Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1203 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1203 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 1776/2024
ALDO ACETO
CC – 18/12/2024
NOME COGNOME
R.G.N. 35198/2024
NOME COGNOME
Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a COSENZA il 19/11/1976
avverso l’ordinanza del 24/09/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Catanzaro udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. NOME COGNOME con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette conclusioni scritte della difesa, con cui lÕavv. NOME COGNOME riportandosi integralmente ai motivi, ne ha chiesto lÕaccoglimento.
Con ordinanza del 24 settembre 2024, il Tribunale del riesame di Catanzaro rigettava lÕappello cautelare personale proposto nellÕinteresse di NOME COGNOME avverso lÕordinanza dellÕ8 maggio 2024 emessa dal Tribunale di Cosenza con cui era stata rigettata lÕistanza volta alla revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari o alla relativa sostituzione con una misura meno afflittiva, in quanto imputato del reato di cui al capo 106 dellÕordinanza (art 73, Tu Stup, aggravato art. 416-bis.1, cod. pen.).
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dellÕimputato, articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione art. 173, disp. Att., cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione allÕart. 124, comma 3, cod. proc. pen. e in relazione agli artt. 12, lett. b) e c), 273, 297, comma 3, 303, cod. proc. pen. e 73, comma 1, d.P.R. 309 del 1990 nonchŽ per omessa, manifesta illogicitˆ della motivazione e travisamento della prova dichiarativa e documentale allegata.
In sintesi, si premette che nei motivi di appello era stata eccepita l’omessa motivazione da parte del tribunale di Cosenza che, nel rigettare la richiesta di perdita di efficacia della misura cautelare, non aveva analizzato in alcun modo la testimonianza di COGNOME su cui era incentrata l’istanza difensiva. I giudici del riesame, anzichŽ dichiarare la nullitˆ dell’ordinanza e disporre la trasmissione degli atti, hanno invece rigettato l’appello con una motivazione che non pu˜ considerarsi integrativa della prima perchŽ mancante, con ci˜ dunque non conformandosi alla giurisprudenza di legittimitˆ (si cita in ricorso, Cass. n. 45234 del 2014). Censurabile poi dovrebbe ritenersi la motivazione dell’ordinanza nella parte in cui ha rigettato l’appello partendo da un presupposto errato, ossia quello secondo cui al ricorrente verrebbe contestata la mera detenzione della sostanza stupefacente e non invece, per come indicato nel capo 106, l’acquisto e la detenzione al fine di spaccio. Se cos’ non fosse, si osserva, la deposizione del teste COGNOME dovrebbe dirsi completamente travisata in quanto il teste ha confermato che dalle intercettazioni relative al procedimento 1948/19 sarebbe emerso l’acquisto e la detenzione della sostanza stupefacente, mentre dal procedimento 1998/19 sarebbe emersa l’attivitˆ di spaccio (si riporta alle pagine 3/4 del ricorso lo stralcio della trascrizione relativa all’esame del teste COGNOME da parte della difesa). Si osserva come nell’ambito del presente procedimento la polizia giudiziaria non aveva denunciato il ricorrente per presunte condotte illecite, ma lo aveva indicato nell’informativa finale soltanto come vittima del delitto di estorsione contestata al capo 103 della rubrica, reato per il quale il ricorrente si sarebbe costituito parte civile (si riporta alle pagine 4/5 lo stralcio della trascrizione dell’esame del teste COGNOME da parte della difesa). Ne conseguirebbe dunque che anche l’affermazione secondo la quale non vi sarebbe prova, ai fini della configurabilitˆ del , che le cessioni di narcotico oggetto del primo procedimento si sarebbero saldate senza soluzione di continuitˆ con la detenzione del narcotico imputata nel procedimento , nŽ che le cessioni oggetto del procedimento 1998/19 concernevano la sostanza detenuta all’interno del predetto procedimento, costituirebbe un evidente travisamento della prova rispetto alle dichiarazioni sopra riportate. Che si tratti peraltro della medesima sostanza stupefacente lo si evincerebbe dal indicato nei due procedimenti, in quanto le
