Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17170 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17170 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CINQUEFRONDI il 29/10/1982
avverso l’ordinanza del 12/09/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
Non è presente il difensore del ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza resa in esito all’udienza camerale del 12 settembre 2024, il Tribunale del riesame di Catanzaro rigettava l’appello proposto, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., da NOME COGNOME avverso il provvedimento del 21 giugno 2023, con il quale la Corte di appello di Catanzaro aveva respinto la sua istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con altra misura meno afflittiva.
La misura di massimo rigore era stata originariamente applicata in relazione alla condotta di partecipazione ad associazione di stampo ‘ndranghetistico, reato per il quale COGNOME era stato condannato, nei due gradi di merito, alla pena di dodici anni di reclusione.
Escludeva il Tribunale adito la sopravvenienza di elementi di novità tali da incidere sull’originario quadro cautelare ed attenuare le già ravvisate esigenze.
Richiamata la duplice presunzione di legge di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il Tribunale giudicava inidonei a superarla gli elementi addotti dalla difesa, attesa, in primo luogo, l’irrilevanza del tempo decorso dai fatti, indicatore che avrebbe potuto esercitare qualche influenza solo nella fase di applicazione della misura cautelare, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cita Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, Avolio, Rv. 277242 – 01 e Sez. 2, n. 46368 del 14/09/2016, COGNOME Rv. 268567 – 01), ma non in quella successiva.
Né il solo riferimento al periodo di carcerazione e al rispetto delle prescrizioni connesse al regime detentivo, caratterizzantesi come elemento fisiologico del regime cautelare, avrebbe potuto incidere sul quadro cautelare.
In sede di riesame, d’altro canto, era stato già vagliata e superata la circostanza, dedotta dalla difesa, per cui l’imputato avrebbe svolto un ruolo, in seno all’associazione ‘ndranghetistica, solamente fino al 2015.
Di contro, risultavano censiti segmenti di condotta delittuosa attuati in epoca successiva al 2015, come desumibile dalla conversazione riportata a pag. 17 dell’ordinanza resa dal Tribunale del riesame in data 14 febbraio 2020, nel corso della quale COGNOME discorreva del patrimonio conoscitivo della cosca; ancora, andava evidenziato che, nello stesso procedimento, all’imputato era stato contestato il delitto di cui all’art. 610, 416-bis.1. cod. pen., commesso nel 2017.
Infine, andava considerato il coinvolgimento del COGNOME nel procedimento “RAGIONE_SOCIALE“, definito con una condanna per reato associativo.
In siffatto contesto, il riferimento operato dalla difesa al dialogo in cui l’imputato veniva considerato come persona che non rispettava gli impegni presi forniva una lettura solo atomistica della vicenda, che, viceversa, vedeva il COGNOME pienamente addentro alle dinamiche criminali del vibonese, interfacciandosi
dapprima con NOME COGNOME e, poi, fungendo da latore dei messaggi per il capocosca NOME COGNOME.
In definitiva, a fronte di un radicamento così intenso nella realtà mafiosa calabrese, l’elemento addotto dalla difesa non poteva affatto considerarsi indicativo di una recisione del vincolo associativo ovvero di un allontanamento irreversibile del prevenuto da tale contesto criminale e criminogeno.
NOME COGNOME per il tramite del difensore, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con cui si deducono omessa motivazione sul preteso ruolo partecipativo attribuito all’imputato e travisamento della prova.
Si rimprovera, principalmente, all’organo del riesame di essere incorso in un grossolano e macroscopico errore di persona, in quanto gli elementi addotti nell’ordinanza impugnata a sostegno della protrazione dell’appartenenza del COGNOME al sodalizio investigato in un periodo successivo al 2015 non atterrebbero a detto imputato, il quale rispondeva, nel processo d’interesse, del solo reato associativo (e non anche del delitto di cui agli artt. 610, 416-bis.l. cod. pen.) e non appariva coinvolto nel dialogo valorizzato dai giudici dell’appello cautelare.
