Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 46358 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 46358 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 12/12/1995 in Nigeria avverso l’ordinanza del 11/06/2024 del Tribunale di Trento;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in oggetto, il Tribunale di Trieste, in funzione di giudice dell’appello cautelare, ritenendo che non fossero intervenuti elementi di novità, confermava il rigetto, da parte della Corte d’appello, dell’istanza di sostituzione della custodia cautelare disposta dal Giudice per le indagini preliminari nei
confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di detenzione e vendita di sostanze stupefacenti (rispettivamente, artt. 73, comma 1, d.P.R. 10 ottobre 1990, n. 309 e 73, comma 1; 80, comma 1, lett. a, d.P.R. del 9 ottobre 1990, n. 309).
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso, nell’interesse dell’imputato, l’Avvocato NOME COGNOME deducendo i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge penale sostanziale e vizio di motivazione quanto ai nuovi elementi indicativi dell’attenuazione delle esigenze cautelari.
L’istanza di sostituzione della misura cautelare si fondava su plurimi elementi:
buona condotta processuale del ricorrente;
buona condotta carceraria;
resipiscenza manifestata per mezzo dell’effettuazione di una donazione ad associazione che si occupa di lotta contro gli stupefacenti;
allontanamento dal luogo dove i reati erano stati commessi;
irrogazione della medesima pena all’imputato e al coimputato che però a si è visto sostituita la custodia cautelare con gli arresti domiciliari.
Tali elementi avrebbero dovuto essere valutati in uno con il tempo trascorso in regime di custodia cautelare (al momento dell’istanza, 14 mesi; a quello del ricorso, 16 mesi).
Il Tribunale a tali deduzioni ha replicato nei termini seguenti.
Innanzitutto, ha negato la buona condotta processuale perché l’imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere in occasione dell’interrogatorio di garanzia e non ha collaborato con gli inquirenti. In disparte la considerazione che tale scelta rientra nell’esercizio del diritto di difesa (non può essere pretesa e, pertanto, nemmeno penalizzata) e che ben potrebbe essere dipesa dal timore di incorrere in ritorsioni, il punto è che la buona condotta processuale è stata affermata in sede di giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare, che l’ha desunta dalla donazione effettuata dall’Okoduwa, portando al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Si tratta, dunque, di un fatto nuovo rispetto all’epoca di adozione della misura, divenuto incontrovertibile. L’affermazione del Tribunale, per cui la mancata collaborazione sarebbe addirittura espressiva di una mantenuta vicinanza all’ambiente criminale, appare, quindi, ingiustificata>
In secondo luogo, ha escluso il rilievo della buona condotta carceraria pacifica ed ammessa anche dallo stesso Tribunale del riesame – ancora una volta, in ragione della scelta di avvalersi della facoltà di non rispondere, la quale dimostrerebbe che l’imputato non ha intenzione di allontanarsi dal mondo della droga, sebbene non esista alcun nesso tra tali due profili e si tratti, anche in questo
caso, di elemento sopravvenuto che avrebbe dovuto essere preso in considerazione dal Giudice.
In terzo luogo, ha negato rilievo alla donazione in favore dell’associazione che combatte la diffusione di sostanze stupefacenti, ritenendola apoditticamente un gesto opportunistico motivato dall’intenzione di “comprarsi” un’attenuante e, quindi, svolgendo un’inammissibile valutazione sul foro interno dell’imputato. Ciò, a prescindere dal fatto che un siffatto atteggiamento opportunistico non emergeva affatto nel caso di specie, la donazione rappresentando un fatto oggettivo cui avrebbe dovuto attribuirsi il dovuto significato di risarcimento e resipiscenza, con revisione critica delle azioni da parte del ricorrente.