ipotesi di cessione di cui al procedimento penale n. 1998 andrebbero dal dicembre 2018 al maggio 2020, mentre l’ipotesi descritta nel capo 106 del procedimento odierno sarebbe stata commessa in epoca precedente al 7 settembre 2019: alla luce di tale rilievo cronologico, censurabile sarebbe la motivazione secondo cui, anche a fronte di una parziale sovrapposizione temporale fra le due condotte, non vi sarebbero dati da cui desumere che il narcotico detenuto nell’ambito del presente procedimento e le singole cessioni per cui è stata sentenza giustifichi l’applicazione del , considerando che nel presente procedimento risulta contestata la detenzione a fini di cessione a terzi di un quantitativo di 50 grammi di cocaina oltre a un quantitativo ulteriore, di quantitˆ imprecisata, del medesimo tipo di narcotico. Si tratterebbe di un travisamento della prova dichiarativa sopra riportata e comunque da un omissiva ed elusiva degli articoli 297 comma terzo e 303 cod. proc. pen. Omissiva, anzitutto, in quanto non sarebbe stata valutata la circostanza che nell’atto di appello era stato dimostrato che la sostanza ceduta dal dicembre 2018 al maggio 2020 fosse quantitativamente superiore a quella indicata nell’attuale imputazione , dunque idonea a ricomprendere anche quest’ultimo. Omissiva, ancora, perchŽ nel procedimento conclusosi in maniera definitiva con sentenza di patteggiamento il lasso temporale risulta molto più ampio e racchiude anche quello oggetto del capo 106 della rubrica. Elusiva del dettato delle predette disposizioni processuali, infine, in quanto la dichiarata sovrapposizione temporale avrebbe perlomeno dovuto far dichiarare la perdita di efficacia della misura cautelare per decorrenza dei termini di durata massima in conseguenza della connessione qualificata. La difesa infatti aveva allegato anche lo stralcio della richiesta di applicazione della misura e dell’ordinanza di custodia cautelare da cui risultava che le uniche fonti di prova utilizzate al fine di ricostruire lÕipotesi delittuosa contestata e il titolo custodiale risulterebbero proprio le intercettazioni riferibili al procedimento 1998. Il tribunale, tuttavia, con un’argomentazione che travisa completamente quanto dimostrato attraverso la documentazione allegata, avrebbe omesso qualsiasi motivazione in ordine a quanto dedotto nei motivi d’appello. Del resto, si aggiunge, se la sostanza oggetto del procedimento n. 1998 non fosse la stessa di quella indicata nel capo 106 della rubrica, non si individuerebbe la ragione per cui la polizia giudiziaria, l’ufficio di procura e lo stesso giudice della cautela avrebbero dovuto richiamare quel procedimento in quello attuale, ribadendo che, al fine di provare la cessione a terzi, le uniche fonti di prova indicate negli atti sono quelle riferibili al procedimento n. 1998, donde sarebbe lapalissiana anche la violazione dell’articolo 73 del testo unico stupefacenti.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione allÕart. 125, comma 3, cod. proc. pen. e correlato vizio di omessa e manifesta illogicitˆ della motivazione e di erronea applicazione degli artt. 274, 275 e 299 cod. proc. pen.
