Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19418 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19418 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 27/05/1960 a Marano di Napoli avverso l’ordinanza del 27/01/2025 del Tribunale di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che chiede che la sentenza sia annullata con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
In data 4/5 novembre 2024, la Corte d’appello di Napoli, avendo rilevato che la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza della stessa Corte d’appello e che, in caso di annullamento della sentenza in appello, i termini di durata della custodia cautelare riprendono a decorrere dalla data della decisione
di annullamento, aveva dichiarato decorsi i termini massimi di fase e, quindi, estinta la misura cautelare.
Tuttavia, ritenendo che permanessero le esigenze cautelari, aveva disposto nei confronti di NOME COGNOME il divieto di dimora in Campania insieme all’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria competente per territorio.
Avverso tale provvedimento NOME COGNOME presentava appello, rigettato, con l’ordinanza in epigrafe, dal Tribunale di Napoli che confermava la citata ordinanza emessa dalla Corte d’appello.
Ha presentato ricorso, nell’interesse dell’imputato, l’Avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo, violazione dell’art. 274 cod. proc. pen., in relazione all’art. 275 cod. proc. pen., e conseguente vizio di motivazione.
La Corte di cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza emessa il 24 maggio 2023 dalla Corte di appello di Napoli, la quale aveva confermato la condanna in primo grado dell’imputato per il delitto di associazione mafiosa (art. 416-bis cod. pen.), evidenziando le carenze motivazionali e le lacune probatorie relative alla sua partecipazione al “clan Polverino”. Ciò nondimeno, la Corte di appello di Napoli ha ritenuto, nell’ambito della valutazione cautelare, sussistenti le esigenze cautelari, sulla base della perdurante appartenenza di Candela al suddetto clan.
Nell’appello cautelare proposto da COGNOME era evidenziato che l’annullamento, seppur con rinvio, della sentenza di merito avesse indebolito di fondamento l’ipotesi della partecipazione associativa.
Ma il Tribunale del riesame, con l’ordinanza impugnata, si è limitato a replicare in modo acritico e formale i presupposti della contestazione, senza procedere ad un’autonoma rivalutazione dell’attualità e della concretezza delle esigenze cautelari.
In particolare, ha richiamato l’orientamento di legittimità secondo cui, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale, il Tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza aggravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine a eventuali allegati fatti nuovi, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o ad escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della la natura autonoma del provvedimento impugnato.
Tale orientamento è però inconferente nel caso di specie, dal momento che la Corte di appello di Napoli aveva non già rigettato una richiesta di revoca della misura cautelare preesistente, ma dichiarato estinta la misura custodiale in corso e, contestualmente, applicato per la prima volta il divieto di dimora e l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
E, comunque, tale orientamento è stato superato più recentemente superato, avendo questa Corte ritenuto che, per tutto ciò che esula dalla espressa previsione del disposto dell’art. 310 cod. proc. pen., il silenzio legislativo assume il significat di un rinvio implicito ai principi e alle norme che disciplinano l’istituto dell’appell nelle parti applicabili (Sez. 3, n. 30339 del 03/06/2021, M., non mass.): con la conseguenza che il giudice dell’appello cautelare ha l’obbligo di riesaminare integralmente la sussistenza delle condizioni di legittimità della misura cautelare, e che la cognizione del giudice d’appello deve riguardare tutti gli elementi richiesti per l’applicazione, il mantenimento o la sostituzione della misura cautelare, anche diversi e successivi a quelli utilizzati dall’ordinanza (sempre Sez. 3, n. 30339 del 03/06/2021 cit).
Tale indagine più approfondita, autonoma e completa sulla sussistenza delle esigenze cautelari è mancata nel caso di specie.
Di più, il provvedimento impugnato non tiene conto del fatto che la Corte di Cassazione, nell’annullare la sentenza della Corte d’appello di Napoli e disporre un nuovo giudizio per Candela, aveva evidenziato la grave carenza motivazionale sulla sussistenza degli elementi probatori, ritenuti inidonei a fondare la condanna ex 416-bis cod. pen., rilevando:
l’assenza di una motivazione rigorosa sulla attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia;
l’insufficienza del dato rappresentato da mere frequentazioni occasionali con ambienti mafiosi;
la sovrapposizione temporale tra la presunta partecipazione di COGNOME al “clan COGNOME” e la sua successiva condanna per il reato associativo in favore del clan COGNOME, dal mese di agosto al mese di dicembre 2017, coincidenza temporale stigmatizzata in termini di incompatibilità logico-giuridica.
I Giudici dell’appello cautelare hanno quindi omesso di considerare lacune concernenti aspetti decisivi per la tenuta del quadro probatorio e trascurato il dettato dell’art. 299, comma 1, cod. proc. pen., ipotizzando, per contro, una presunzione di continuità del vincolo associativo.
Hanno, cioè, richiamato principi generali in tema di reati associativi senza alcuna specifica verifica della posizione del ricorrente, dimenticando oltretutto che la presunzione di tendenziale stabilità del vincolo associativo opera solo in assenza
di elementi contrari suscettibili di mettere ragionevolmente in dubbio la persistente adesione dell’imputato al sodalizio criminale.
A fortiori, il ragionamento del Tribunale deve ritenersi viziato dopo la modifica dell’art. 274, lett c), cod. proc. pen., nel caso di specie essendo pretermessa qualunque verifica sull’attualità del pericolo di reiterazione criminosa, invocando una presunzione di carattere generale.
La motivazione dell’ordinanza impugnata è quindi solo apparente.
