Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28192 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28192 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Melito di Porto Salvo il 27/11/1963
avverso l’ordinanza del 03/11/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di Milano.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; sentito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME del foro di Reggio Calabria, che ha illustrato le ragioni poste a base del ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Milano ha respinto l’appello cautelare proposto da NOME COGNOME imputato per plurimi reati, fra cui quelli di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/90, in relazione ai quali aveva avanzato istanza di revoca o sostituzione della misura carceraria in atto, istanza che era stata rigettata dal GUP presso il Tribunale di Milano con provvedimento del 14.6.2024.
Ricorre per cassazione il difensore del COGNOME che ha depositato anche una memoria difensiva, lamentando -in sintesi -quanto segue.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta gravità indiziaria dei reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/90; omessa considerazione degli elementi favorevoli al ricorrente; motivazione irrazionale ed erronea interpretazione degli elementi di prova; difetto di motivazione in relazione alla dedotta insussistenza di attuali esigenze cautelari per tutte le imputazioni.
2.2. Il ricorrente evidenzia la mancanza, la contraddittorietà, l’illogicità e l’apparenza della motivazione dell’ordinanza impugnata, in ordine alla sussumibilità della più grave condotta ascritta al ricorrente nell’alveo dell’art. 74 d.P.R. 309/90 (capo 26), con la qualifica di ‘organizzatore’, di cui non ricorrono i presupposti normativamente previsti, difettando tutti i requisiti richiesti dalla fattispecie incriminatrice.
Deduce che non è stato spiegato in che modo il ricorrente avrebbe concorso nei reati-fine (capi 27, 28 e 33) in materia di droga, mentre per i reati finanziari si è evidenziata la mancanza di esigenze cautelari.
Osserva che il Tribunale non ha tenuto conto di una miriade di elementi emergenti dai brogliacci e relativi file audio, allegati alla primigenia istanza di revoca ed in parte trascritti, dai quali emerge la possibilità di dare un’altra chiave di lettura, lecita, al rapporto bilaterale tra il ricorrente e l’affine NOME rispetto a quella immotivatamente privilegiata nel provvedimento censurato sulla base di argomentazioni congetturali, in mancanza di dialoghi in cui i due interloquissero mai di questioni illecite, bypassando anche poderosi elementi di tipo documentale (come, ad esempio, la sentenza irrevocabile documentante l’inimicizia fra i COGNOME ed il ricorrente, che fa da corredo alle conversazioni in cui il ricorrente prende le distanze dalla questione inerente al recupero del credito di COGNOME nei confronti dei COGNOME, oggetto del capo 28).
Denuncia che la pronuncia impugnata non ha fatto buon governo delle risultanze documentali, ricostruendo, già su un piano generale, la gravità indiziaria del ricorrente in maniera lacunosa, utilizzando il materiale indiziario in maniera incompleta e parziale e omettendo di considerare la non univocità interpretativa di alcuni dati evidenziati con i motivi d’appello e non confrontandosi, approfonditamente, con le argomentazioni difensive di segno contrario, trascurando i dati favorevoli che contrastavano la ricostruzione accusatoria.
