Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37864 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37864 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
COGNOME
– Presidente
–
Sent. n. sez.
1598/2025
NOME COGNOME
CC – 23/10/2025
NOME BELMONTE
R.G.N. 27132/2025
COGNOME COGNOME
– Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/05/2025 del Tribunale di Palermo
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26 maggio 2025 il Tribunale di Palermo ha, in parte, accolto l’appello del Pubblico Ministero avverso l’ordinanza emessa dal G.I.P. dello stesso Tribunale, con la quale era stata applicata, nei confronti di COGNOME NOME, la misura cautelare dell’obbligo di dimora e di presentazione alla P.G. in luogo di quella richiesta della custodia cautelare in carcere, in ordine al reato di esercizio abusivo dell’organizzazione del gioco di azzardo, di cui all’art. 4, commi 1 e 4-bis L. 401/1989, aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 c.p. (capo 16), e al reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti nell’ambito della
raccolta illecita delle scommesse e del gioco clandestino, aggravato dall’agevolazione dell’attività di associazione mafiosa (capo 21). Indi ha applicato al predetto la misura degli arresti domiciliari, in luogo di quella della custodia in carcere richiesta dal P.M., sospendendone l’esecuzione fino alla definitività.
Con atto a firma del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME avverso il provvedimento del Tribunale, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
Il ricorrente lamenta, innanzitutto, che il Tribunale ha erroneamente valorizzato alcuni stralci di conversazione intercettate nel corso delle indagini, ricavandone argomenti di convincimento sul piano della rilevanza indiziante e della necessità di applicare al ricorrente una misura cautelare restrittiva. Indi vengono riportati in ricorso ed esaminati nei rispettivi contenuti tali stralci, ritenuti non indicativi di quanto, invece, da essi dedotto dal Tribunale. In particolare, si contesta che da uno di tali stralci di conversazioni possa evincersi la consapevolezza della caratura criminale dei presunti vertici del sodalizio da parte degli interlocutori; dato che in ogni caso non dimostra che gli stessi ne facciano anche parte.
Indi, si contesta il provvedimento impugnato nella parte in cui afferma che il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274 lett. c) del codice di rito appare di significativa intensità avuto riguardo agli esiti delle attività investigative svolte nel corso delle indagini, da cui sarebbe emersa una stabile collaborazione criminale del COGNOME con COGNOME NOME, quest’ultimo quale soggetto asseritamente ricoprente un ruolo apicale all’interno del presunto sodalizio di cui alla contestazione del capo 21 della rubrica, collaborazione protrattasi, secondo il Tribunale, quantomeno dal mese di agosto 2021 fino al mese di Aprile 2022.
Quanto poi all’affermazione articolata dal Tribunale a pagina 4 dell’ordinanza impugnata, secondo cui si ravviserebbe un giudizio di sproporzione per difetto del trattamento cautelare disposto dal primo giudice, in quanto a parere del dell’estensore il trattamento non custodiale non risulterebbe idoneo a recidere i radicati contatti illeciti del ricorrente con i membri del sodalizio ancora in libertà, e più in generale con il contesto criminale di riferimento, si rappresenta che anch’essa non coglie nel segno.
Essa non spiega, ad esempio, in base a quali dati oggettivi possa affermarsi l’esistenza di presunti membri di sodalizio ancora in libertà, né tantomeno ne indica la identità, ciò al fine di controllare l’esistenza di eventuali collegamenti tra il ricorrente e i non meglio identificati membri in libertà. E il dato non è secondario se solo si considera il fatto che i presunti concorrenti dell’odierno ricorrente sono ben identificati nel capo di imputazione e risultano sottoposti alla misura della custodia in carcere.
In definitiva, le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato sono costituite da argomentazioni di puro genere, da asserzioni apodittiche e da proposizioni prive di efficacia dimostrativa, profili questi che connotano negativamente il ragionamento espresso dal Tribunale a sostegno della decisione adottata, caratterizzandolo come ragionamento fittizio e perciò sostanzialmente inesistente.
Quanto poi all’aspetto relativo allo sviluppo cronologico delle condotte ipotizzate a carico del ricorrente e alla datazione dei fatti valutati negativamente dal Tribunale, si evidenza innanzitutto che non coglie nel segno l’assunto del Tribunale allorquando si afferma che l’intensità delle interazioni intercorse tra il ricorrente e taluni dei coimputati valga a neutralizzare il richiamo operato dal G.i.p. in relazione al modesto lasso temporale entro il quale si sarebbero svolti gli accadimenti in scrutinio, brevità temporale che giustificava il modesto grado di cautela ravvisato dal G.i.p. nel caso di specie. Circoscritta è la collocazione temporale del presunto contributo del ricorrente alla presunta compagine associativa, risultando, nel caso concreto, la presenza documentata del predetto solo in rarissimi casi.