D’altronde, la stessa giurisprudenza richiamata dal Tribunale del riesame ha chiarito che il decorso del tempo e l’assenza di nuovi elementi a carico dell’indagato vanno adeguatamente valorizzati nella valutazione cautelare.
Il difensore dell’indagato, che aveva chiesto la trattazione in forma orale del procedimento, vi ha successivamente rinunciato, allegando la sopravvenienza di un urgente impegno lavorativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, sebbene per ragioni in parte diverse da quelle dedotte dal ricorrente, e di seguito illustrate.
Va preliminarmente ribadito quanto osservato nel “ritenuto in fatto”, e cioè che, nel caso di specie, il divieto di dimora in Campania insieme all’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria è stato disposto dopo la cessazione della custodia cautelare per decorsi termini di custodia cautelare.
Va dunque chiarito che, secondo Sez. U, n. 44060 del 11/07/2024, COGNOME, Rv. 287319, tale misura, in quanto “nuova”, non avrebbe potuto costituire oggetto di appello, l’unico possibile mezzo di impugnazione essendo rappresentato dal riesame.
Tale recente pronuncia, nel fissare la massima di diritto per cui, «in tema di misure cautelari personali, sono impugnabili con istanza di riesame i provvedimenti applicativi di una nuova misura cautelare, ricorrendo tale ipotesi tutte le volte che la misura originariamente applicata venga caducata, per qualsivoglia ragione, e ne venga emessa una successiva, autonoma dalla prima, ossia non condizionata dalla precedente vicenda cautelare», al § 12.2, prende in specifica considerazione il caso qui rilevante.
Precisa, infatti, che “nuova misura” deve ritenersi quella emessa ai sensi dell’art. 307, comma 1, cod. proc. pen., aderendo alla lettura secondo cui l’inciso contenuto nell’art. 307, comma 1, cod. proc. pen., come novellato dall’art. 2, comma 5, del d.l. 24 novembre 2000 n. 341, convertito dalla legge 9 gennaio
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2001 n. 4, che consente l’adozione di misure sostitutive «solo se sussistano le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare», va interpretato nel senso che occorre esperire una verifica in positivo della persistenza delle condizioni di applicabilità della misura.
Specifica, quindi, che tale verifica non può consistere nel semplice richiamo dell’accertamento originario, ma deve dar conto delle ragioni per le quali si ritiene che sussistano nuove e comprovate esigenze cautelari, diverse da quelle originarie, sopravvenute alla scarcerazione, e che è indubbio che la valutazione demandata, in tal caso, al giudice, debba essere necessariamente improntata all’attualità, e perciò generatrice di un provvedimento “nuovo”, privo, cioè, di collegamento con la misura originariamente disposta e venuta meno per la scarcerazione dell’imputato per decorrenza dei termini di custodia.
Ciò precisato, e venendo al caso di specie, non sussistono le condizioni per ritenere che il provvedimento impugnato, al di là della sua formale qualificazione come “appello”, abbia il contenuto di un riesame.
3.1. Infatti, i Giudici del provvedimento impugnato hanno osservato che l’annullamento della sentenza della Corte d’appello da parte della Cassazione non determina in modo automatico la cessazione della misura cautelare in atto, giacché quest’ultima può essere ordinata solo con riguardo alle misure cautelari emesse nel corso del giudizio di appello e nel caso di annullamento senza rinvio della sentenza di appello da parte dei giudici di legittimità.
Hanno aggiunto che la Corte di Cassazione non ha ritenuto l’insussistenza del reato e la mancanza di condotta perdurante, ravvisando invece un (deve ritenersi: secondo i Giudici, mero) vizio motivazionale in rapporto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, al periodo di protrazione della condotta associativa e alla compatibilità della stessa con la condanna di COGNOME per la partecipazione al clan COGNOME per un periodo per parte sovrapponibile a quello in contestazione nell’attuale procedimento (si tratta di aspetti – invero – non secondari).
Ed hanno fondato la propria decisione sull’assunto che il vincolo associativo ha natura tendenzialmente stabile per cui, in difetto di elementi contrari, nel caso di specie non forniti, la partecipazione al gruppo non viene meno.
Sempre sulla base di tale presupposto concettuale, si sono poi limitati ad asserire che permanevano le esigenze cautelari dopo l’estinzione della misura custodiale per decorrenza dei termini di fase, reputando, dunque, corrette la valutazione sulla loro attualità e, in ultima analisi, l’applicazione della misura, volta – concludono – ad elidere i contatti con l’ambiente criminale di appartenenza e a controllare la stabile permanente presenza dell’indagato in un contesto territoriale distante rispetto a quello di commissione delle condotte di reato contestate.
3.2. L’accertamento giudiziario svolto nel provvedimento impugnato difetta, dunque, del carattere interamente devolutivo, tipico del riesame, essendosi i
Giudici limitati, in sostanza, ad evidenziare – in modo pressocché apodittico – la mancata sopravvenienza di elementi di novità rispetto a quanto deciso dai Giudici
dell’ordinanza genetica, senza rispondere alle specifiche deduzioni difensive legate all’annullamento con rinv
‘ io, da parte di questa Corte, della sentenza di condanna dell’imputato: annullamento disposto sì per vizio di motivazione, ma in relazione
a profili potenzialmente incidenti sui presupposti applicativi delle misure cautelari.
4. L’ordinanza va dunque annullata senza rinvio e gli atti devono essere trasmessi al Tribunale del riesame per il giudizio di riesame.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Napoli per il giudizio di riesame.
Così deciso il 30/04/2025