Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 19631 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 19631 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ANCONA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/02/2024 del TRIB. LIBERTA’ di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, limitatamente alla scelta della misura applicata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Ancona, quale giudice del riesame, ha confermato l’ordinanza emessa il 15/01/2024 dal GIP presso lo stesso Tribunale nei confronti di NOME COGNOME, gravemente indiziato in ordine ai reati previsti dagli artt. 61, nn.2) e 7), 110 e 629, comma 1, cod.pen. (capo 1), dagli artt. 61, n.2, 56, 629, comma 1, cod.pen. (capo 2) e dall’art.73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 (capo 18), nei cui confronti era quindi stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere.
Il Tribunale ha preliminarmente rigettato l’eccezione difensiva inerente alla dedotta nullità dell’ordinanza gravata per difetto di autonoma valutazione derivante dalla mancata trasmissione di atti all’ufficio GIP; quanto alle conseguenza del mancato invio di tali atti al Tribunale del riesame, ha argomentato che si verteva in ipotesi di sola e difettosa trasmissione di alcuni allegati cui il Tribunale stesso aveva posto rimedio con provvedimento interlocutorio al cui esito gli atti medesimi erano stati effettivamente depositati da parte del p.m.; ha altresì rigettato l’eccezione riguardante il dedotto difetto di motivazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche ed essendo da ritenere legittimo il provvedimento di ritardato deposito, debitamente autorizzato.
Il Tribunale ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza sulla base delle denunzie e della dichiarazioni rese da NOME COGNOME e da NOME COGNOME nonché sulla base delle intercettazioni telefoniche; rilevando come, dalla complessiva attività di indagine, emergesse che il padre del ricorrente gestiva un fiorente traffico di stupefacenti, ricorrendo ad azioni estorsive per ottenere i relativi corrispettivi e avvalendosi in tale attività dell’ausilio del figlio NOME COGNOME; ha quindi ritenuto sussistenti le esigenze cautelari previste dall’art.274, lett.c), cod.proc.pen. e la proporzionalità e adeguatezza della misura applicata.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore, articolando cinque motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art. 309, commi 5, 8 e 10, cod.proc.pen., anche in riferimento all’art.291, comma 1, cod.proc.pen., per non avere il Tribunale dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare a seguito della mancata trasmissione, nei termini di
legge, degli atti fondativi della misura medesima da parte dell’autorità procedente.
Ha esposto che, all’udienza camerale del 06/02/2024, il Tribunale aveva constatato la mancata trasmissione di atti posti a fondamento della misura cautelare (e, in particolare, di due querele, delle individuazioni fotografiche, dei decreti di autorizzazione e proroga delle intercettazioni telefoniche e delle relative risultanze), disponendo il rinvio all’08/02/2024; ha dedotto che tali atti non risultavano essere stati trasmessi neanche al GIP in sede di richiesta di applicazione della misura e che il Tribunale del riesame – adducendo un non meglio specificato malfunzionamento del sistema TIAP – avesse, in realtà, concesso una non consentita rimessione nel termine previsto dall’art. 309, comma 5, cod.proc.pen..
Con il secondo motivo ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1, lett.b) e c), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.268, commi 5 e 8, cod.proc.pen. e in relazione all’art.178, comma 1, lett.c), cod.proc.pen, per avere il GIP autorizzato il ritardo del deposito delle risultanze delle intercettazioni telefoniche fino alla conclusione delle indagini preliminari, non consentendo alla difesa l’accesso diretto al predetto materiale istruttorio.
Ha dedotto che le risultanze delle intercettazioni erano state poste a fondamento della misura e a disposizione del GIP – che ne aveva già autorizzato il ritardo nel deposito – e che, di fatto, era quindi stato impedito alla difesa l’accesso alle risultanze delle medesime, con conseguente violazione del diritto di difesa, atteso il diritto incondizioNOME (riconosciuto dalla sentenza n.336/2008 della Corte Costituzionale) di accedere ai supporti informatici delle trascrizioni utilizzate ai fini dell’emissione di una misura cautelare; ha quindi censurato la motivazione dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui aveva ritenuto non rilevante la questione dell’impossibilità – in capo alla difesa – di accedere all’insieme delle intercettazioni.
Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – in relazione agli artt. 273 e 274 cod.proc.pen., nonché agli articoli 629 cod.pen. e 73, comma 1, T.U. stup., l’errata applicazione dell’art.292, comma 2, lett.c), cod.proc.pen., in punto di insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Ha dedotto il carattere non univoco delle querele valorizzate dal Tribunale e la non significanza delle intercettazioni telefoniche, anche in considerazione della mancata intestazione dell’utenza citata nell’ordinanza applicativa; ha altresì dedotto che il Tribunale non avrebbe idoneamente valorizzato gli elementi sopravvenuti favorevoli all’indagato, quali gli esiti
negativi della perquisizione personale e locale eseguita contestualmente all’arresto.
Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.274, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. e la violazione dell’art.275 cod.proc.pen..
Ha dedotto che il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla carenza di adeguatezza della più gradata misura degli arresti domiciliari da eseguire con modalità elettroniche di controllo.
Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.292, comma 2, lett.c), cod.proc.pen. in relazione all’art.309, comma 9, cod.proc.pen., per violazione di obbligo di autonoma valutazione da parte del Giudice.
Ha dedotto che, in alcune parti, l’ordinanza applicativa avrebbe fatto uso della tecnica del c.d. copia-incolla e con assenza di parti motivazionali autonomamente redatte dal GIP, atteso anche l’uso di formule stereotipate e di stile.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso – con conseguente annullamento con rinvio – limitatamente al motivo attinente al criterio di scelta della misura applicata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va pregiudizialmente affrontato – per motivi di priorità logica – il quinto motivo di ricorso; con il quale la difesa ha censurato l’ordinanza del Tribunale del riesame derivante dall’omesso riscontro del difetto di autonoma valutazione da parte del GIP degli indizi e delle esigenze cautelari, in relazione all’art.309, comma 9, cod.proc.pen..
Il motivo è inammissibile, in quanto da ritenersi affetto da difetto di specificità intrinseca.
Sotto il predetto profilo, la giurisprudenza di questa Corte ha difatti evidenziato che – in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti de libertate il ricorrente per cassazione che denunci la nullità dell’ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito
apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274760; Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, COGNOME, Rv. 277496).
In particolare, in sede di esposizione del motivo, il ricorrente si è limitato a denunciare l’utilizzo – peraltro asseritamente limitato ad alcune parti dell’ordinanza – della tecnica del c.d. copia-incolla, rispetto alla richiesta formulata dal p.m. ai sensi dell’art.291 cod.proc.pen..
Si è limitato così a denunciare l’esistenza di un mero indice, peraltro equivoco, della mancanza di autonoma valutazione e non ha tenuto conto del fatto che la legge processuale non vieta l’uso di tecniche di redazione del provvedimento cautelare ispirate a economia e semplificazione dell’impegno motivazionale; e che pertanto non impedisce che il giudice possa avvalersi, sul presupposto che condivida il contenuto critico del ragionamento condotto dal pubblico ministero nella richiesta, dei brani espositivi di cui la stessa si compone, per evitare ripetizioni, in altra veste discorsiva, dello stesso elaborato critico (Sez. 5, n. 11922 del 02/12/2015, dep. 2016, Belsito, Rv. 266428; Sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, Vizzì, Rv. 273658).
Difatti, la nullità che la legge pone a presidio del corretto adempimento del dovere di valutazione critica non può essere relegata in una dimensione squisitamente formalistica, e non può quindi essere dedotta facendo leva esclusivamente sulla rilevazione di particolari tecniche di redazione che al più possono valere quali indici sintomatici ma non sono esse stesse ragioni del vizio.
Quel che occorre per l’apprezzamento del vizio è che siano indicati gli aspetti della motivazione in relazione ai quali l’asserita accettazione acritica ha impedito apprezzamenti di segno contrario e di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate.