In sintesi, si premette che nei motivi di appello la difesa aveva lamentato l’omessa motivazione da parte del tribunale di Cosenza in ordine alle doglianze che erano state sviluppate nell’istanza ai sensi dellÕart. 299 cod. proc. pen. Oltre al tempo trascorso era stato evidenziato il ridimensionamento dei fatti per come emersi in sede istruttoria, i diversi trattamenti riservati ad altri computati, il comportamento integerrimo assunto dal cautelato durante la misura anche rispetto alla costituzione di parte civile del ricorrente nell’ambito del presente procedimento, cui è legato lo scopo di collaborare con la giustizia per l’accertamento della veritˆ. Il tribunale avrebbe omesso di esaminare l’eccezione di nullitˆ della motivazione adottando per la prima volta una motivazione per rigettare i motivi di appello. Censurabile sarebbe inoltre l’ordinanza in esame che, discostandosi dal granitico orientamento di questa Corte e senza considerare l’ottimo comportamento serbato dall’imputato nel corso della misura, ha ritenuto, quanto al tempo trascorso dai fatti, che lo stesso assumerebbe rilievo nella sola fase di applicazione della misura e che, terminata la fase di applicazione, il tempo trascorso tra i fatti contestati e l’applicazione della misura non potrebbe più venire in rilievo. Si tratterebbe di un’affermazione che colliderebbe con la disposizione processuale dell’articolo 299 che prevede la possibilitˆ di revocare o sostituire le misure anche quando viene meno o si attenui l’attualitˆ delle esigenze cautelari, tendendo a trasformare le predette misure in una forma anticipata della pena. Dunque, il lasso temporale, unitamente a tutte le circostanze sopraindicate, avrebbero dovuto far ritenere assenti ovvero fortemente scemate, nel caso in esame, le esigenze cautelari, come avvenuto peraltro nell’ordinanza di sostituzione della misura emessa in favore di altri coimputati del ricorrente. Si aggiunge inoltre come il mero richiamo al dato secondo cui l’imputato sarebbe stato condannato per fatti della stessa specie di quelli per cui si procede, costituisce motivazione apparente in quanto non spiega come una condanna, emessa nel 2021 è giˆ interamente espiata anche usufruendo della liberazione anticipata, possa ancora far ritenere concreto ed attuale il pericolo di recidiva, Quanto sopra rappresenta un percorso argomentativo manifestamente illogico ove si consideri che i fatti oggetto della precedente condanna sarebbero avvinti dal vincolo della continuazione con quelli oggetto del presente processo. Non risulterebbe inoltre alcuna motivazione in punto di adeguatezza della misura e di idoneitˆ in merito alla meno afflittiva misura richiesta, nonostante la novitˆ degli elementi portati all’attenzione del giudice. Infine, dovrebbe considerarsi manifestamente illogica l’affermazione di cui all’ordinanza secondo cui non potrebbe essere effettuata una prognosi di condanna nel senso evidenziato dalla difesa (ossia vincolo di continuazione tra le condotte) ci˜ che renderebbe il tempo di sottoposizione al presidio autocustodiale proporzionato alla pena che si presume verrˆ erogata dalla all’appellante, ci˜ laddove si consideri che il ricorrente si trova cautelato da oltre due anni e che nel procedimento n. 1998 egli è stato condannato alla pena di tre anni e due mesi di reclusione.
