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Misure alternative all’estero: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un Tribunale di Sorveglianza che aveva negato a un condannato, residente in Germania, l’accesso a misure alternative all’estero. Il diniego era motivato dalla mancata risposta delle autorità tedesche a una richiesta di informazioni. La Suprema Corte ha stabilito che le inefficienze procedurali estere non possono ricadere automaticamente sul richiedente e ha rinviato il caso al Tribunale per una nuova valutazione, imponendo di acquisire attivamente le informazioni necessarie.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure alternative all’estero: la Cassazione chiarisce i doveri del giudice

L’esecuzione di misure alternative all’estero rappresenta un pilastro della cooperazione giudiziaria europea, consentendo a un cittadino condannato in uno Stato membro di scontare la pena nel proprio paese di residenza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 22639 del 2024, interviene su un caso emblematico, rafforzando i diritti del condannato e precisando i doveri del giudice di sorveglianza di fronte a ostacoli burocratici internazionali.

I Fatti del Caso

Un cittadino albanese, condannato in Italia ma residente stabilmente con la sua famiglia in Germania, presentava istanza di affidamento in prova al servizio sociale, chiedendo che la misura fosse eseguita nel paese di residenza. Il Tribunale di Sorveglianza di Ancona rigettava la richiesta. La ragione del diniego era l’impossibilità di valutare i presupposti per la concessione della misura, a causa della mancata risposta da parte delle competenti autorità tedesche alla richiesta di informazioni inviata dal Ministero della Giustizia italiano. In sostanza, il silenzio della burocrazia tedesca veniva interpretato come un ostacolo insormontabile, bloccando di fatto la procedura.

La Decisione della Corte e le Misure alternative all’estero

La difesa del condannato ha proposto ricorso in Cassazione, denunciando la violazione delle normative italiane ed europee in materia, in particolare il D.Lgs. n. 38 del 2016, che attua la Decisione Quadro 2008/947/GAI sul reciproco riconoscimento delle pene alternative. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando con rinvio la decisione del Tribunale. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio ormai consolidato: l’ammissione a misure alternative all’estero, come l’affidamento in prova, è pienamente consentita quando il condannato ha la residenza legale e abituale in un altro Stato membro dell’Unione Europea.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha censurato l’approccio del Tribunale di Sorveglianza, definendolo sbrigativo. Secondo la Cassazione, il giudice di merito non può limitarsi a constatare la mancata risposta delle autorità estere e rigettare l’istanza. Al contrario, ha il dovere di attivarsi per superare l’impasse. Il Tribunale avrebbe dovuto:

1. Precisare l’iter amministrativo seguito: Chiarire quali passi erano stati compiuti per ottenere le informazioni e perché si era creata una situazione di stallo.
2. Verificare la concreta impossibilità di ottenere riscontro: Prima di concludere per l’impossibilità, il giudice doveva esplorare tutte le vie possibili per sollecitare una risposta dalle autorità tedesche.
3. Accertare la cooperazione del condannato: Era fondamentale verificare se il richiedente avesse collaborato attivamente per facilitare il contatto con le autorità del suo paese di residenza, mettendo a disposizione tutte le informazioni necessarie.

In sintesi, la Corte ha stabilito che le inefficienze procedurali di un’autorità straniera non possono tradursi automaticamente in un pregiudizio per il condannato, soprattutto quando la normativa europea è finalizzata a favorire il reinserimento sociale nel contesto di vita della persona.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza rafforza la tutela dei diritti dei cittadini europei nel sistema penale. Il principio affermato è chiaro: il giudice italiano investito di una richiesta di esecuzione di misure alternative all’estero ha un ruolo proattivo. Non può essere un mero spettatore passivo della burocrazia internazionale. Deve invece adoperarsi concretamente per acquisire le informazioni necessarie a decidere nel merito, verificando anche la collaborazione del condannato. La decisione del Tribunale di Sorveglianza è stata annullata e il caso dovrà essere riesaminato, obbligando il giudice a un’istruttoria più approfondita prima di pronunciarsi sulla richiesta di affidamento in prova.

È possibile scontare una misura alternativa alla detenzione in un altro paese dell’Unione Europea?
Sì, la normativa italiana, in attuazione di una decisione quadro europea (D.Lgs. 38/2016), consente l’esecuzione di misure alternative, come l’affidamento in prova al servizio sociale, in uno Stato membro dell’UE dove il condannato ha la residenza legale e abituale.

Cosa succede se le autorità dello Stato estero non rispondono alla richiesta di informazioni del giudice italiano?
Secondo la Corte di Cassazione, la mancata risposta non può giustificare automaticamente il rigetto della richiesta. Il giudice italiano ha il dovere di attivarsi per sollecitare le informazioni, precisare l’iter seguito e verificare se il condannato ha cooperato. L’inefficienza burocratica estera non deve ricadere sul richiedente.

Qual è il ruolo del condannato in questa procedura?
Il condannato deve cooperare attivamente con le autorità giudiziarie, fornendo tutte le informazioni necessarie e sollecitando, per quanto possibile, l’intervento delle autorità del proprio paese di residenza per facilitare la trasmissione dei documenti richiesti dal tribunale italiano.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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