La previsione del dovere di autonoma valutazione, con la sanzione di nullità per il caso di mancata osservanza, mira infatti ad evitare il rischio e a reprimere i comportamenti violativi comunque posti in essere – che l’assenza di una considerazione critica della richiesta del pubblico ministero esponga il bene della libertà personale ad aggressioni ingiustificate, impedendo peraltro al giudice dell’impugnazione cautelare di porvi successivamente rimedio con lo svolgimento, per la prima volta in quella sede, del necessario esame critico.
È necessario allora, pena la genericità della doglianza, che sia delineata la rilevanza causale dell’omissione valutativa che si denuncia; se la
deduzione della nullità si risolve, come nel caso in esame, nella indicazione – peraltro non adeguatamente specificata – della sovrapponibilità di interi brani dell’ordinanza con quelli, corrispondenti, della richiesta, e nella denuncia di assenza di gravità indiziaria e/o di esigenze cautelari, non si fa altro che criticare il costrutto motivazionale del provvedimento che si impugna sotto i consueti profili dei vizi che sono propri della motivazione.
Per la rilevazione di una nullità afferente alla formazione della decisione giudiziale è invece richiesta la prospettazione dell’incidenza su quel risultato decisorio di una mancanza di elaborazione critica, nel senso che occorre denunciare, con sufficiente specificità, in quale parte e per quale aspetto l’omessa autonoma valutazione abbia determiNOME una conclusione decisoria che altrimenti non sarebbe stata.
Ciò non è stato fatto nel caso in esame, sicché si rileva la genericità del motivo.
Il primo motivo, con il quale è stata censurata l’errata applicazione del combiNOME dei commi 5 e 10 dell’art.309 cod.proc.pen., è infondato.
Sul punto, con valutazione che non è stata fatta oggetto di effettiva censura, il Tribunale del riesame ha esposto che l’omessa trasmissione di alcuni atti già posti a fondamento dell’ordinanza applicativa (quali le denunce-querele delle persone offese, le individuazioni fotografiche e i decreti autorizzativi di intercettazioni telefoniche) non erano, di fatto, pervenuti alla Cancelleria del Collegio per effetto di un difetto di caricamento del sistema TIAP relativamente all’informativa di p.g. del 15/09/2023, cui i predetti atti erano allegati.
Va quindi richiamata, innanzi tutto, la giurisprudenza la quale ha ritenuto che, qualora il pubblico ministero abbia mancato di trasmettere uno degli atti sui quali era a suo tempo fondata la richiesta di applicazione della misura cautelare, il Tribunale del riesame può disporne, anche d’ufficio, l’acquisizione rinviando, a tal fine, la decisione, purché nell’osservanza del termine previsto dal comma 9 dell’art.309 cod.proc.pen e che tale provvedimento, essendo mirato alla completa cognizione della documentazione necessaria ai fini della suddetta decisione, non è qualificabile come atto istruttorio, trattandosi piuttosto di un provvedimento da considerare espressione di un dovere funzionale, il cui esercizio è indispensabile per la corretta definizione del procedimento incidentale (Sez. 1, n. 5324 del 24/11/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218186; Sez. 2, n. 24878 del 27/05/2003, Scriva, Rv. 225108).
D’altra parte, in diretta connessione con la tematica rilevante nel caso di specie, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che il citato art.309, comma 10, cod.proc.pen. non sanziona – con la perdita di efficacia della misura – la trasmissione difettosa di uno o più atti, né eventuali errori in cui possa essere incorsa la cancelleria del p.m. nella trasmissione degli atti di indagine, giacché mancata trasmissione e la trasmissione difettosa sono concetti completamente differenti, in quanto il primo delinea una condotta omissiva ed il secondo una situazione fattuale, che può dipendere da negligenza degli operatori di cancelleria o da accidenti tecnici, i quali sfuggono, quasi sempre, al controllo dell’organo procedente.
Mentre ciò che conta, nello spirito della legge, è che la trasmissione avvenga nel termine stabilito e che la decisione del Tribunale del riesame intervenga nei dieci giorni successivi alla trasmissione degli atti da parte del p.m. (quindi, entro quindici giorni dalla comunicazione della intervenuta impugnazione), giacché è in questo modo che viene salvaguardata l’esigenza di assicurare un pronto riesame dell’ordinanza applicativa della misura cautelare e l’esigenza, altrettanto importante, di evitare che gli esiti del procedimento penale siano determinati da accidenti della più varia natura; diversamente ragionando, anche la fotocopia di un atto, pur importante nell’economia della decisione, venuta male, o il danneggiamento di un file avvenuto nel corso della trasmissione, dovrebbe comportare la caducazione della misura.
