Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21550 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21550 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/12/2023 del TRIB. LIBERTA’ di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2 conv. dalla I. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. con modif. dalla 1.15/22 e successivamente ex art. 94, co. 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come sostituito prima dall’art. 5-duodecies della I. 30.12.2022, n. 199, di conversione in legge del d.l. n. 162/2022) e poi dall’art. 17 del D.L. 22 giugno 2023, conv. con modif. dalla I. 10.8.2023 n. 112, del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 20 dicembre 2023 il Tribunale del Riesame di Milano ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza emessa in data 9/11/2023 con la quale il GIP del Tribunale di Milano aveva a sua volta rigettato l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicata in data 23/10/2023 dal Gip del Tribunale di Milano nei confronti di NOME in quanto indagato per il reato di cui all’articolo 73 co. 1 DPR 309/90 e 81 cod. pen.
Ricorre il COGNOME, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo l’unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att,, cod. proc. pen.
Premettendo che l’indagato è sottoposto alla misura massimamente afflittiva unicamente con riferimento al capo 3) dell’imputazione per il reato di cui all’art. 73 DPR 309/90, commesso tra l’agosto 2021 e il 7/4/2022, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 274 comma 1 lett. c) e 275 comma 4 cod. proc. pen.
Ci si duole che l’esigenza cautelare sia stata individuata esclusivamente in considerazione dei precedenti penali dell’indagato senza alcuna valutazione della sua età avanzata, in particolare con riferimento all’eccezionalità della rilevanza delle esigenze cautelari, unica condizione che consente la deroga al divieto di applicazione della misura massivamente coercitiva a persona che abbia superato i settanta anni.
Nessuna specifica argomentazione sul punto, inoltre, è stata mai articolata anche nella richiesta del pubblico ministero.
Il COGNOME già al momento dell’emissione della misura aveva compiuto i settantadue anni.
Si rileva che l’art. 275 cod. proc. pen., come modificato con la I. 62 del 21/4/2011, ha espressamente escluso l’applicazione della misura carceraria per il soggetto ultrasettantenne, riservandone l’applicazione in deroga a fronte dell’accertamento di esigenze cautelari di carattere elevato e straordinario. Lo stesso articolo di legge, al comma 4, esclude l’applicazione della misura in presenza di determinate condizione soggettive che attenuino la pericolosità.
La Corte costituzionale -prosegue il ricorso- ha sancito che il divieto ha carattere generale, prescindendo dal titolo del reato e non essendo riferibile alle sole ipotesi previste al terzo comma dello stesso articolo.
Pertanto, il vincolo stabilito dal quarto comma dell’art. 275 è superabile solo a seguito dell’accertamento della sussistenza di esigenze cautelari così gravi da rendere inadeguata ogni altra misura.
Certamente, continua il ricorrente, l’eccezionale gravità del pericolo di terazione del reato non può essere desunto dalla preseiza di precedenti pena peraltro risalenti nel tempo e privi di attualità.
Il ricorrente riporta le motivazione dell’ordinanza del Gip del 9/11/2023, evidenziando che: a. il provvedimento cautelare genetico riguarda solo la contestazione di cui al capo 3); b. all’esito delle indagini preliminari il COGNOME non stato indagato per reati contro il patrimonio commessi in concorso con gli alt soggetti colpiti dall’ordinanza; c. il COGNOME, nel procedimento, non è inserito contesto associativo né viene ipotizzata la realizzazione del fatto di cui al capo 14) in concorso con altri indagati; d. nel corso delle indagini rTeliminari e all’esito della perquisizione non è stato rinvenuto materiale idoneo a sostenere che l’indagato sia coinvolto con gli altri coindagati in un giro d’affari per la commissione di furti successiva ricettazione e riciclaggio; e. il COGNOME, con riferimento al veicolo rinvenuto, non ha subito alcun provvedimento coercitivo ma è stato deferito a piede libero all’autorità giudiziaria.
Secondo la tesi difensiva, la motivazione resa dal GIP ipotizza l’esigenza cautelare, prevista dall’art. 274 co. 1 lett. a) cod. proc. pen., mai prospettata nell’ordinanza genetica per nessuno degli indagati.
Inoltre, il provvedimento genetico non spiegherebbe quali siano le esigenze attinenti alle indagini, ormai concluse, relative ai fatti per cui si procede, in rel zione a situazioni di concreto e attuale pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova, formulando sostanzialmente un ipotetico rischio in maniera del tutto apodittica, senza alcuna indicazione delle circostanze di fatto da cui rilevarlo. L’unica circostanza rilevata a tal fine sarebbe la mancata risposta in sede di interrogatorio, cui viene condizionata esplicitamente l’attenuazione della misura.
In relazione all’ordinanza, oggi impugnata, il ricorrente ne rileva sia la contrarietà alle norme di legge che il difetto di motivazione in quanto il tribunale ri chiamerebbe la giurisprudenza di legittimità in relazione all’art. 275 co. 4 cod. proc. pen., laddove consente l’applicazione della misura coercitiva all’ultrasettantenne, fondando il rischio di recidiva unicamente sui precedenti dell’imputato e sulle sue relazioni con soggetti ‘ndranghetisti, senza valutare la risalenza dei fatti rispetto all’applicazione della misura, l’assenza di elementi tali da far ritenere l’attualità di un’attività criminale come quella contestata, :’assenza di precedenti o pendenze dal momento della scarcerazione avvenuta il 4/3/2017 ed, infine, l’assenza di contestazioni al di là di quelle di cui al capo 3).
