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Misura di sicurezza: quando si applica e unifica

La Corte di Cassazione conferma la legittimità di una misura di sicurezza di libertà vigilata, chiarendo la ripartizione di competenze tra giudice della cognizione e Tribunale di Sorveglianza. La sentenza stabilisce che spetta al primo unificare le misure in caso di più reati, mentre al secondo compete la valutazione attuale della pericolosità sociale per l’esecuzione. Il ricorso di un condannato per associazione mafiosa, che lamentava una duplicazione della misura di sicurezza e una valutazione errata della sua pericolosità, è stato respinto poiché basato su elementi concreti e non solo sulla mancata dissociazione.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misura di Sicurezza: Unificazione e Valutazione della Pericolosità Sociale secondo la Cassazione

La corretta applicazione di una misura di sicurezza, come la libertà vigilata, rappresenta uno snodo cruciale nel diritto penale, specialmente quando un soggetto è stato condannato per reati di grave allarme sociale, come l’associazione di tipo mafioso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4301 del 2024, offre chiarimenti fondamentali sulla distinzione dei ruoli tra il giudice che emette la condanna (giudice della cognizione) e il Tribunale di Sorveglianza, che ne gestisce l’esecuzione. L’analisi si concentra su due aspetti chiave: l’unificazione di più misure di sicurezza e i criteri per valutare la persistente pericolosità sociale del condannato.

I Fatti del Caso Giudiziario

Il caso esaminato riguarda un individuo condannato per partecipazione ad associazione mafiosa e altri reati. La sua vicenda giudiziaria è complessa:

1. Una prima sentenza della Corte d’Appello (2003) lo aveva condannato, applicando una misura di sicurezza di due anni di libertà vigilata.
2. Successivamente, una nuova sentenza della stessa Corte (2019), nel rideterminare la pena complessiva per altri fatti in continuazione con i precedenti, aveva disposto l’applicazione di una misura di sicurezza più lunga, pari a tre anni.

Il Tribunale di Sorveglianza di Milano, chiamato a decidere sull’esecuzione della misura, ha considerato che la precedente era stata scontata solo in parte (circa otto mesi). Ritenendo ancora presente la pericolosità sociale del soggetto, ha unificato le misure e ne ha ridotto la durata residua a due anni. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso: quando una misura di sicurezza è legittima?

Il ricorrente ha basato la sua difesa su due argomenti principali:

* Violazione dell’art. 209 del codice penale: Sosteneva che gli fossero state applicate due distinte misure di sicurezza, mentre la legge prevede l’unificazione in un’unica misura quando i reati sono connessi.
* Violazione dell’art. 228 del codice penale: Lamentava una valutazione della sua pericolosità sociale superficiale e basata unicamente sulla mancata dissociazione dall’ambiente criminale, attribuendogli erroneamente l’affermazione che la ‘ndrangheta non esista.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Le motivazioni della decisione sono illuminanti per comprendere la corretta procedura di applicazione di una misura di sicurezza.

Sull’unificazione della Misura di Sicurezza

La Suprema Corte ha chiarito che non vi è stata alcuna duplicazione. L’unificazione delle pene e delle misure di sicurezza era già stata correttamente operata dal giudice della cognizione (la Corte d’Appello nel 2019). Quest’ultimo, infatti, aveva emesso una condanna complessiva che teneva conto dei reati precedenti, rideterminando la misura di sicurezza in un’unica sanzione di tre anni, assorbendo quella precedente di due.

Il compito del Tribunale di Sorveglianza, pertanto, non era quello di effettuare una nuova unificazione, ma di gestire la fase esecutiva. Il suo ruolo era accertare se, al momento di iniziare (o proseguire) la misura, il condannato fosse ancora socialmente pericoloso e, in caso affermativo, stabilire la durata minima della misura da eseguire, tenendo conto di quanto già scontato.

Sulla Valutazione della Pericolosità Sociale

La Cassazione ha definito l’argomento del ricorrente come generico e assertivo. Il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza, infatti, non si basava affatto su un singolo elemento. Al contrario, la valutazione della pericolosità sociale era fondata su una pluralità di elementi di fatto concreti e attuali, tra cui:

* Un rilievo disciplinare recente (gennaio 2020).
* L’assenza di un percorso di riflessione critica sulle proprie condotte devianti.
* La tendenza a negare i fatti per cui era stato condannato.
* La ricaduta nel delitto dopo aver già scontato una parte della libertà vigilata.
* Recenti segnalazioni di polizia per violenza a pubblico ufficiale e inosservanza dei provvedimenti dell’autorità.

Questi elementi, nel loro insieme, hanno fornito un quadro completo che giustificava ampiamente la conclusione sulla persistente pericolosità sociale del soggetto.

Le Conclusioni della Sentenza

In conclusione, la sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di misura di sicurezza. Innanzitutto, chiarisce la netta distinzione tra la fase della cognizione, in cui il giudice della condanna unifica pene e misure, e la fase dell’esecuzione, in cui il Tribunale di Sorveglianza valuta l’attualità della pericolosità e gestisce l’applicazione della misura. In secondo luogo, sottolinea che la valutazione della pericolosità sociale deve essere un’analisi concreta e multifattoriale, basata su elementi oggettivi del comportamento del condannato, e non può essere contestata con argomentazioni generiche. La decisione conferma un approccio rigoroso volto a garantire che le misure di sicurezza siano applicate solo quando effettivamente necessario per la tutela della collettività.

Quando può essere applicata una nuova misura di sicurezza se una è già in corso?
Il giudice della cognizione, nel condannare per un nuovo reato, può applicare una misura di sicurezza della stessa specie di quella già in esecuzione. L’unificazione delle misure concorrenti diventa obbligatoria quando i provvedimenti diventano definitivi, ma il giudice può già operare tale unificazione rideterminando la durata complessiva in senso favorevole al reo.

Qual è il ruolo del Tribunale di Sorveglianza riguardo a una misura di sicurezza già decisa dal giudice?
Il Tribunale di Sorveglianza non deve effettuare una nuova unificazione se questa è già stata disposta dal giudice della cognizione. Il suo compito è accertare se la pericolosità sociale del condannato persiste al momento dell’esecuzione e, in caso positivo, individuare la durata minima della misura che deve essere concretamente scontata.

Quali elementi sono necessari per dimostrare la pericolosità sociale di una persona?
La valutazione della pericolosità sociale non può basarsi su un singolo elemento, come la mancata dissociazione, ma deve derivare da un’analisi concreta e complessiva di numerosi fattori fattuali. Elementi rilevanti includono la condotta del soggetto durante la detenzione, eventuali rilievi disciplinari, la ricaduta in reati, recenti segnalazioni di polizia e l’assenza di una revisione critica del proprio passato criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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