Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3071 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3071 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MODICA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/02/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di MESSINA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, in persona di NOME COGNOME, che ha chiesto una dichiarazione d’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Sorveglianza di Messina rigettava la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale, presentata da NOME COGNOME ai sensi dell’art. 47 I. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), mentre accoglieva la subordinata domanda di detenzione domiciliare, dichiarando assorbita quella di semilibertà; la decisione interveniva in relazione alle condanne oggetto del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso, in pendenza del procedimento di sorveglianza, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani in data 6/12/2022.
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso il diniego dell’affidamento in prova, con rituale ministero difensivo, sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la nullità dell’ordinanza impugnata.
Egli in particolare rappresenta che, a seguito della notifica dell’ordine di carcerazione per il reato di cui alla sentenza del Tribunale di Messina 4/11/2016, aveva chiesto di poter scontare tale pena in affidamento in prova, con fissazione da parte del Tribunale di sorveglianza di Messina della relativa apposita udienza. Nelle more del procedimento, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani metteva in esecuzione un’ulteriore sentenza di condanna e i titoli confluivano nel provvedimento di esecuzione di pene concorrenti, emesso dalla medesima Procura, in relazione alla quale l’interessato proponeva, in separata sede, ulteriore istanza di misure alternative alla detenzione. All’udienza come sopra fissata, senza che venisse aggiorNOME l’oggetto del procedimento, il Tribunale di sorveglianza di Messina decideva sulle condanne cumulate.
Ciò rappresenterebbe una lesione al diritto di difesa del ricorrente, che avrebbe avuto interesse a contraddire avendo a fronte il quadro esecutivo completo, anticipatamente rappresentato.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 47 Ord. pen. e vizio di motivazione.
Non sarebbe stata adeguatamente considerata la positiva evoluzione della personalità del condanNOME, inclusa la sua adesione ai programmi di giustizia riparativa, che rappresentava un elemento dirimente a sostegno della sua piena affidabilità esterna.
Nel negarla, il Tribunale di sorveglianza aveva dunque argomentato in modo generico e di stile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La competenza relativa all’applicazione delle misure alternative alla detenzione, in ipotesi di soggetto che fruisca della sospensione dell’esecuzione della pena, appartiene al tribunale di sorveglianza del luogo ove ha sede l’ufficio del pubblico ministero preposto all’esecuzione, in forza della norma di cui all’art. 656, comma 6, cod. proc. pen., la quale deve ritenersi speciale rispetto al principio generale di cui all’art. 677 codice cit. (Sez. 1, n. 8000 del 28/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276398-01). Una volta che il tribunale di sorveglianza sia stato ritualmente, e in tali termini, investito, in applicazione del principio dell perpetuatio jurisdictionis la competenza così determinata resta insensibile agli eventuali mutamenti che la posizione giuridica del condanNOME possa subire in virtù di altri successivi provvedimenti (Sez. 1, n. 53177 del 08/10/2014, confl. comp. in proc. Travaglini, Rv. 261606-01), ai quali la sua cognizione deve dunque necessariamente estendersi, non potendo la concessione di misure alternative alla detenzione essere valutata in modo frazioNOME.
L’avviso di fissazione dell’udienza dinanzi al Tribunale di sorveglianza deve menzionare l’oggetto del procedimento, ma non anche le ragioni per le quali è stato avviato, né dunque neppure il titolo esecutivo di eventuale riferimento, incombendo sull’interessato o sul suo difensore l’onere di consultare in cancelleria gli atti relativi ed eventualmente di estrarne copia (da ultimo, Sez. 1, n. 38818 del 22/07/2015, Rv. 264652-01). Non vi era, dunque, alcun onere del giudice procedente di “aggiornare” l’avviso, come erroneamente preteso dal ricorrente.
Quest’ultimo, peraltro, era a conoscenza dell’ulteriore condanna posta in esecuzione a suo carico e dell’esistenza di un’esecuzione riguardante più pene concorrenti (tanto che, per il nuovo titolo, aveva avanzato separata domanda di concessione di misure alternative).
Da ciò emerge che il giudice a quo ha deciso entro i confini delle sue attribuzioni, mentre nessuna lesione al contraddittorio e al diritto di difesa del ricorrente si è concretizzata, essendo egli a conoscenza dell’esecuzione cumulata e dovendosi aspettare che, in applicazione degli esposti principi, la decisione che il giudice stesso avrebbe adottato si sarebbe a tale esecuzione necessariamente riferita.
2. Il secondo motivo è parimenti infondato.
L’affidamento in prova al servizio sociale, discipliNOME dall’art. 47 I. 26 lugli 1975, n. 354 (Ord. pen.), è la principale misura alternativa alla detenzione, destinata ad attuare la finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, comma terzo, Cost. Esso può essere adottato, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorché, sulla base dell’osservazione della personalità del
condanNOME condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che il relativo regime, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire ad assicurare la menzionata finalità, prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato. Ciò che assume rilievo, rispetto all’affidamento, è l’evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale (Sez. 1, n. 33287 del 11/6/2013, COGNOME, Rv. 257001). Il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 7/10/2010, COGNOME, Rv. 248984- 01; Sez. 1, n. 26754 del 29/5/2009, COGNOME, Rv. 244654-01; Sez. 1, n. 3868 del 26/6/1995, NOME, Rv. 202413-01).
Rientra nella discrezionalità del giudice di merito (‘apprezzamento sull’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, della misura alternativa in discorso, e l’effettuazione della prognosi sottostante (Sez. 1, n. 16442 del 10/2/2010, COGNOME, Rv. 247235). La relativa valutazione non è censurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/2/1992, COGNOME, Rv. 189375).
Ciò posto, l’ordinanza impugnata è conforme al paradigma normativo e risulta convenientemente motivata, a fronte di censure di stampo meramente confutativo, e contro-valutativo, che cadono appunto in un ambito riservato alla discrezionalità, correttamente esercitata, del tribunale di sorveglianza.
Nell’apprezzamento giudiziale assume, in effetti, giusto e preminente rilievo la considerazione della gravità dei crimini commessi e dell’insufficienza, in chiave dimostrativa dell’affidabilità esterna del condanNOME, dell’intrapreso percorso di emenda; insufficienza che risulta adeguatamente illustrata.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/11/2023