Viene ritenuta non condivisibile la motivazione del provvedimento impugNOME laddove sottolinea il rinvenimento dell’autovettura rubata al momento dell’esecuzione dell’ordinanza come indice della dedizione dell’indagato ad attività
delittuose dell’indagato e l’intraneità dello stesso a circuiti delinquenziali di elevato spessore criminale.
Sul punto espressamente la difesa ribadisce che la violazione dell’art. 73 d.P.R. 309/90 è cessata il 7/4/2022, tanto che null’altro è stato rilevato a carico del COGNOME, pur essendo proseguite le attività di indagine, né sussisteva al momento dell’arresto alcun elemento idoneo a dimostrare il rischio di recidiva, mentre COGNOME NOME e COGNOME NOME non risultano coinvolti nel reato di cui all’art. 73 a carico dell’imputato.
Si ribadisce che per il fatto contestato al capo 14) (delitto di ricettazione), per il quale il COGNOME è l’unico indagato, lo stesso non è stato sottoposto ad alcun provvedimento coercitivo e dalle indagini non è emerso alcun coinvolgimento in ipotesi analoghe di furto, ricettazione e riciclaggio di autoveicoli. Pertanto, si defi nisce apparente e contraddittoria la motivazione dell’impugNOME provvedimento laddove conclude per la certezza del pericolo di reiterazione del reato tale da derogare il divieto di cui all’art. 275 co. 4 cod. proc. pen.
Si contesta la valorizzazione in senso negativo del grave lutto per la perdita della figlia subito dal ricorrente allorquando avrebbe dovuto avere una valenza di segno opposto.
Una mera formula di stile viene definita la considerazione dell’inadeguatezza di particolari modalità di controllo come il braccialetto elettronico.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge.
Il PG ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati appaiono infondati.
Per contro, il provvedimento impugNOME appare contrassegNOME da motivazione che, secondo il perimetro di cognizione del giudice di legittimità in sede cautelare, contiene l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determiNOME e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (anche con riferimento alla puntuale analisi delle specifiche doglianze difensive), oltre ad essere corretto in diritto.
Ne deriva il proposto ricorso va rigettato.
Va premesso che questa Corte Suprema è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione
con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (…) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice dì merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, COGNOMECOGNOME Rv. 252178). Conseguentemente, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai princip di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME e altri, Rv. 237475);
Parametro ermeneutico centrale ai fini della delimitazione della cognizione della Corte in materia cautelare è quello secondo il quale non è conferita a questo giudice di legittimità alcuna possibilità di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, né dello spessore degli indizi; e non è dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate. Donde l’inammissibilità delle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono in realtà nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., tra le altre, Sez.1, n.7445/2021).
3. Va anche ricordato che, secondo il costante orientamento di codesta Corte, la decisione del giudice sull’appello avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca o sostituzione di una misura cautelare è vincolata, oltre che dall’effetto devolutivo proprio di questo tipo d’impugnazione, per cui la sua cognizione non può superare i confini tracciati dai motivi, anche dalla natura del provvedimento impugNOME, che è del tutto autonomo rispetto all’ordinanza impositiva della misura.
Il giudice, pertanto, non deve riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni dì applicabilità della misura stessa, ma solo stabilire se il provvedimento gravato sia immune da violazioni di legge ed adeguatamente motivato in
relazione all’eventuale allegazione di fatti nuovi, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare il quadro probatorio o ad influire sull’esigenza della misura cautelare, fermo restando il dovere, in ogni caso, e cioè anche indipendentemente da qualsiasi sollecitazione dell’interessato, di revocare immediatamente la misura allorché ne siano venute meno le condizioni di applicabilità (ex multis, Sez. 6, n. 45826 del 27/10/2021, Rv. 282292 – 01; Sez. 2, n. 1134 del 22/02/1995, Rv. 201863).
A differenza del riesame, la cognizione del giudice d’appello cautelare, a differenza di quanto previsto per il riesame, quale mezzo totalmente devolutivo, è limitata ai punti cui si riferiscono i motivi di gravame e a quelli ad essi strettamente connessi, pur non essendo condizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni in diritto poste a base della decisione impugnata Sez. 3, n. 28253 del 9/6/2010 B. Rv. 248135; Sez. 2, n. 18057 del 1/4/2014, Campana, Rv. 259712; Sez. 5, n. 30828 del 29/5/2014, Rv. 260484)
L’appello cautelare di cui all’art. 310 cod. proc. pen. ha la fisionomia strutturale e strumentale degli ordinari mezzi di impugnazione, con la conseguenza che allo stesso si applicano le norme generali in materia, tra cui le disposizioni di cui agli artt. 581 e 591 cod. proc. pen.; ne deriva che l’impugnazione deve non solo indicare i capi e i punti ai quali si riferisce, ma anche enunciare i motivi, con l’in dicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta (Sez. 5, n. 9432 del 12/1/2017, Cimino, Rv. 269098
Tanto premesso, non colgono nel segno le doglianze proposte dal difensore ricorrente che non vi sia stata adeguata valutazione dell’età avanzata del suo assistito.