In data 29/11/2024 sono state trasmesse a questo Ufficio le conclusioni scritte del Procuratore generale, con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Quanto al primo motivo, si osserva, con riferimento alla censura secondo cui, a fronte della eccezione di omessa motivazione del provvedimento appellato, il TdR non abbia dichiarato la nullitˆ dello stesso ma abbia provveduto a sostituirlo con un proprio autonomo ragionamento giustificativo, che la tesi è manifestamente infondata. In tema di appello cautelare, il tribunale del riesame, sia pure nei limiti del principio devolutivo, che demanda al giudice di appello la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi proposti, non pu˜, a fronte della assoluta mancanza di motivazione dell’ordinanza impugnata, disporne l’annullamento ma, in applicazione del principio generale in tema di impugnazioni di cui all’art. 604 cod. proc. pen., deve provvedere a redigere, in forza dei pieni poteri di cognizione e valutazione del fatto, la motivazione mancante (Sez. 6, n. 1114 del 07/12/2022, dep 2023, Rv. 284165 Ð 01) e ci˜ in quanto anche in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015, il giudice pu˜ integrare il provvedimento impugnato, rispetto a motivazioni mancanti o non contenenti una autonoma valutazione degli indizi e delle esigenze cautelari o degli elementi forniti dalla difesa (Sez. 3, n. 845 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 265646 Ð 01). Tanto premesso Ð e considerato ancora che nessuna assoluta mancanza di motivazione pu˜ plasticamene riscontrarsi nel provvedimento impugnato – il TdR risulta al più aver integrato il ragionamento giustificativo del primo giudice, al momento del confrontarsi con le doglianze che, sul punto, erano state esplicitate con i motivi di appello; e ci˜ proprio con particolare riferimento alla valutazione della deposizione testimoniale resa nellÕambito del processo di cui la difesa assume la connessione (a fini della dichiarazione di inefficacia della misura cautelare applicata al ricorrente). La seconda censura contenuta nel primo motivo è immediatamente inammissibile, perchŽ si sostanza in una sollecitazione ad una diversa lettura della sopra citata deposizione testimoniale: sul significato non univoco Ð cioè non dimostrativo della corrispondenza fra lo stupefacente oggetto di detenzione e quello oggetto di cessione Ð il TdR si è espresso con motivazione esente da manifeste aporie logiche.
Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso, immune da violazioni di legge o manifeste aporie logiche essendo la valutazione sulla persistenza e intensitˆ del
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In data 3/12/2024 sono pervenute le conclusioni scritte della difesa, con cui il difensore, riportandosi integralmente ai motivi, ne ha chiesto lÕaccoglimento.
Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile perchŽ generico e manifestamente infondato.
2.1. Anzitutto, va richiamato in questa sede il principio, giˆ ricordato dal procuratore generale, secondo cui in tema di appello cautelare, il tribunale del riesame, sia pure nei limiti del principio devolutivo, che demanda al giudice di appello la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi proposti, non pu˜, a fronte della assoluta mancanza di motivazione dell’ordinanza impugnata, disporne l’annullamento ma, in applicazione del principio generale in tema di impugnazioni di cui all’art. 604 cod. proc. pen., deve provvedere a redigere, in forza dei pieni poteri di cognizione e valutazione del fatto, la motivazione mancante (Sez. 6, n. 1114 del 07/12/2022, dep 2023, Rv. 284165 Ð 01) e ci˜ in quanto anche in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015, il giudice pu˜ integrare il provvedimento impugnato, rispetto a motivazioni mancanti o non contenenti una autonoma valutazione degli indizi e delle esigenze cautelari o degli elementi forniti dalla difesa (Sez. 3, n. 845 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 265646 Ð 01).
2.2. Il motivo è poi generico in quanto mostra di non confrontarsi con la motivazione di cui al provvedimento impugnato che ha chiarito le ragioni per le quali non vi fossero nel caso di specie i presupposti per lÕapplicabilitˆ della c.d. contestazione a catena, con retrodatazione dei termini di custodia cautelare alla data dellÕemissione della prima ordinanza, ossia il 23 marzo 2021, con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare per lo spirare del termine di durata massimo di fase.