In quarto luogo, non ha valorizzato la disponibilità – elemento anch’esso sopravvenuto – di un alloggio e l’ubicazione di tale alloggio, senza considerare che, all’epoca della prima applicazione della misura, l’imputato non aveva un proprio domicilio e quindi non era possibile per il Giudice delle indagini preliminari disporre gli arresti domiciliari. D’altronde, il domicilio è stato individuato in u paese di 4000 abitanti, distante dal luogo del commesso reato e dai principali centri urbani del Trentino: in una località ideale per l’esecuzione della misura, in quanto le forze dell’ordine non avrebbero difficoltà a controllarne quotidianamente il rispetto; it . ,, 31;cR
Infine, “- i – lic rre – iello cautelare ha disatteso l’eccezione difensiva relativa alla disparità di trattamento rispetto al fratello coimputato (NOMECOGNOME, cui è stata applicata la medesima pena e a cui, ciò nondimeno, sono stati concessi gli arresti domiciliari. Ha, cioè, trascurato come l’applicazione della stessa pena implichi un identico giudizio, nel complesso, sulla gravità del fatto e sulla pericolosità del reo. Anche la condanna di NOME COGNOME alla medesima pena disposta nei confronti del fratello rappresenta un fatto sopravvenuto all’applicazione della misura cautelare. D’altronde, nel motivare la differenza di trattamento tra i fratelli, i Tribunale ha valorizzato i precedenti penali del ricorrente, che però avevano già costituito oggetto di valutazione nell’erogazione della pena (dal che si desume che il Tribunale non avesse reputato i precedenti gravanti su NOME più gravi dei reati commessi dal fratello). Tali precedenti sono, peraltro, modesti, essendosi trattato, in entrambi i casi, di cosiddetto “fatto lieve” sanzionato con l’assoluto minimo della pena (in uno dei due casi, addirittura, fu emesso decreto penale; nell’altro, fu concessa sospensione condizionale della pena). L’argomento del Tribunale del riesame, per cui quasi sicuramente l’imputato violerebbe la misura degli arresti domiciliari è, dunque, anche sotto questo profilo, destituito di fondamento.
2.2. Inosservanza della legge penale della legge processuale in relazione all’adeguatezza della misura.
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Il Tribunale ha ritenuto la custodia cautelare l’unica misura adeguata in ragione della spregiudicatezza dell’imputato, desumendo quest’ultima dalle modalità di commissione del fatto nonché dalla presenza di precedenti penali, e nuovamente, valorizzando la mancanza di apporto collaborativo, che denoterebbe la persistente vicinanza dell’imputato al mondo criminale. Tale pretesa spregiudicatezza non trova, però, riscontro nei fatti e, tantomeno, nei precedenti penali (d’altronde, non era stata chiesta la revoca della misura cautelare, ma soltanto la sua sostituzione con altra meno grave, anche disponendo l’applicazione del braccialetto elettronico).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere, quindi, rigettato.
L’ordinanza impugnata, dopo aver ripercorso in modo analitico e dettagliato il contenuto dei precedenti provvedimenti, confuta analiticamente le deduzioni difensive: per larga parte, è vero, replicando argomenti già spesi dai Giudici precedenti. Ma evidenzia pure, in termini ineccepibili, come, a fronte della prognosi di pericolosità già espressa in altre sedi (in più punti si rileva come siano state inutilmente proposte numerose istanze di modifica della misura in atto), le eccezioni del ricorrente non determinino alcun mutamento del quadro delle esigenze cautelari, motivatamente argomentando tale conclusione con i seguenti rilievi.
L’ordinanza impugnata desume, per parte, le esigenze cautelar’ dalla gravità della condotta, l’imputato essendo stato trovato nel possesso congiunto (oltre che di numerosi telefoni cellulari) di droghe pesanti (29 ovuli) di diversa tipologia (specificamente eroina e 6-MAM, sostanza estremamente pericolosa), per un totale stimato, come da referto, rispettivamente di 921 e 672 dosi, ed essendo stato accertato che ha svolto, in termini sistematici, per almeno due anni, attività di spaccio in favore di una moltitudine di consumatori finali, molti giovanissimi ed una anche minore di età, presso il domicilio di suo fratello.
Per parte, opera, invece, un giudizio individualizzante, tarando specificamente tali esigenze sulla valutazione di pericolosità sociale dell’imputato, già destinatario della misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata: ove all’argomentazione riportata dal ricorrente, qui sinteticamente riprodotta nel “ritenuto in fatto”, deve replicarsi che, oltre alle due condanne precedenti per spaccio di sostanze stupefacenti, il Tribunale dell’appello cautelare ha rilevato, desumendolo dal certificato dei carichi pendenti, altresì la sottoposizione
dell’imputato ad altro procedimento penale nel quale ha patteggiato la pena, ancora una volta, per un’ipotesi di violazione della legge sugli stupefacenti, sempre a Trento.
