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Misura cautelare: quando è legittima in carcere?

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato, accusato di reati di natura sessuale, che chiedeva la sostituzione della misura cautelare in carcere con una meno afflittiva per seguire un percorso psicoterapeutico. La Corte ha confermato la decisione, sottolineando che per tali reati vige una presunzione di adeguatezza del carcere. Gli elementi presentati, come il percorso terapeutico e la condanna in primo grado a 12 anni, non sono stati ritenuti sufficienti a superare l’elevato rischio di recidiva, anzi, la condanna rafforza le esigenze cautelari.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misura Cautelare: la Cassazione conferma il carcere per reati gravi

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema della misura cautelare in carcere per reati di particolare gravità, specificando i criteri per cui non può essere sostituita con misure meno restrittive, come gli arresti domiciliari, anche a fronte di un percorso di recupero psicologico intrapreso dall’imputato. La decisione offre importanti spunti di riflessione sull’equilibrio tra esigenze di cura, diritti dell’individuo e tutela della collettività.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo sottoposto a custodia cautelare in carcere dal gennaio 2022 per gravi reati di natura sessuale. L’imputato aveva richiesto la sostituzione della misura con una meno afflittiva, come gli arresti domiciliari, per poter effettuare un corso intensivo di recupero psicoterapeutico. A suo dire, la struttura carceraria non era in grado di garantire un percorso terapeutico adeguato, offrendo solo sedute sporadiche e non intensive come prescritto da uno specialista.

Il Tribunale di Bari, in funzione di giudice d’appello, aveva già respinto la richiesta, sottolineando la prevalenza delle esigenze di cautela per la vittima e la collettività, dato l’elevatissimo rischio di recidiva. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha basato il ricorso su tre motivi principali:
1. Mancata valutazione di elementi sopravvenuti: Secondo il ricorrente, i giudici non avrebbero considerato adeguatamente un percorso psicoterapeutico iniziato già prima dell’arresto, a novembre 2021, che dimostrerebbe una seria volontà di superare le proprie devianze.
2. Incompatibilità con il regime carcerario: Si è evidenziata l’inadeguatezza della struttura penitenziaria a fornire il trattamento intensivo prescritto, rendendo di fatto impossibile un reale percorso di rieducazione e cura.
3. Mancata motivazione sul braccialetto elettronico: La difesa ha lamentato che il giudice non avesse spiegato perché gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico non fossero una misura idonea a prevenire la reiterazione del reato.

La Decisione della Corte sulla misura cautelare

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo e confermando la legittimità della misura cautelare in carcere. La decisione si fonda su principi consolidati della giurisprudenza in materia di esigenze cautelari e presunzioni di legge.

Le Motivazioni

La Corte ha innanzitutto ricordato che per reati come la violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), la legge (art. 275, comma 3, c.p.p.) stabilisce una presunzione relativa di adeguatezza della custodia in carcere. Ciò significa che il carcere è considerato la misura standard, a meno che la difesa non fornisca elementi concreti e solidi per dimostrare il contrario.

Nel caso specifico, gli argomenti del ricorrente non sono stati ritenuti sufficienti a superare tale presunzione. Il percorso terapeutico, seppur iniziato, non è stato considerato un elemento nuovo e decisivo per ridurre il pericolo di recidiva. Anzi, la Corte ha sottolineato un punto cruciale: l’intervenuta sentenza di condanna in primo grado a 12 anni di reclusione non attenua, ma rafforza le esigenze cautelari. Una condanna così severa, infatti, conferma la gravità dei fatti e la pericolosità del soggetto.

Per quanto riguarda il braccialetto elettronico, i giudici hanno ribadito un orientamento costante: quando la legge prevede una presunzione per la custodia in carcere, il giudice non è tenuto a motivare specificamente sull’inidoneità degli arresti domiciliari, anche se assistiti dal dispositivo elettronico. Il braccialetto è una modalità esecutiva degli arresti domiciliari, non una misura a sé stante. Se la pericolosità dell’imputato è tale da rendere adeguata solo la detenzione in carcere, qualsiasi misura meno afflittiva è implicitamente ritenuta insufficiente.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma la linea dura del sistema giudiziario di fronte a reati che destano un forte allarme sociale. La tutela della collettività e della vittima prevale sulla richiesta di percorsi di cura alternativi al carcere, specialmente quando la pericolosità sociale dell’imputato è giudicata elevata e concreta. La decisione chiarisce che una condanna in primo grado, lungi dall’essere un fattore di attenuazione, consolida la necessità della misura più restrittiva. Infine, viene confermato che, in presenza di presunzioni legali, l’onere di dimostrare la possibilità di una misura alternativa ricade interamente sulla difesa, che deve fornire prove concrete capaci di vincere la valutazione di pericolosità del giudice.

Un percorso psicoterapeutico è sufficiente per sostituire la misura cautelare in carcere?
No, secondo la sentenza, un percorso psicoterapeutico, anche se iniziato prima dell’arresto, non è di per sé un elemento sufficiente a superare la presunzione di adeguatezza del carcere per reati gravi, specialmente se il rischio di recidiva è ritenuto molto elevato.

Perché il giudice non ha considerato il braccialetto elettronico come alternativa al carcere?
La Corte ha spiegato che quando la legge prevede una presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per un determinato reato, il giudice non è obbligato a motivare specificamente sull’inidoneità degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Se il carcere è ritenuto l’unica misura idonea a fronteggiare la pericolosità, le altre misure sono implicitamente escluse.

Una condanna in primo grado influenza la valutazione della misura cautelare?
Sì, e in senso peggiorativo per l’imputato. La sentenza chiarisce che una condanna, soprattutto se a una pena elevata (in questo caso, 12 anni), non affievolisce ma, al contrario, rafforza le esigenze cautelari, confermando la gravità dei fatti e la pericolosità del soggetto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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