I giudici del riesame, in particolare, muovono dal corretto assunto per cui il punto saliente dell’appello cautelare concerneva la possibilitˆ di considerare i fatti oggetto del presente procedimento come identici – o, per come prospettato dalla difesa, in subordine, – connessi a quelli imputati nel procedimento n. 1998/2019 R.G.N.R., con la conseguenza di considerare spirati i termini massimi di custodia cautelare, stante il meccanismo della retrodatazione dei termini di efficacia di cui alla “seconda” ordinanza” al momento della esecuzione/notificazione della prima ordinanza. Ricorda il Tribunale che la questione era stata giˆ oggetto di apposita doglianza difensiva in sede di riesame avverso l’ordinanza genetica; in quella occasione (il richiamo è allÕordinanza emessa a seguito della camera di consiglio di cui all’udienza del 27 settembre 2022), il Tribunale riteneva infondato il rilievo difensivo, argomentando che si trattasse di fatti diversi sia dal punto di vista naturalistico sia dal punto di vista giuridico-normativo. Ribadito in sede di appello cautelare un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di stupefacenti (Sez. 3, n. 7404 del 15/01/2015, Rv. 262421 Ð 01; Sez. 3, n. 23759 del 10/02/2023, Rv. 284666 Ð 01), il Tribunale osservava come occorresse valutare se le deduzioni difensive – gli elementi arguibili dalla deposizione del teste COGNOME – fossero idonee a superare la
determinazione del Tribunale in sede di riesame. Nel caso di specie, con motivazione immune dai denunciati vizi, i giudici del riesame hanno ritenuto insussistenti i presupposti per la configurabilitˆ del , giacchŽ non vi è prova che le cessioni di narcotico oggetto del primo procedimento si siano saldate, senza soluzione di continuitˆ, oggettiva e cronologica, con la detenzione del narcotico imputata nel procedimento , nŽ che le cessioni oggetto del procedimento 1998/2019 concernessero quella sostanza detenuta all’interno del procedimento “Reset”. L’elemento di novitˆ, rappresentato dalle risultanze dibattimentali emerse dalla deposizione del teste COGNOME per il Tribunale, non infirmava tale asserzione. Dalla deposizione del teste di NOMECOGNOMEdi cui, oltre alla allegazione totale, venivano in sede di appello cautelare riprodotti i passi considerati salienti dalla difesalungi dall’arguirsi che la sostanza spacciata dal prevenuto nell’ambito del procedimento fosse la stessa, si desume come le intercettazioni apprese nel procedimento poi confluito in quello n. 3804/2017 dessero conto di un debito di droga di cui il COGNOME era gravato, e dunque della sostanza stupefacente dal medesimo detenuta. Mediante la ricostruzione effettuata attraverso le ulteriori risultanze investigative si era ricostruita l’intera vicenda, che vede COGNOME, oltre come imputato, persona offesa di un contegno estorsivo finalizzato al recupero del prezzo del narcotico a lui ceduto. Da tali dichiarazioni testimoniali, dunque, per i giudici del riesame, non si evince in alcun modo la perfetta corrispondenza tra l’oggetto della detenzione e quello della cessione dello stupefacente, tale da far desumere l’identitˆ naturalistica o normativo-sociale del fatto. Non censurabile è, in particolare, lÕaffermazione secondo cui, anche a fronte di una parziale sovrapposizione temporale tra le due condotte -i fatti oggetto del procedimento 1998/2019 RGNR erano contestati dal dicembre 2018 al maggio 2020, mentre il capo 106 del presente procedimento reca come tempo del commesso reato “in epoca antecedente al 07.9.2019”-, non vi sarebbero dati da cui desumere che quel narcotico detenuto nell’ambito del presente procedimento e le singole cessioni per cui vi è stata sentenza art. 444 c.p.p. avessero ad oggetto la stessa sostanza; considerato, peraltro, che nel presente procedimento viene contestata la detenzione ai fini di cessione a terzi di un quantitativo di 50 grammi di cocaina oltre ad un quantitativo ulteriore, di quantitˆ imprecisata, del medesimo tipo di narcotico. La conclusione, ricorda correttamente il tribunale, è conforme all’orientamento espresso dalle Sez. Un. 34655/2005, nonchŽ a quello del Giudice delle leggi (C. cost., n. 200 del 2016), secondo cui la nozione di “stesso fatto” non pu˜ essere circoscritta alla sola azione od omissione senza ricomprendervi l’evento naturalistico ed il nesso causale tra condotta ed evento – o modificazione della realtˆ conseguita al comportamento dell’agente-.