Il tribunale milanese, con motivazione logica e congrua e corretta in punto di diritto, dà, infatti, conto dei motivi per cui ritiene che permangano le esigenze cautelari di particolare gravità e per cui non viene ritenuta sufficiente la misura degli arresti domiciliari anche con l’eventuale adozione del braccialetto elettronico.
Il giudice del gravame cautelare ha motivatamente escluso che l’età dell’indagato possa integrare un fatto nuovo idoneo a influire 5u11’esigenza della misura custodiale e ha formulato un giudizio di persistenza delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza sorretto da motivazione immune da censure.
In particolare, nel provvedimento impugNOME il tribunale ha correttamente valorizzato i caratteri dell’attività di spaccio posta in essere dal ricorrente, non episodica né occasionale, bensì strutturata (attraverso plurimi canali di approvvigionamento e vari collaboratori) al quale il ricorrente era estremamente dedito (circostanza dimostrata anche dal fatto che l’attività di spaccio non si fosse interrotta nemmeno in seguito all’arresto del fornitore).
A tali aspetti -come si legge nell’ordinanza impugnata- si aggiungono, peraltro, il contesto in cui l’attività di spaccio veniva svolta e l’allarmante personali del ricorrente, delineata non solo dalla oggettiva gravità dei precedenti penali, bensì anche dalla capacità in concreto dimostrata di mantenere inalterati contatti e relazioni illecite nel circuito della criminalità organizzata, nonostante egli fosse stato già sottoposto ad un periodo di detenzione. Pacifica, dunque, la incontestabile insofferenza dello stesso al rispetto delle prescrizioni impostegli e, per l’effetto, del mancato conseguimento di qualsivoglia effetto dissuasivo, ottenibile soltanto attraverso l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere.
Con motivazione priva di aporie logiche il giudice del gravame cautelare dà atto che il COGNOME, dopo una carcerazione di circa trent’anni è risultato ancora pienamente inserito nell’ambiente criminale della RAGIONE_SOCIALE, intrattenendo rapporti con elementi della stessa e gestendo un’attività di spaccio ampia, con la partecipazione e il sostegno del proprio ambiente familiare.
Il tribunale, in altri termini, rinviene unicamente nelle caratteristiche dell’attività di spaccio di cocaina le esigenze cautelari.
Il COGNOME, peraltro gravato da precedenti gravissimi, non solo manteneva inalterate le relazioni con più persone affiliate alla locale RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, ma gestiva un’ampia attività di spaccio con plurimi canali di approvvigionamento, tanto -come si diceva in precedenza- da non avere interruzioni nemmeno dopo l’arresto del principale fornitore albanese COGNOME. Si avvaleva, inoltre, di diversi collaboratori e godeva dell’appoggio dei propri familiari che prendevano parte alla riscossione del denaro, come nel caso della moglie.
Proprio la connivenza dei familiari -secondo la logica motivazione del provvedimento impugNOME– ha contribuito ad escludere l’adeguatezza degli arresti domiciliari all’interno di un ambiente pienamente partecipe delle attività illegali.
Pienamente logico appare anche il ragionamento che esclude la possibilità di adottare la limitazione del braccialetto elettronico che nessun impedimento potrebbe rappresentare alle potenziali condotte delittuose di spaccio realizzabili presso il suo domicilio.
5. L’ordinanza impugnata, pertanto, opera un buon governo della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di misure cautelari personali, le qualificate esigenze cautelari richieste dall’art. 275, comma quarto, cod. proc. pen. si distinguono da quelle ordinarie solo per il grado del pericolo, nella specie di reiterazione, in quanto, a fronte dell’elevata probabilità di rinnovazione dell’attività delittuosa richiesta dall’art. 274 cod. proc. pen., è necessaria la certezza che l’indagato, ove sottoposto a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continui nella commissione di delitti della stessa specie di
quello per cui si procede (cfr. Sez. 6, n. 7983 del 01/02/2017, Rotunno, Rv. 269167 che ebbe a rigettare il ricorso dell’imputato avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame che, confermando la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei confronti del ricorrente, ultrasettantenne, aveva ravvisato la sussistenza delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nella quantità di precedenti penali e giudiziari per delitti relativi allo spaccio di sostanze stupefacenti, alcun dei quali commessi mentre era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, ritenendoli sintomatici della sua insofferenza a qualunque prescrizione e della possibilità di conseguire un effetto dissuasivo solo in via coatta attraverso la custodia cautelare; conf. Sez. 2, n. 32472 del 08/06/2010, COGNOME, Rv. 248352 – 01).
Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Vanno dati gli avvisi di cui all’art. 94 c. 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 3 aprile 2024
Il C sigliere estensore
Il Presi,nte