Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37141 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37141 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 1264/2025
NOME COGNOME
CC – 16/09/2025
NOME OCCHIPINTI
R.G.N. 17819NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 01/04/2025 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Con decreto del 1¡ aprile 2025, la Corte di appello di Roma, Sezione Misure di prevenzione, ha confermato il decreto con il quale il Tribunale di Roma aveva applicato nei confronti di NOME la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, senza obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per la durata di un anno.
I giudici di merito hanno ravvisato la pericolositˆ sociale, di cui allÕart. 1, lettera b), d.lgs. n. 159 del 2011, ritenendo che il proposto Çvivesse abitualmente, senza soluzioni di continuitˆ, con il provento di delitti lucro geneticiÈ, dando particolarmente rilievo ai delitti commessi in violazione della normativa in materia di sostanze stupefacenti.
Avverso il decreto della Corte di appello, il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 1, 4 e 10 del d.lgs. n. 159 del 2011.
Il ricorrente contesta lÕapplicazione della misura di prevenzione, sostenendo che: i giudici di merito non avrebbero accertato se i delitti avessero effettivamente generato redditi in capo al proposto nŽ l’eventuale sproporzione tra i beni da lui posseduti e redditi da lui dichiarati; non avrebbero dato rilievo al fatto che il proposto svolgesse una lecita attivitˆ lavorativa, solo perchŽ il datore di lavoro era il figlio; avrebbero ritenuto rilevanti anche a precedenti relativi a contravvenzioni, a delitti in materia di armi e a reati contro la persona.
Gli unici elementi di fatto realmente significativi ai fini dell’applicazione della misura, secondo il ricorrente, sarebbero la sentenza di ÒpatteggiamentoÓ per il reato di cui allÕart. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e il Çprocedimento penale avente ad oggetto 700 grammi di sostanza stupefacente del tipo hashishÈ. Con riferimento a quest’ultimo fatto, il ricorrente, per˜, contesta il giudizio di responsabilitˆ, sebbene sia intervenuta sentenza irrevocabile.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di legge penale, in relazione agli artt. 6 e 10 del d.lgs. n. 159 del 2011.
Contesta la motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui la Corte di appello ha affermato che neppure l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari avrebbe fatto desistere il proposto dalla prosecuzione dell’attivitˆ di spaccio di sostanze stupefacenti. Il ricorrente sostiene che sarebbero Çaffermazioni falseÈ, atteso che il proposto, dopo l’applicazione della misura degli arresti domiciliari, non avrebbe posto in essere alcuna attivitˆ delittuosa.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale.
Contesta lÕapplicazione della misura di prevenzione, sostenendo che il Tribunale di Roma avrebbe Çimposto apoditticamente allo COGNOME una serie di prescrizioni incidenti su diritti costituzionalmente tutelatiÈ.
Contesta la prescrizione di osservare le leggi penali, sostenendo che i giudici di merito avrebbero dovuto necessariamente selezionare le leggi da rispettare.
Contesta l’obbligo di non associarsi abitualmente a condannati o soggetti sottoposti a misure di sicurezza, sostenendo che tale prescrizione sarebbe Çfondata unicamente sul titolo di reato: la condanna per il reato associativoÈ.
Sostiene che la Corte territoriale non avrebbe dovuto condannare il ricorrente alle spese di giudizio, avendo precisato che l’obbligo di non partecipare a pubbliche riunioni andava riferito alle sole riunioni in luogo pubblico.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo e il secondo motivo Ð che possono essere trattati congiuntamente, essendo entrambi diretti a contestare la motivazione del provvedimento impugnato Ð sono inammissibili.
I motivi, sebbene ricondotti dal ricorrente anche al vizio di violazione di legge, nella sostanza, consistono in generiche censure alla motivazione del provvedimento.
Al riguardo, va ricordato che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 (e del precedente art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, comma 2, legge 31 maggio 1965, n. 575). Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimitˆ l’ipotesi di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poichŽ qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal comma 9 del predetto art. 4 legge n. 1423 del 56 (ora art. 10, comma 2, d.lgs. 159/2011), il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246, che, in motivazione, ha ribadito che non pu˜ essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtˆ, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365; Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, COGNOME, Rv. 261590).
Va, in ogni caso, rilevato che la Corte di appello ha ampiamente motivato sul giudizio di pericolositˆ, dando rilievo a tutta una serie di reati Çlucro geneticiÈ e,
in particolare, a quelli commessi in violazione della normativa in materia di sostanze stupefacenti, molti dei quali accertati con sentenza passata in giudicato o con sentenza confermata in appello (cfr. pagine 3 e ss. del provvedimento impugnato).
Quanto al lavoro che il proposto svolgerebbe presso lÕazienda del figlio, la Corte di appello ha ritenuto di attribuire scarso significato alle deduzioni della difesa relative a tale elemento, atteso che: la pericolositˆ sussiste anche quando il proposto tragga anche solo in parte le risorse per il proprio mantenimento da attivitˆ delittuosa; nel caso in esame, i redditi netti risultanti dalle poche buste paga prodotte erano di estrema modestia; la documentazione a supporto di tale circostanza, costituita dalle buste paga, non risultava verificata; la sede operativa dell’impresa, come risultante dalle buste paga, coincideva con lÕabitazione nella quale risiedevano il proposto e il figlio, nel cui garage venivano stoccate e spacciate le sostanze stupefacenti.
Del tutto generica e meramente assertiva, infine, risulta lÕaffermazione che il proposto, dopo l’applicazione della misura degli arresti domiciliari, non avrebbe posto in essere alcuna attivitˆ delittuosa.
1.2. Il terzo motivo è inammissibile.
Il motivo è intrinsecamente generico, in quanto privo di una puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dellÕatto impugnato. Le argomentazioni sembrano alquanto confuse e (almeno in parte) neppure relative al provvedimento impugnato, come emerge dal riferimento che il ricorrente fa a tale COGNOME e a una presunta condanna per reato associativo, che sarebbe citata a pagina 48 del decreto impugnato, che in realtˆ si compone di sole undici pagine.
Manifestamente infondata è anche la deduzione relativa alla condanna alle spese di giudizio, atteso che la Corte di appello ha integralmente confermato il provvedimento di primo grado e si è limitata a rilevare l’infondatezza di alcune argomentazioni difensive, che si basavano sul presupposto che vi fosse un obbligo di non partecipare alle riunioni in luogo aperto al pubblico.
Alla declaratoria di inammissibilitˆ del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dellÕart. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Cos’ deciso, il 16 settembre 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME