verificabile della propria personalità, tale da rassicurare i giudici sull’assenza di rischi per la collettività.

Perché il Tribunale di Sorveglianza può negare le misure alternative alla detenzione nonostante la buona condotta in carcere?
Perché la valutazione non si basa solo sulla condotta carceraria, ma su un giudizio complessivo della personalità del condannato. Elementi come gravi precedenti penali e la natura dei reati commessi possono indicare una pericolosità sociale ancora presente, rendendo necessario un percorso di reinserimento più graduale.

Quali elementi sono cruciali nella valutazione della personalità per la concessione di benefici?
Sono cruciali i precedenti penali, la natura e le modalità dei reati commessi, l’arco temporale in cui sono avvenuti e la loro vicinanza al momento dell’arresto. Questi fattori possono rivelare una personalità incline alla violenza e alla sopraffazione, giustificando un diniego delle misure.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è “inammissibile” perché mira a una rivalutazione dei fatti?
Significa che il ricorrente non sta contestando una violazione di legge o un difetto logico nella motivazione della decisione, ma sta chiedendo alla Corte di Cassazione di riesaminare e giudicare nuovamente i fatti del caso. Questo compito spetta ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non è consentito in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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