2.3. Con riferimento al capo 27), rileva la mancata valutazione da parte del Tribunale del dialogo contenuto nel progressivo n. 12 del 26.8.2019, non vagliato dal GIP nell’ordinanza genetica, in cui NOME asserisce che se avesse aderito alla proposta illecita avrebbero dovuto dividere in tre (non in quattro), specificando: lui, COGNOME e COGNOME, e non menzionando il COGNOME ; l’ulteriore omissione del dialogo del 4.09.2019 , non considerato nell’ordinanza genetica, nel quale COGNOME e COGNOME affermano di avere cancellato il calabrese, ossia NOME, etichettandolo come inconcludente e senza alcun rispetto, pari allo zero, successivamente asserendo che non vogliono avere a che fare con lui ‘che non sta bene con la testa’ e mai menzionando il COGNOME ; l’omissione fondamentale del progressivo n. 234 del 22.8.2019, prodotto dalla difesa, nel quale NOME stesso dichiara che suo zio (ossia COGNOME) non c’entra nulla con le sue attività. Ancora,
non è stato considerato il contenuto del progressivo 248 del 2.9.2019, in cui NOME ribadisce che quello che sta organizzando lo sta facendo lui, parlando del traffico di stupefacente che vorrebbero imbastire. Dai brogliacci e dalle s.i.t. prodotti da parte del ricorrente si uniscono i tentativi del medesimo di far trovare un lavoro lecito a NOME, il che contrasta con un suo coinvolgimento nei traffici illeciti di costui. Non è stata considerata la versione alternativa resa dal ricorrente in sede di interrogatorio e la possibilità di spiegare il rapporto bilaterale fra il ricorrente e lo COGNOME alla luce della separazione di quest’ultimo e della nipote e la regolazione anche dei rapporti patrimoniali fra i due; ha sorvolato sull’interrogatorio di COGNOME NOME , il quale ha escluso il coinvolgimento del COGNOME negli affari illeciti, e sul memoriale dello COGNOME, in cui chiarisce i rapporti con lo zio acquisito e spiega la mancanza di alcun coinvolgimento di quest’ultimo nei suoi traffici .
2.4. Con riferimento al capo 28), il Tribunale omette di confrontarsi sull’impossibilità di sussumere la presunta condotta nell’alveo del concorso ex art. 73 DPR 309/90, dal momento che il ricorrente è del tutto assente nelle fasi riguardanti l’importazione e la cessione dello stupefacente da parte di Begu ai Bruzzaniti, non emergendo alcun elemento concorsuale nel trasporto o nella cessione. L’ipotizzata attività di mediazione per il pagamento della fornitura da parte dei COGNOME a Begu cozza con la figura giuridica enucleata in imputazione. Il Tribunale non considera che gli atti e i brogliacci completi delle conversazioni captate, unitamente a dati documentali inoppugnabili, smentiscono la tesi della mediazione del ricorrente: la grave ragione di inimicizia fra COGNOME e i COGNOME emerge dalla sentenza di condanna prodotta (cfr. sentenza del Tribunale di Milano, Settima Sezione penale, n. 12699/2005 del 3.10.2005, divenuta irrevocabile); dai dialoghi e brogliacci integrali risulta il rifiuto del ricorrente ad interessarsi della questione, invitando lo Scipione ‘a non impicciarsi’ .
2.5. Con riferimento al capo 33) evidenzia il ragionamento meramente congetturale del Tribunale (sulla frase pronunciata da NOME il 25.8.2019: ‘ …è venuto mio zio con mio cugino e ha detto che da settembre ce l’abbiamo diretta…ce l’ha…un paesano…a Milano ‘), basato sull’assunto erroneo che ogni qualvolta NOME menzionasse uno zio, costui dovesse identificarsi in NOME COGNOME, senza tenere conto che NOME ha diversi zii e cugini e senza alcun riscontro esterno individualizzante per attribuire tale intenzione (penalmente irrilevante) al ricorrente.
2.6. Quanto al reato associativo di cui al capo 26), evidenzia che appare incomprensibile quale sia stato il ruolo e l’apporto del COGNOME al presunto sodalizio, anche a volerne ipotizzare l’esistenza . Nella specie viene indicato un ruolo del COGNOME di organizzatore di un traffico in cui non risultano decisioni prese
dallo stesso, non risulta che lo NOME abbia necessità del suo placet, agendo sempre in autonomia, non risultano rapporti fra lo stesso e gli acquirenti, né fra lo stesso ed i fornitori, non risulta nemmeno aver finanziato il presunto traffico, nonostante la crisi di liquidità di NOME che mai si è rivolto a lui per chiedere ausilio.
2.7. Sul piano delle esigenze cautelari rileva come il Tribunale non abbia spiegato in maniera sufficiente ed esaustiva per quale ragione le stesse non possano essere salvaguardate attraverso misure cautelari più gradate, come gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico, come richiesto. Non sono stati poi vagliati dal Tribunale gli elementi indicati dalla difesa in relazione ai reati finanziari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Tutte le censure che attengono ai gravi indizi di colpevolezza, con particolare riferimento a quelle svolte per i reati in materia di stupefacenti contestati al Morabito ai capi 26)-27)-28)-33) dell’imputazione, non possono essere prese in considerazione in questa sede, risultando in atti confermato che per tali reati -così come per tutti gli altri oggetto di imputazione -è stata dichiarata, in sede di merito, la penale responsabilità del ricorrente, con sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Milano in data 18.3.2025 (motivazione depositata il 20.5.2025).