Sicché la ‘collaborazione protrattasi quantomeno dal mese di agosto 2021 al mese di Aprile 2022′, richiamata dal Tribunale a pagina 3 dell’ordinanza impugnata, quale dato che neutralizzerebbe l’assunto del G.i.p. sulla ritenuta modesta intensità del grado di cautela da tutelare, si dissolve dinanzi alla genericità della contestazione di cui al capo 16, da un lato, e in ordine alla natura stessa della fattispecie contestate che richiede più interazioni tra i soggetti coinvolti, dall’altro lato, per il capo 21, risolvendosi in irrimediabili ricadute sulla tenuta logica del ragionamento che, per quanto sopra detto, risulta viziato nei termini descritti’ (così testualmente in ricorso).
Deve poi rilevarsi che anche se il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l’attualità e la concretezza delle condizioni di cui all’art. 274, comma 1, lettera c) del codice di rito, tuttavia è indubbio che in presenza di una distanza temporale dai fatti che sia oggettivamente apprezzabile – come nel caso di specie superiore ai due anni – l’obbligo di motivazione debba essere adempiuto in termini particolarmente rigorosi nell’indicare le ragioni sia dell’attualità del tipo di esigenza cautelare ritenuta sussistente, che della scelta della misura cautelare, perché tale distanza temporale di per sé costituisce un elemento di fatto tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, ancorché non per sé incompatibile.
Nel caso di specie non può dirsi operata tale valutazione da parte del Tribunale. Nel caso di specie, a fronte di un periodo temporale di più di due anni dai fatti oggetto di investigazione, il Tribunale ha ravvisato il pericolo di recidiva derivante dal presunto ‘contesto mafioso’, ma non ha chiarito il ragionamento seguito al fine di valutare l’attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per
cui si procede e la sussistenza delle condizioni per ritenere che tali esigenza non potessero essere garantite mediante l’adozione di misure cautelari meno incisive degli arresti domiciliari.
In tal modo il Tribunale ha obliterato i principi costituzionali e quelli affermati anche dalla CEDU in tema, dimenticando che la disciplina della materia deve essere ispirata al criterio del ‘minor sacrificio necessario’, nel senso che la compressione della libertà personale dell’indagato o dell’imputato va contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari riconducibili al caso concreto.
Anche in relazione a tale profilo manca di motivare l’ordinanza impugnata.
2. Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni, e dell’art. 127 del codice di rito – su richiesta, con l’intervento delle parti, rectius del Pubblico Ministero che ha rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è, nel suo complesso, infondato, pur presentando tratti di inammissibilità.
Esso è certamente inammissibile, per manifesta infondatezza, nella parte in cui assume che il provvedimento impugnata è inficiato dal vizio di motivazione apparente, balzando evidente, se solo si scorre la motivazione del provvedimento impugnato, che il Tribunale, a differenza di quanto assume il ricorso, non ha dato conto del percorso seguito per pervenire alla decisione adottata in base a mere formule di stile ed affermazioni generiche non pertinenti allo specifico caso sottoposto alla sua valutazione.
D’altronde, il controllo di legittimità sui punti devoluti è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011, Siciliano, Rv. 251760).
Esso è, per altro verso, inammissibile nella parte in cui, attraverso i vizi denunciati, mira a sollecitare una rivalutazione, in fatto, e del compendio probatorio, non consentita a questa Corte di legittimità, attraverso peraltro la indicazione di stralci di conversazioni, mediante i quali si pretende di porre in crisi il ben più
complesso costrutto ricostruttivo su cui si fonda l’impostazione seguita nel provvedimento impugnato.
Indice sintomatico di tale intento è proprio il fatto che il ricorso indica contenuti di stralci di conversazioni intercettate, che equivale all’inammissibile esibizione alla Corte di legittimità del materiale probatorio acquisito (Sez. 6, Sentenza n. 28703 del 20/04/2012 Ud. (dep. 17/07/2012) Rv. 253227), del quale per di più si avalla una diversa interpretazione.
In proposito, è necessario ricordare che a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito.
In particolare, con specifico riferimento all’impugnazione dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame, l’ordinamento non conferisce a questa Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato e, quindi, l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di valutazioni rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del Tribunale del riesame.
Indi, ove il provvedimento impugnato contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato, e non presenti illogicità evidenti, per la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento medesimo, lo stesso non si espone a censura alcuna (Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, COGNOME, Rv. 201840; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760; Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Rv, 269438); laddove, peraltro, nel caso di specie, il provvedimento impugnato, si è soffermato sulla valenza indiziaria degli elementi emersi – non oggetto di specifica contestazione dinanzi al Tribunale secondo quanto si riporta nel provvedimento impugnato – al limitato fine di verificare il grado di cautela sussistente nel caso di specie. Grado di cautela che, ora, il ricorso in scrutinio intende sminuire attraverso un processo rivalutativo di tipo probatorio e fattuale a fronte di motivazione che dà, correttamente ed adeguatamente, conto dei risvolti cautelari della vicenda sulla base delle plurime risultanze processuali emerse, passate in rassegna innanzitutto nel provvedimento originario del G.i.p., al quale l’ordinanza impugnata, in premessa, non manca di rimandare (dando atto appunto della mancanza di contestazioni da parte della difesa in punto di gravità indiziaria).