Tale impostazione comporta che, a fronte della trasmissione difettosa di uno o più atti, il Tribunale possa decidere prescindendo da essi, ove ritenga trattarsi di atti non determinanti, oppure esercitare il potere, che sempre gli compete, di sollecitare una trasmissione integrativa (Sez. 5, n. 39013 del 27/06/2018, COGNOME, Rv. 273879).
D’altra parte, in correlazione ancora più specifica con la tematica rilevante in questa sede, questa Corte ha precisato che non si verifica la perdita di efficacia della misura, qualora la copia di uno degli atti, compreso nell’indice di quelli che la cancelleria del tribunale del riesame attesta come ricevuti a seguito di “caricamento” nel sistema cd. TIAP da parte del pubblico ministero, risulti non reperito o non leggibile, in quanto tale inefficacia deriva dalla sola “mancata” trasmissione e non anche dalla trasmissione “difettosa ” (in motivazione la Corte ha precisato che, in questo caso, il tribunale, con provvedimento interlocutorio, può rinviare la decisione al fine di acquisire l’atto non reperito o non visibile, fermo il termine ultimo di dieci giorni entro i quali decidere, a far data dal primo invio di atti; Sez. 2, n. 37780 del 05/10/2021, P., Rv. 282201).
Ne consegue che, nel caso di specie, correttamente il Tribunale non ha dichiarato la perdita di efficacia della misura e ha disposto un rinvio interlocutorio al fine di acquisire i documenti erroneamente non caricati nel sistema informatico.
Il secondo motivo, attinente alla violazione del diritto di difesa derivante dal mancato accesso ai supporti contenenti le intercettazioni telefoniche, è infondato.
Sul punto, va premesso che – in riferimento all’art.268, comma 5, cod.proc.pen. – è previsto che, in tema di intercettazioni, se dal deposito presso l’archivio di cui all’art.269, comma 1, cod.proc.pen. «può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari»; fermo restando che, in correlazione con la sentenza della Corte Costituzionale n.336 del 10/10/2018, dopo la notificazione o l’esecuzione di un’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, costituisce diritto del difensore quello di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni utilizzate ai fini dell’adozione della misura stessa, anche se non depositate; ciò in quanto, come rilevato in motivazione dalla Consulta, il provvedimento di differimento e la facoltà per il p.m. di depositare i soli brogliacci di ascolto non può limitare il diritto della difesa ad accedere alla prova diretta.
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 20300 del 22/04/2010, Lasala, Rv. 246908) ha precisato che la relativa richiesta di accesso deve essere rivolta al p.m. procedente e che – in mancanza della espressa previsione di un termine – l’autorizzazione deve essere rilasciata in tempo utile perché il diritto di difesa possa essere esercitato in sede di incidente de libertate, con la conseguenza che, qualora non possa essere rispettata tale cadenza, il Tribunale del riesame deve decidere alla sola stregua degli atti trasmessi; derivandone, altresì, che il rifiuto o il ritardo da parte del p.m. nel consentire l’accesso dà luogo a una nullità generale a regime intermedio per cui, qualora il vizio sia stato dedotto in sede di riesame e il Tribunale non abbia potuto acquisire il supporto entro il termine previsto dall’art.309, comma 9, cod.proc.pen., le relative trascrizioni non possono essere utilizzate come prova nel procedimento incidentale.