Considerazione, quest’ultima, che, incidentalmente, risponde anche alla deduzione difensiva sull’attualità delle esigenze cautelari e sul tempo decorso dalla commissione dei fatti, denotando la persistente proclività a delinquere del ricorrente.
Da quanto osservato discende, inoltre, l’affermazione per cui l’imputato è da anni inserito nel mondo del narcotraffico ed è risultato indifferente alla prospettiva risocializzante della pena (affermazione alla cui luce va letto il rilievo sulla sua mancata collaborazione con gli inquirenti).
Ciò, tanto più che lo svolgimento, da parte di COGNOME fdi regolare e lecita attività lavorativa – come dedotto dal difensore -, in uno con la circostanza che egli non avesse desistito dallo spaccio nemmeno quando nacque sua figlia, è considerato dai Giudici del riesame – con valutazione non manifestamente illogica – un dato che, lungi dall’attenuare il rischio di recidiva in capo allo stesso, rafforza il giudizio sulla sua pervicacia criminale.
Quanto, poi, alla ritenuta disparità di trattamento rispetto al coimputato (suo fratello NOME), il provvedimento impugnato revoca in dubbio la consistenza dell’argomento già sul piano teorico, sulla scorta di quanto pacificamente chiarito da questa Corte.
E, infatti, in tema di revoca o modifica della misura cautelare, il provvedimento favorevole emesso nei confronti di un coindagato può costituire fatto nuovo sopravvenuto, del quale tener conto ai fini della rivalutazione del quadro indiziario, ma non delle esigenze cautelari, dal momento che queste devono essere vagliate con riferimento a ciascun indagato (Sez. 2, n. 20281 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266889; Sez. 2, n. 54298 del 16/09/2016, COGNOME, Rv. 268634; Sez. 2 , n. 42352 del 06/10/2023, COGNOME, Rv. 285141).
Più nello specifico, si è precisato che la posizione processuale di ciascun coindagato o coimputato è autonoma, in quanto la valutazione da esprimere ex art. 274 cod. proc. pen., con particolare riguardo al pericolo di recidivanza, si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato da ognuno dei concorrenti alla realizzazione dell’illecito, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo, sicché può risultare giustificata l’adozione di regimi difformi, pur a fronte della contestazione di un medesimo fatto di reato (Sez. 4 , n. 13404 del 14/02/2024, COGNOME, Rv. 286363;
Sez. 3, n. 7784 del 28/01/2020, Mazza, Rv. 278258).
Non è vero, dunque, quanto sostenuto nel ricorso, e cioè che a parità di pena debba corrispondere un identico giudizio sulla gravità del fatto e sulla pericolosità soggettiva.
In fatto, il Tribunale dell’appello cautelare ha poi aggiunto come, appunto sotto il profilo della pericolosità, le posizioni dei due coimputati non siano affatto equiparabili, essendo l’appellante gravato da precedenti penali, tutti per fatti specifici, reiterati nel corso degli ultimi anni, mentre NOME ha soltanto due precedenti penali lontani, di cui uno solo specifico: concludendo, quindi, del tutto coerentemente, come tale diversità giustifichi un differente trattamento cautelare dei due coimputati.
Alla luce di quanto rilevato, e in conclusione, deve ritenersi che il Tribunale dell’appello cautelare abbia motivatamente ritenuto invariato il quadro delle esigenze cautelari, escludendo la rilevanza degli elementi di novità dedotti dal ricorrente.
Il primo motivo di ricorso è, dunque, infondato.
/2/. Il secondo motivo è inammissibile, poiché generico.
Le deduzioni difensive non si confrontano, infatti, con l’ordinanza impugnata f la quale spiega in modo esaustivo e tutt’altro che illogico la ragione per cui gli arresti domiciliari non siano adeguati, desumendo l’inidoneità di tale misura (seppure con applicazione del braccialetto elettronico) a fronteggiare le molto pregnanti esigenze cautelari, in ragione della pericolosità e inaffidabilità del prevenuto, in uno con l’aver l’appellante tranquillamente e lungamente svolto attività di spaccio in favore di svariati clienti direttamente presso il domicilio del fratello.
3 rAl rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente alle spese ex art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen. per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
Così deciso il 14/11/2024