2.3. Aggiungono, ancora, i giudici del riesame come risulterebbero, pure, esclusi gli altri presupposti per il radicamento del meccanismo di cui all’art. 297 comma 3, cod. proc. pen. Sul punto, viene richiamata correttamente la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “l’onere della dimostrazione della desumibilitˆ dei fatti dagli atti, ma anche
della connessione qualificata tra i diversi fatti, grava sulla parte che, nel procedimento di riesame, invochi l’applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare (Sez. 3, n. 18671 del 15/01/2015, COGNOME, Rv. 263511; Sez. 2, n. 6374 del 28/01/2015, COGNOME, Rv. 262577). Nel caso di specie, ribadisce il Tribunale, non risulta provato che la condotta di detenzione di sostanza stupefacente, nelle caratteristiche oggettive e soggettive emerse nel procedimento 1948/2019- poi confluito nel 3804/2017- fosse desumibile dagli atti, essendo dirimente il dato, evidenziato dal giudice di prime cure, che i contegni oggetto del capo 106 non hanno formato oggetto di valutazione ai fini dell’emissione della misura cautelare nell’ambito del procedimento n. 1998/2019. DimodochŽ, si aggiunge ineccepibilmente, anche a voler considerare i fatti come connessi, deve desumersi che non si è radicato il presupposto della desumibilitˆ, negli estremi chiariti dalla giurisprudenza di legittimitˆ, secondo cui il compendio a disposizione della parte pubblica deve essere connotato da “significativitˆ processuale, tale da consentire al Pubblico ministero di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravitˆ delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo alla richiesta ed all’adozione di una misura cautelare” (Cass., Sez. 6, n. 27319 del 2023). Nel caso di specie, puntualizza il tribunale, il giudice di prime cure riportava, condivisibilmente, una serie di RIT utili a ricostruire l’intera e complessiva vicenda valutata nella mozione cautelare e nel titolo genetico oggetto del procedimento “Reset”. Invero, come affermato dallo stesso teste COGNOME, gli investigatori arguivano l’approvvigionamento dello stupefacente da parte del COGNOME dalle conversazioni in cui i creditori si organizzavano per la riscossione – con violenza e/o minaccia- del credito illecito. A fronte del quadro di cautela cos’ come cristallizzato, per i giudici del riesame, alcun elemento di novitˆ suscettivo di disarticolare lo stesso è stato prospettato dal ricorrente.
2.4. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente si appalesano dunque prive di pregio, in quanto si risolvono nel ÒdissensoÓ sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal Tribunale del riesame, operazione vietata in sede di legittimitˆ, attingendo la ordinanza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per vizi motivazionali con cui, in realtˆ, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte.
Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimitˆ operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nŽ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilitˆ di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 3416 del 26/10/2022 Ð dep. 26/01/2023, Lembo, n.m.; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, COGNOME, Rv. 215745; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, COGNOME, Rv. 246552).
Anche il secondo motivo si espone agli stessi profili di inammissibilitˆ del primo.
3.1. Sul punto, infatti, i giudici del riesame, con motivazione del tutto scevra da illogicitˆ manifeste o dai dedotti travisamenti probatori, osservano condivisibilmente che in ordine al tempo trascorso dai fatti contestati, esso assume rilievo nella sola fase di applicazione della misura. Nella fase di applicazione della misura cautelare, infatti, come più volte affermato da questa Corte, il requisito dell’attualitˆ del pericolo, previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., richiede, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilitˆ di condotte reiterative, alla stregua di un vaglio della fattispecie concreta che tenga conto delle modalitˆ realizzative della condotta, della personalitˆ del soggetto e del contesto socio-ambientale; analisi che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti (cfr. tra le tante, Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, Avolio, Rv. 277242). Terminata la fase di applicazione, quindi, il tempo trascorso tra i fatti contestati e l’applicazione della misura non pu˜ più venire in rilievo (Sez. 2, n. 46368 del 14/09/2016, COGNOME, Rv. 268567). Nella successiva fase, il solo riferimento al periodo di sottoposizione al regime cautelare ed al rispetto delle prescrizioni connesse a tale – che si caratterizza come elemento fisiologico del regime cautelare- sono elementi da soli insufficienti a determinare un mutamento del quadro di cautela.