Da tale specifico assetto procedimentale, ne consegue quindi che la difesa che deduca la nullità di ordine generale a regime intermedio per non aver ottenuto l’accesso ai supporti magnetici o informatici contenenti le registrazioni di conversazioni telefoniche o di riprese audiovisive, utilizzate per l’emissione di una misura cautelare personale, è gravata univocamente
dall’onere di provare di avere formulato tempestiva istanza al pubblico ministero, esplicitamente finalizzata all’utilizzo dei supporti in vista del giudizio di riesame (Sez. 4, n. 24866 del 28/05/2015, COGNOME, Rv. 263729; Sez. 6, n. 28156 del 17/06/2014, COGNOME Rv. 262142; Sez. 2, n. 54721 del 01/12/2016, COGNOME, Rv. 268916; avendo Sez. 2, n. 51935 del 28/09/2018, COGNOME, Rv. 275065, specificato che costituisce onere della difesa anche quello di comprovare l’omesso o il ritardato rilascio della documentazione richiesta).
Nel caso di specie, va quindi rilevato come la difesa non abbia né allegato e né comunque provato – in sede di procedimento di riesame – di avere formulato alcuna istanza nei confronti del p.m. procedente, conseguendone che non sussisteva quindi alcun onere di trasmissione dei supporti; essendosi limitata la difesa a eccepire genericamente di non aver potuto procedere al relativo accesso in conseguenza del provvedimento autorizzativo del ritardato deposito emesso da parte del GIP.
Con il terzo motivo di doglianza, la difesa il difensore ha dedotto l’insussistenza dei necessari elementi per configurare un’idonea piattaforma indiziaria in ordine ai reati ascritti in sede di imputazione provvisoria.
Il motivo è inammissibile, tendendo lo stesso a una non consentita rivalutazione in punto di fatto delle argomentazioni spiegate dal Tribunale del riesame, con le quali il ricorso omette – di fatto – di confrontarsi incorrendo nel vizio di aspecificità.
Va premesso che questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178); rilevando che, nel caso in cui si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro
indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante fa valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME, Rv. 237475); spettando dunque a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugNOME, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugNOME; se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugNOME.
Operata tale premessa, va rilevato che il Tribunale distrettuale ha – con argomentazioni congrue e da ritenere esenti dai denunciati vizi di violazione della legge e di illogicità della motivazione – dato analiticamente conto dei convergenti elementi indiziari specificamente valorizzabili al fine di ritenere sussistente la necessaria piattaforma indiziaria.
In particolare, il Tribunale ha dato conto delle fonti di prova rappresentate dalle denunce rese dal COGNOME e dal COGNOME (il quale, come risulta dall’ordinanza applicativa, in tale sede ha univocamente identificato l’odierno ricorrente come uno degli autori della richiesta estorsiva), nonché dagli univoci esiti dell’individuazione fotografica, nell’ambito delle quali entrambi le persone offese dai reati contestati ai capi 1) e 2), hanno identificato l’odierno ricorrente senza margine di dubbio; così come è stato dato atto dell’univocità degli elementi desumibili dalle operazioni di intercettazione telefonica in relazione all’episodio di cessione di stupefacente contestato al capo 18), anche in riferimento agli elementi congruamente riassunti in sede di ordinanza applicativa – attinenti alla riferibilità allo COGNOME dell’utenza telefonica captata.
Sul punto, deve quindi osservarsi come il motivo di ricorso sia del tutto apodittico e autoevidente omettendo di confrontarsi con il percorso argomentativo seguito dal GIP in riferimento al disposto dell’art.273, comma 1, cod.proc.pen..
D’altra parte, del tutto generica appare anche la censura spiegata in ordine alla omessa valutazione dei dedotti elementi sopravvenuti a favore dell’indagato; essendo gli elementi medesimi – riferiti alla situazione personale dell’indagato e agli esiti delle perquisizioni disposte in sede d esecuzione della misura cautelare – del tutto inidonei a riverberarsi sul profilo della gravità indiziaria.
6. Il quarto motivo, attinente ai criteri di scelta della misura cautelar non è fondato.
In particolare, la doglianza posta alla base dell’impugnazione attiene alla la logicità della motivazione del Tribunale distrettuale in punto di scelta della misura coercitiva applicata all’indagato, in correlazione con il criteri dettato dall’art.275, comma 1, cod.proc.pen., in base al quale il giudice deve operare una valutazione di idoneità riferita alla natura e al grado delle esigenze cautelari ravvisabili nel caso concreto.
