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Misura cautelare: quando il ricorso è inammissibile

Un soggetto, indagato per ricettazione e sottoposto a misura cautelare in carcere, ricorre in Cassazione lamentando una motivazione generica e sproporzionata. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile, specificando che il ricorso diretto è consentito solo per violazione di legge, intesa come mancanza totale di motivazione, e non per la sua mera insufficienza. La Corte ha ritenuto legittima la valutazione del Giudice che ha considerato il contesto criminale complessivo per determinare la pericolosità sociale dell’indagato, nonostante fosse incensurato.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misura Cautelare: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

L’applicazione di una misura cautelare rappresenta uno dei momenti più delicati del procedimento penale, incidendo sulla libertà personale dell’individuo prima ancora di una condanna definitiva. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 27204 del 2025, offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso diretto contro tali provvedimenti, distinguendo nettamente tra vizi di motivazione e violazione di legge.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dall’arresto di un uomo, accusato del reato di ricettazione (art. 648 c.p.) per essere stato trovato in possesso di tre orologi di ingente valore, provento di attività delittuose. Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Milano, oltre a convalidare il fermo, disponeva nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere. L’indagato era ritenuto collegato ad altri due soggetti, autori materiali di una rapina aggravata, ai quali aveva fornito supporto logistico affittando l’appartamento usato come base operativa. La difesa dell’uomo decideva di impugnare l’ordinanza direttamente in Cassazione.

I Motivi del Ricorso: una misura cautelare sproporzionata?

Il difensore dell’indagato ha sollevato due principali motivi di ricorso, entrambi incentrati sulla presunta violazione dei principi che regolano l’applicazione della misura cautelare.

Violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità

Secondo la difesa, il GIP avrebbe fornito una motivazione solo apparente, utilizzando formule generiche e senza valutare la specifica posizione dell’indagato. In particolare, si lamentava che non fosse stata fatta distinzione tra la sua condotta (ricettazione) e quella ben più grave dei coindagati (rapina aggravata). Inoltre, non si era tenuto conto di elementi a suo favore, come lo stato di incensuratezza, il suo ruolo di padre di famiglia e la presenza di un’occupazione lavorativa, seppur stagionale. Questo avrebbe portato a una valutazione sproporzionata del rischio di recidiva e alla scelta della misura più afflittiva.

Omessa valutazione di misure alternative

Il secondo motivo di doglianza riguardava la mancata giustificazione del perché non fosse stata considerata adeguata una misura meno gravosa, come gli arresti domiciliari, eventualmente con l’ausilio di dispositivi di controllo elettronico. La difesa sosteneva che il giudice avesse parificato ingiustamente le posizioni degli indagati, omettendo di spiegare quali elementi specifici rendessero la custodia in carcere l’unica soluzione possibile per l’indagato per ricettazione.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su un principio cardine del giudizio di legittimità in materia cautelare. Gli Ermellini hanno ribadito che il ricorso immediato in Cassazione avverso una misura cautelare è consentito unicamente per “violazione di legge”.

Questo concetto, ha spiegato la Corte, si riferisce a casi di motivazione totalmente assente o meramente apparente, tale da non permettere di ricostruire il ragionamento del giudice. Non include, invece, i casi in cui la motivazione sia semplicemente insufficiente, incompleta o illogica. Le censure sollevate dalla difesa, secondo la Cassazione, rientravano proprio in quest’ultima categoria, criticando il merito della valutazione del GIP piuttosto che una vera e propria assenza di giustificazione.

Nel merito, la Corte ha osservato come il GIP avesse, in realtà, ricostruito puntualmente i fatti, evidenziando i collegamenti tra l’indagato e i rapinatori. La comune provenienza territoriale, le relazioni personali accertate e le finalità illecite della trasferta giustificavano, secondo il giudice, una prognosi comune di elevato rischio di recidiva. L'”unitarietà di programmazione e di contesto” dei reati rendeva recessivo lo stato di incensuratezza dell’indagato di fronte alla professionalità dimostrata nelle condotte criminali.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza in esame rafforza un importante principio procedurale: la strada del ricorso diretto in Cassazione contro una misura cautelare è molto stretta. Non è sufficiente sostenere che il giudice abbia valutato male gli indizi o non abbia ponderato adeguatamente le alternative al carcere. Per ottenere un annullamento, è necessario dimostrare una “violazione di legge”, ossia un vizio talmente grave da rendere la motivazione inesistente o indecifrabile. Per le critiche relative all’insufficienza o all’illogicità della motivazione, lo strumento corretto è il riesame davanti al Tribunale della Libertà, e non il ricorso diretto alla Suprema Corte. Questa pronuncia serve da monito sulla corretta individuazione dei mezzi di impugnazione e sulla distinzione fondamentale tra il controllo di legittimità e quello di merito.

È possibile impugnare direttamente in Cassazione un’ordinanza di misura cautelare per motivazione insufficiente?
No, la sentenza chiarisce che il ricorso immediato per Cassazione è consentito solo per “violazione di legge”, che si configura in caso di motivazione totalmente mancante o apparente. La semplice insufficienza, incompletezza o illogicità della motivazione non rientra in questa categoria e deve essere fatta valere con altri mezzi, come il riesame.

La posizione di un indagato per ricettazione può essere valutata congiuntamente a quella dei coindagati per rapina ai fini della misura cautelare?
Sì, secondo la Corte è legittimo. Se emerge una “sostanziale unitarietà di programmazione e di contesto” dei reati, il giudice può effettuare una valutazione congiunta dei rischi cautelari, giustificando una prognosi comune di pericolosità sociale anche per chi risponde di un reato meno grave ma funzionalmente collegato.

Uno stato di incensuratezza è sufficiente a escludere il rischio di recidiva in un procedimento per misura cautelare?
No, non è sufficiente. La Corte ha ritenuto che lo stato di incensuratezza dell’indagato fosse “recessivo” di fronte a elementi concreti che dimostravano la sua inserzione in un contesto criminale strutturato e la sua “professionalità” nel commettere il reato. La valutazione del rischio di recidiva deve basarsi su tutti gli elementi del caso concreto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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