E quanto alle contestazioni in ordine ai contenuti delle intercettazioni, non si può prescindere – neppure – dal fatto che anche rispetto all’applicazione e conferma delle misure cautelari vige il principio, affermato da questa Corte, secondo cui il vaglio di legittimità relativo alle intercettazioni può essere svolto solo nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui le intercettazioni stesse sono recepite, in quanto l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati,
anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di questa Corte (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
Più in generale l’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate è preclusa a questa Corte.
Come è noto, il vizio di “travisamento della prova” vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370).
Fatte queste premesse di ordine generale, come si è visto le censure mosse dal ricorrente attengono essenzialmente al giudizio rappresentativo dei fatti che hanno comportato l’aggravamento della misura e sollecitano una revisione del giudizio al giudice di legittimità.
La motivazione del provvedimento impugnato, però, possiede una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità. Il discorso giustificativo sviluppato risponde, infatti, pienamente alle esigenze di completezza e di consequenzialità logica sulle quali si esercita il controllo di legittimità nel giudizio di cassazione.
Giova comunque precisare che il Tribunale ha specificamente ricostruito (facendo tra l’altro espresso rinvio al decreto di fermo) i plurimi elementi che giustificassero l’incremento della cautela, desumendo in particolare il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, lettera c), cod. proc. pen. dalle risultanze investigative in atti che, secondo la sua non illogica ricostruzione, depongono per la stabile collaborazione criminale del COGNOME con COGNOME NOME, che ricopriva all’interno del sodalizio di cui al capo 21 un ruolo apicale, collaborazione protrattasi quantomeno dal mese di agosto 2021 al mese di Aprile 2022. E ha evidenziato come nel corso di tale prolungato periodo di tempo sono stati registrati frequenti contatti tra il COGNOME e gli altri sodali, essendo emerso, in particolare, l’ausilio prestato dal primo e dal coindagato COGNOME NOME al COGNOME nell’organizzazione del lotto clandestino. In particolare, dalle conversazioni intercettate ha ritenuto, il Tribunale, che emergesse non solo che il COGNOME e COGNOME erano pienamente consapevoli della caratura criminale dei vertici del sodalizio, ma anche che COGNOME era in contatto con il vertice del mandamento mafioso di Porta Nuova, COGNOME NOME ‘il lungo’, con il quale si era rapportato in alcune occasioni grazie all’intermediazione di terzi soggetti, e che non solo COGNOME NOME ma anche COGNOME fungeva da anello di congiunzione tra il COGNOME e il
vertice del mandamento COGNOME NOME, ed ancora che il COGNOME, temendo di potere a breve essere tratto in arresto aveva stabilito che sarebbe stato il COGNOME ad assumere la gestione del lotto nero nella zona di INDIRIZZO descrivendolo come un soggetto perfettamente integrato nei meccanismi illeciti del sodalizio.
Indi, ha concluso il Tribunale che appare in effetti sproporzionato per difetto e il trattamento cautelare disposto dal primo giudice ed s’imponesse invece l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari.
Né potrebbe assumere rilievo il fatto che il Tribunale nel motivare la necessità di tale misura abbia fatto riferimento all’esigenza di recidere i legami con gli i membri del sodalizio, che secondo la prospettiva difensiva sarebbero tuttora tutti sottoposti a misure restrittive, avendo comunque il Tribunale inteso e fatto effettivamente riferimento anche ai legami più in generale ravvisabili col contesto di riferimento, anche mafioso.
In altri termini, ha ritenuto il Tribunale, con valutazione in concreto del pericolo di recidiva, che il fatto che il COGNOME avesse svolto un ruolo centrale nell’ambito dell’associazione finalizzata alla raccolta di scommesse illegali per conto del sodalizio mafioso, interloquendo direttamente con l’esponente apicale, ovvero il reggente del mandamento di Porta Nuova, COGNOME COGNOME detto il lungo, dovesse far ritenere necessaria una maggiore cautela, sia pure perseguibile con l’applicazione della misura degli arresti domiciliari (in luogo di quella della custodia in carcere richiesta dal P.m.). Valutazione che per la sua pregnanza, evidentemente, il tempo, peraltro non consistente, trascorso dal fatto, non poteva – e non può – incrinare.
In definitiva il ricorso è nel suo complesso infondato perché i vizi denunciati non sussistono e i profili introdotti dal ricorrente mirano piuttosto ad evidenziare non condivise valutazioni della prova, piuttosto che ad evidenziare errori logici nella motivazione del giudice nella valutazione delle stesse, introducendo in tal modo una critica al contenuto della prova e alla motivazione che l’ha recepita, attingendo il merito della decisione.
2.Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
Seguono per la cancelleria gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen. Così deciso il 23/10/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
COGNOME COGNOME