Ne deriva che, pur trattandosi di decisione non ancora definitiva, nella specie deve trovare applicazione il principio per cui le questioni relative alla persistenza dei gravi indizi di colpevolezza, necessari al mantenimento della misura di cautela personale, non sono più proponibili dopo la sentenza di condanna, anche non irrevocabile (cfr. Sez. 1, n. 44081 del 11/11/2008, De, Rv. 241851 – 01). Invero, in tema di misure cautelari personali, una volta intervenuta la sentenza di condanna anche non definitiva, la valutazione degli elementi rilevanti ai fini del giudizio incidentale, anche in sede di riesame o di appello, deve mantenersi nell’ambito della ricostruzione operata dalla pronuncia di merito, non solo per quel che attiene all’affermazione di colpevolezza e alla qualificazione giuridica, ma anche per tutte le circostanze del fatto, non potendo essere queste apprezzate in modo diverso dal giudice della cautela (cfr. Sez. 3, n. 45913 del 15/10/2015, Shopov, Rv. 265544 – 01).
4. Pertanto, nel caso in disamina non vi è spazio per una nuova valutazione degli elementi indiziari, tantomeno sotto il profilo del vizio di legittimità, dovendosi peraltro osservare come il ricorso, sotto la prospettazione del vizio motivazionale, sviluppa in realtà censure di puro merito, contestando la ricostruzione dei fatti operata dal giudice della cautela, sotto il profilo della gravità indiziaria, e offrendone una diversa, favorevole al ricorrente, pretendendo che la stessa sia avallata in questa sede. Ciò, tuttavia, è estraneo ai compiti della Suprema Corte, la quale non è chiamata ad interpretare a sua volta, sulla base delle critiche avanzate in ricorso, il significato delle prove o degli indizi processualmente emersi, al fine di stabilire quale sia la migliore e più affidabile ricostruzione dei fatti penalmente rilevanti. Alla Corte di Cassazione spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460 – 01).
Sotto questo profilo, la motivazione dell’ordinanza impugnata non può essere considerata carente, né manifestamente illogica o erronea in diritto, risultando piuttosto confermata, quanto alla ricostruzione dei fatti, con la sentenza dianzi citata in sede di primo grado di merito.
5. Con riferimento alle esigenze cautelari, l’ordinanza impugnata non presenta vizi logico-giuridici desumibili in sede di legittimità, avendo adeguatamente rappresentato, oltre ai gravi indizi a carico del prevenuto, la concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, avuto riguardo alla natura ed entità delle condotte contestate al ricorrente, relative al traffico di ingenti quantitativi di sostanze stupefacente, al ruolo verticistico assunto nel sodalizio criminoso oggetto di imputazione , alla professionalità e sistematicità dell’attività illeci ta svolta, alla negativa personalità del COGNOME, soggetto di alto spessore delinquenziale, condannato anche con riferimento al capo 1), per aver costituito, promosso e organizzato un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio, la vita e l’incolumità individuale . Non va dimenticato, del resto, che nel caso si verte in ipotesi di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., caratterizzato tanto dalla presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, quanto dalla presunzione di adeguatezza (relativa) della misura carceraria, nel caso ritenuta non superata dal Tribunale in considerazione
della rilevante capacità criminale del prevenuto e dell’assenza di elementi nuovi valutabili ai fini del superamento della menzionata presunzione.
In definitiva, il Tribunale ha offerto un logico e adeguato percorso motivazionale, teso ad evidenziare la necessità di applicare al prevenuto la massima misura custodiale, ritenuta l’unica concretamente idonea e funzionale rispetto al notevole grado di intensità dell’esigenza di prevenire il pericolo, attuale e concreto, di reiterazione dei reati oggetto di contestazione.
6 . Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
Vanno disposte le comunicazioni di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen., a cura della Cancelleria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18 giugno 2025