A tale disposizione generale, si riconnette altresì quella – direttamente rilevante nel caso in esame – contenuta nell’art.275, comma 3, cod.proc.pen. e in base alla quale la misura della custodia in carcere può essere disposta «soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate».
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che la valutazione di inadeguatezza degli arresti domiciliari non può essere basata su mere supposizioni o ipotesi astratte, il cui verificarsi è possibile in rerum natura, ma non probabile secondo regole di comune esperienza, dovendo essere, invece, fondata sulla prognosi della mancata osservanza, da parte del sottoposto, delle prescrizioni a lui imposte, concretamente effettuabile al cospetto di elementi specifici, indicativi della sua scarsa capacità d autocontrollo (Sez. 3, n. 19608 del 25/01/2023, M., Rv. 284615), dovendo il relativo giudizio fondarsi su di una prognosi basata su elementi specifici inerenti al fatto, alle motivazioni che ne hanno determiNOME la commissione e alla personalità dell’indagato (Sez. 3, n. 209 del 17/09/2020, dep. 2021, Marotta, Rv. 281047 – 05), dovendo quindi il giudice procedente – nel giustificare l’eventuale scelta della misura maggiormente gravosa – basarsi sull’esplicita valutazione, non formulabile in maniera apodittica, delle specifiche ragioni indicative dell’inadeguatezza di ogni affidamento
fiduciario e dell’esclusiva idoneità della custodia intramuraria a contenere le esigenze di cautela (Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, COGNOME, Rv. 284982).
Nel caso di specie, il Tribunale ha congruamente motivato in ordine ai dati positivi rappresentati dalla gravità delle condotte ascritte all’indagato – ritenute inserite in un grave contesto di intimidazione e violenza – nonché al negativo giudizio sulla personalità del medesimo ricavabile anche dai precedenti specifici dai quali lo stesso risulta gravato; elementi sulla base dei quali il Collegio ha ritenuto sussistente – con valutazione non illogica una prognosi negativa in ordine al rispetto delle prescrizioni connesse alla misura degli arresti domiciliari con specifico riferimento all’eventuale messa in atto di condotte intimidatorie nei confronti delle persone offese.
Non sussiste, inoltre, il lamentato difetto di violazione di legge in ordine alla mancata motivazione dell’eventuale idoneità della misura domiciliare accompagnata da modalità elettroniche di controllo.
Sul punto va ricordato che Sez.U., 28/04/2016, n.20769, COGNOME, RV. 266651 avevano ritenuto (punto 4.1 del “considerato in diritto”) che, all’indomani della riforma introdotta dalla I. 16 aprile 2015, n.47 e ove non si sia al cospetto di una ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura di massimo rigore, deve ritenersi sempre necessaria, in sede di applicazione di una misura cautelare personale, una esplicita motivazione sulla inidoneità degli arresti domiciliari controllati.
Il principio espresso dalle Sezioni unite ha peraltro trovato una successiva elaborazione da parte delle Sezioni semplici, le quali hanno ritenuto che il giudizio del Tribunale del riesame sull’inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sull’inopportunità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275bis cod.proc.pen.; con la conseguenza che deve ritenersi assolto l’onere motivazionale sulla assoluta proporzionalità della misura carceraria – in relazione all’art.275, comma 3bis, cod.proc.pen. – quando si esclude in radice l’idoneità del regime cautelare fiduciario, ordinariamente caratterizzato dal controllo elettronico in relazione all’art.275bis cod.proc.pen., il quale dispone che tali modalità sono sempre disposte dal Giudice procedente «salvo che le ritenga non necessarie» (in termini, sez.2, n.31572 del 2017, Caterino, RV. 270463; sez.2, n.43042 del 2019, Marsili, RV. 277762).
Deve quindi ritenersi che la valutazione radicale operata dal Collegio in ordine all’inidoneità assoluta della misura domiciliare sia idonea a
soddisfare il requisito motivazionale necessario nel caso concreto.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e la trasmissione degli atti alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma iter disp. att. cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 24 aprile 2024
Il Consigliere estensore
La Presidente