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Misure alternative all’estero: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un Tribunale di sorveglianza che negava le misure alternative a una cittadina residente all’estero. La sentenza stabilisce che è un dovere del giudice italiano verificare la possibilità di eseguire le misure alternative all’estero, in un altro Stato dell’Unione Europea, conformemente alla normativa sul reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure Alternative all’Estero: Quando la Pena si Sconta in un Altro Paese UE

La globalizzazione e la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea pongono questioni complesse anche in ambito penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali sull’applicazione delle misure alternative all’estero, stabilendo che la residenza in un altro Stato membro non può essere un ostacolo insormontabile per l’accesso a benefici come l’affidamento in prova. Analizziamo il caso e la decisione dei giudici.

I Fatti di Causa

Una donna, condannata a una pena detentiva di modesta entità per un reato risalente a diversi anni prima, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, la detenzione domiciliare. La particolarità del caso risiedeva nel fatto che la richiedente risiedeva stabilmente da molti anni in Danimarca con la sua famiglia.

Il Tribunale di Sorveglianza respingeva la richiesta, motivando la decisione con l’assenza di una residenza o di un domicilio in Italia. Secondo i giudici, questa circostanza impediva di svolgere gli accertamenti necessari per valutare i presupposti della misura. Inoltre, veniva menzionata una ‘scarsa collaborazione’ da parte della condannata, senza però specificare in cosa consistesse.

L’Applicazione delle Misure Alternative all’Estero nella Decisione della Cassazione

La difesa della donna ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, denunciando una violazione di legge. In particolare, si contestava la mancata applicazione del decreto legislativo n. 38 del 2016, che ha attuato in Italia la Decisione Quadro europea sul reciproco riconoscimento delle sentenze e delle decisioni di sospensione condizionale. Questa normativa consente, a determinate condizioni, l’esecuzione di una misura alternativa in un altro Stato membro dell’UE.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso al Tribunale di Sorveglianza per un nuovo giudizio. La decisione si fonda su due pilastri critici: il vizio di motivazione e l’errata applicazione della normativa europea.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha innanzitutto censurato la motivazione del provvedimento impugnato, definendola ‘apparente’ e contraddittoria. Il riferimento alla ‘scarsa collaborazione’ era generico e non supportato da elementi concreti; anzi, la stessa ordinanza ammetteva che la donna avesse partecipato a un incontro con i servizi sociali nonostante le difficoltà logistiche e di salute. Inoltre, il Tribunale aveva omesso di considerare elementi positivi come il risarcimento della parte civile, l’unicità del precedente penale, la vetustà del reato e l’assenza di altri carichi pendenti.

Il punto cruciale della sentenza, tuttavia, riguarda la questione delle misure alternative all’estero. La Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato: grazie al D.Lgs. 38/2016, è pienamente consentita l’ammissione a misure come l’affidamento in prova anche se l’esecuzione deve avvenire in un altro Stato UE dove il condannato ha la residenza legale e abituale.

Il Tribunale di Sorveglianza, quindi, ha commesso un errore non esaminando nemmeno questa possibilità. Invece di respingere l’istanza per la sola assenza di un domicilio in Italia, avrebbe dovuto attivarsi per verificare la disponibilità delle autorità danesi a prendere in carico la sorveglianza della misura, come previsto dalla procedura di cooperazione europea. Il giudice italiano mantiene la titolarità della decisione, che viene poi trasmessa allo Stato di esecuzione.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza il principio del reciproco riconoscimento e della cooperazione giudiziaria in materia penale all’interno dell’Unione Europea. Le implicazioni pratiche sono significative:
1. La residenza in un altro Stato UE non è di per sé un motivo per negare l’accesso alle misure alternative alla detenzione.
2. Il giudice di sorveglianza ha il dovere di esplorare attivamente la possibilità di eseguire la misura nello Stato di residenza del condannato, interpellando le autorità competenti di quel Paese.
3. La valutazione deve basarsi su elementi concreti e non su motivazioni generiche o apparenti, considerando tutti gli aspetti della situazione personale e processuale del condannato.

In conclusione, la decisione apre la strada a un’applicazione più equa e moderna del diritto penitenziario, in linea con l’obiettivo di favorire il reinserimento sociale del condannato anche in un contesto transnazionale.

È possibile scontare una misura alternativa come l’affidamento in prova in un altro Paese dell’Unione Europea?
Sì, la giurisprudenza e il decreto legislativo n. 38 del 2016 consentono che l’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione avvenga in uno Stato membro dell’UE dove il condannato abbia la residenza legale e abituale, in applicazione del principio di reciproco riconoscimento.

Cosa deve fare il Tribunale di Sorveglianza italiano se riceve una richiesta di misura alternativa da un cittadino residente all’estero?
Il Tribunale non può respingere l’istanza solo per l’assenza di un domicilio in Italia. Deve invece esaminare la richiesta e verificare la disponibilità delle autorità competenti dello Stato estero a dare corso alla misura, attivando la procedura di cooperazione prevista dalla normativa europea.

La mancanza di una residenza in Italia è un motivo sufficiente per dichiarare inammissibile una richiesta di detenzione domiciliare?
Sì, secondo quanto implicitamente affermato dal Tribunale di Sorveglianza e non contestato su questo specifico punto dalla Cassazione, l’assenza di una dimora in Italia non consente la concessione della detenzione domiciliare, poiché mancherebbe il luogo fisico sul territorio nazionale dove eseguire la misura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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