Si censura il provvedimento de quo anche per non aver fornito alcuna risposta ai rilievi difensivi, che avevano messo in luce: a) l’assenza di elementi indiziari successivi al 2015 a carico del COGNOME; b) l’inesistenza di intercettazioni rilevanti al riguardo; c) la mancata frequentazione di sodali; d) la mancata realizzazione del programma criminoso, dal momento che al COGNOME non erano stati contestati reati-fine.
Infine, sotto il profilo della c.d. prova di resistenza, andava evidenziato che, escludendo gli elementi travisati dal Tribunale del riesame, la motivazione circa la persistenza del ruolo associativo del ricorrente dopo il 2015 restava vuota di contenuti.
Il difensore del COGNOME ha presentato tempestiva istanza di trattazione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato, perché, nel complesso, infondato.
Occorre rammentare e ribadire che, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca o sostituzione di misura cautelare personale, il Tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che
l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45826 del 27/10/2021, COGNOME, Rv. 282292 – 01; Sez. 2, n. 18130 del 13/04/2016, Antignano, Rv. 266676 – 01; Sez. 3, n. 43112 del 07/04/2015, C., Rv. 265569 – 01).
Deve aggiungersi che, in tema di misure cautelari applicate per un reato di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il c.d. “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato non costituisce oggetto di valutazione ex art. 299 cod. proc. pen. ai fini dei provvedimenti di revoca o di sostituzione della misura, rispetto ai quali l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della stessa, siccome qualificabile, in presenza di ulteriori elementi di valutazione, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari (Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590 – 01).
Di tali principi ha fatto corretta applicazione il giudice della cautela, nell’evidenziare che, ferma restando la duplice presunzione di legge di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., i fatti sopravvenuti da registrare nel procedimento d’interesse erano risultati entrambi sfavorevoli all’imputato, essendo costituiti dalle due sentenze di condanna a pena severa subita nei due gradi di merito per il reato associativo mafioso, ciò a definitiva cristallizzazione del quadro indiziario.
I rilievi difensivi sviluppati in ricorso o ripropongono temi che, per come risulta dalle premesse del provvedimento impugnato, hanno già trovato spazio nelle fasi incidentali e di cognizione, ovvero rimangono sul piano assertivo e fattuale, neppure rispettoso del principio di autosufficienza, sicché va esclusa, per essi, la connotazione di novità che avrebbe imposto al giudice dell’appello cautelare un adeguato e specifico onere motivazionale al riguardo.
In particolare, quanto al tema principale agitato in ricorso, ossia quello della dedotta inesistenza di un ruolo associativo del RIZZO successivo al 2015, la risposta fornita dal giudice dell’incidente cautelare va intesa nel senso che il tema medesimo è già stato affrontato in sede di riesame, il che, implicitamente, significa che è stato superato e che non costituisce, perciò, un elemento di novità sopravvenuto da spendere in sede di appello cautelare.
Quanto, poi, alle censure di travisamento sul dialogo apprezzato dal Tribunale per attestare l’efficienza in ambito associativo del RIZZO anche dopo il 2015, il denunciato errore di persona resta – come prima accennato – relegato sul piano dell’asserzione generica e non autosufficiente, perché il difensore non ha
allegato la conversazione valorizzata dall’organo de libertate
e non ha indicato il nome della persona alla quale il Tribunale avrebbe sostituito il COGNOME nelle sue
valutazioni.
Infine, non avendo la difesa prodotto le sentenze di condanna rese nei confronti del ricorrente, non è dato riscontrare l’esattezza dell’affermazione circa
la sua assoluzione dal concorrente reato di violenza privata aggravata, che, a detta della difesa, sarebbe stato richiamato dal Tribunale del riesame per spostare in
avanti il termine della condotta delittuosa ascritta al ricorrente.
Resta, in conclusione, non scalfita dalle censure difensive la duplice affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, a proposito, da un lato,
della inesistenza di elementi di novità sopravvenuti, favorevoli all’imputato, suscettibili di giustificare una rivisitazione del quadro cautelare e/o il superamento
della duplice presunzione legale di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e, dall’altro, dell’esistenza di un elemento obiettivamente sfavorevole costituito dalla
duplice condanna subita dall’imputato medesimo nei gradi di merito.
4. Dal rigetto del ricorso discende ex lege la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2025