3.2. Quanto al trattamento cautelare previsto per altri coimputati, in punto di revoca o modifica della misura in atto, correttamente il Tribunale afferma poi che non pu˜ costituire un elemento dirimente il fatto che nell’ambito del medesimo procedimento altri coimputati godano, per effetto di provvedimenti maggiormente favorevoli adottati nei loro confronti, di un trattamento cautelare più mite rispetto a quello previsto per il ricorrente, giacchŽ in forza del principio espresso sul punto da questa Corte, in tema di revoca o modifica della misura cautelare, il provvedimento favorevole emesso nei confronti di un coindagato pu˜ costituire fatto nuovo sopravvenuto, del quale tener conto ai fini della rivalutazione del quadro indiziario, ma non delle esigenze cautelari, che devono essere vagliate con riferimento a ciascun indagato” (Sez. 1, n. 20281 del 18.02.2016). Le considerazioni che precedono, dunque, conducono logicamente i giudici del riesame ad affermare che alcun elemento di novitˆ fosse suscettivo di incidere sul quadro di cautela, anche avuto riguardo alla personalitˆ trasgressiva dell’imputato, il quale è stato condannato – come ampiamente riferito in quella sede- per fatti della stessa specie di quelli per cui si procede; ci˜ rendendo concreto ed attuale il pericolo di ricaduta nel reato.
3.3. NŽ, allo stato, concludono altrettanto logicamente i giudici del riesame, per le valutazioni testŽ riferite, avrebbe potuto essere effettuata una prognosi di condanna nel senso evidenziato dalla difesa -vincolo di continuazione tra le condotte-, il che per il collegio della cautela rendeva, di certo, il tempo di sottoposizione al presidio autocustodiale proporzionato alla pena si presume verrˆ irrogata all’attuale ricorrente.
Anche in relazione a tale profilo, come del resto correttamente evidenziato dal procuratore generale, il motivo è del tutto privo di pregio, avendo il tribunale del riesame fornito spiegazione logica ed adeguata in ordine alle ragioni della insussistenza di elementi idonei a graduare in senso meno afflittiva la misura attualmente applicata, valorizzando gli elementi idonei ad escludere che gli elementi rappresentati (ridimensionamento dei fatti per come emersi in sede istruttoria, i diversi trattamenti riservati ad altri computati, il comportamento integerrimo assunto dal cautelato durante la misura anche rispetto alla costituzione di parte civile del ricorrente nell’ambito del presente procedimento) non rivestissero valenza dirimente agli effetti dellÕinvocata istanza difensiva.
3.4. A ci˜ si aggiunga, infine, che in tema di impugnazione avverso il diniego di revoca (o sostituzione) di misure cautelari personali, le censure sull’apprezzamento dei singoli elementi indizianti non possono trovare ingresso in sede di legittimitˆ, essendo tale giudizio istituzionalmente limitato al controllo dell’esistenza di una motivazione del provvedimento che prenda in esame tutte le deduzioni dell’istante e la congruitˆ logica del collegamento tra le singole proporzioni, nel senso che non siano in contrasto tra loro in modo tale da non consentire di ripercorrere l'”iter” logico seguito dal giudice di merito per pervenire alla decisione (Sez. 1, n. 2525 del 29/05/1992, Rv. 191026 Ð 01): motivazione, nella specie, adeguata e coerente con le emergenze processuali. E invero, il controllo di legittimitˆ deve anche in tal caso limitarsi alla verifica dell’esistenza, nella decisione impugnata, di una motivazione adeguata e non manifestamente illogica, idonea a dimostrare la perduranza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274, sul presupposto implicito che non siano venute meno nel frattempo le condizioni di applicabilitˆ della predetta misura cautelare (Sez. 2, n. 3944 del 13/10/1993, Rv. 195228 Ð 01).
4. Il ricorso deve conclusivamente essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Cos’ deciso, il 18/12/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME