Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23252 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23252 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 11/04/2025 R.G.N. 6318/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME NOME nato a NOCERA INFERIORE il 29/07/2000 avverso l’ordinanza del 03/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Salerno udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 3 febbraio 2025, il Tribunale di Salerno, investito della richiesta di riesame avverso l’ordinanza resa il 4 giugno 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno proposta nell’interesse di NOME COGNOME a cui era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere in ordine ai delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. (partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata clan Giugliano, dall’8 marzo 2020 in poi: capo 1) e di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e 416-bis.1 cod. pen. (commercializzazione continuata di sostanza stupefacente del tipo cocaina, con le aggravanti delle piø persone riunite e dell’avvalimento della forza di intimidazione derivante dal disciolto cartello denominato RAGIONE_SOCIALE e dall’appartenenza al clan Giugliano, dal dicembre 2020 al 2021: capo 11), ha – in sede di rinvio, dopo l’annullamento da parte della Corte di cassazione della prima ordinanza del Tribunale del riesame in data 1° luglio 2024, che aveva confermato l’ordinanza genetica – accolto parzialmente la richiesta e, per l’effetto, ha annullato l’ordinanza applicativa con riguardo al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. (capo 1), mentre ha confermato tale ordinanza quanto al delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e 416bis.1 cod. pen. (capo 11), limitatamente alla circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa e con esclusione dell’aggravante del metodo mafioso, confermando anche la misura della custodia cautelare in carcere.
1.1. Piø specificamente, la Corte di cassazione, con la decisione richiamata (Sez. 5, n. 46278 del 30/10/2024), aveva annullato con rinvio il provvedimento impugnato in relazione al reato di cui al capo 1) e in ordine alle esigenze cautelari, mentre aveva dichiarato inammissibile nel resto il ricorso.
I giudici di legittimità avevano ritenuto che, quanto all’imputazione inerente al reato associativo, il quadro indiziario esposto fosse inadeguato e che, pertanto, fosse necessario un nuovo esame allo scopo di verificare se sussistessero ulteriori elementi idonei a raggiungere il livello della corrispondente gravità indiziaria, mentre avevano considerato inammissibile la doglianza in tema di gravi indizi inerenti al reato di cui al capo 11), eccettuata la verifica dell’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen., da ritenersi assorbita a cagione dell’annullamento relativo al reato associativo.
Infine, l’ordinanza era stata annullata anche in punto di verifica delle esigenze cautelari, verifica del tutto trascurata nel provvedimento impugnato.
1.2. Il Tribunale di Salerno, in sede di rinvio, ha reso l’ordinanza sopra indicata con cui ha deciso nel senso già riportato, osservando che, quanto alla gravità indiziaria relativa al reato sub 1), preso atto che la Corte di cassazione aveva demandato la ricerca di nuovi elementi che fossero significativi dello stabile inserimento dell’indagato nel suddetto sodalizio criminoso, si Ł constatata la mancata emersione degli stessi.
Con riferimento al reato di cui al capo 11), sulla premessa che la Corte di legittimità aveva dichiarato inammissibile il ricorso, pur demandando alla sede rescissoria la valutazione della circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen., il Tribunale ha analizzato le evidenze acquisite e le ha considerate idonee a sorreggere la valutazione di gravità indiziaria quanto alla finalità di agevolazione dell’associazione di cui al capo 1), reputata ascrivibile anche all’indagato.
Raggiunto tale approdo, i giudici del riesame hanno concluso per la permanente sussistenza
dei presupposti legittimanti la custodia cautelare inframuraria, valorizzando, per il reato aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen., la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze stesse e di adeguatezza della custodia carceraria, reputata tuttora insuperata.
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso i difensori di Cirota chiedendone l’annullamento e affidando l’impugnazione a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunciano l’erronea applicazione degli artt. 273 e 192 cod. proc. pen. e la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in punto di gravità indiziaria.
La difesa evidenzia che la sentenza rescindente aveva messo in chiaro che la commercializzazione degli stupefacenti non rientrava fra i reati oggetto del programma dell’associazione di cui al capo 1), sicchØ l’attività imputata a Cirota al capo 11) era da ritenersi slegata dalle finalità del clan Giugliano: viene considerata, quindi, contraddittoria l’affermazione relativa alla consapevolezza dell’indagato della finalizzazione camorristica di quel medesimo traffico di stupefacenti, basata sugli stessi atti di indagine che, invece, erano già stati reputati inadeguati a raggiungere la gravità indiziaria in punto di partecipazione al clan del soggetto.
Al riguardo, si stigmatizza la valorizzazione da parte dei giudici del rescissorio della messa a disposizione del clan che Cirota avrebbe attuato in determinate circostanze e dell’indimostrata autorizzazione di Giugliano all’indagato affinchØ, in cambio, trattenesse i proventi dello spaccio: si Ł finito – lamenta il ricorrente – per utilizzare nuovamente quegli elementi già ritenuti dalla Corte di cassazione inidonei a sorreggere l’accusa di partecipazione al clan, oltre che smentire le caratteristiche di autonomia e occasionalità già riconnesse allo spaccio stesso.
2.2. Con il secondo motivo si prospettano l’erronea applicazione dell’art. 275 cod. proc. pen. e la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in riferimento alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
Ad avviso della difesa, il Tribunale, oltre a non tener conto del rilevante arco temporale trascorso dai fatti, in contrasto con la corretta esegesi del quadro normativo, ha proceduto a una valutazione parcellizzata degli ulteriori elementi, i quali, se vagliati con un’analisi coordinata, avrebbero condotto al pieno superamento della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Si sottolinea, fra l’altro, la duplicazione dell’errore inerente all’affermazione dell’appurata messa a disposizione di Cirota nei confronti del clan, già definitivamente esclusa in sede cautelare; si segnala la mancata considerazione del definitivo smantellamento del sodalizio criminale, per i relativi effetti sul piano delle esigenze cautelari, e della natura occasionale della condotta ascritta all’indagato, con contestazione chiusa al marzo 2021, epoca dalla quale questi, incensurato, aveva intrapreso un’attività lavorativa proseguita costantemente sino all’attualità, attività illogicamente svalutata, anche sotto il profilo della modestia retributiva, dai giudici del riesame.
Infine, la difesa rimarca l’assenza – rispetto allo spettro dell’imputazione provvisoria, come ridotta a seguito dell’annullamento con rinvio – di una specifica motivazione finalizzata ad argomentare in merito all’inidoneità di misure cautelari, compresi gli arresti domiciliari, diverse da quella carceraria e, allo stesso tempo, sufficienti a fronteggiare le esigenze cautelari, nel quadro circostanziale dato.
Il Procuratore generale, con la requisitoria svolta nel corso della discussione orale, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione, considerando congrua la motivazione offerta dal Tribunale sia sotto il profilo della gravità indiziaria inerente alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e sia in ordine all’evenienza di esigenze cautelari tali da legittimare la custodia in carcere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł da ritenersi fondato soltanto in parte, nei termini di seguito precisati.
Per quanto concerne l’analisi del primo motivo di impugnazione, si considera, in premessa, che il Tribunale, dopo aver ricordato che la gravità indiziaria relativa al delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e 416-bis.1 cod. pen. era stata basata sui
convergenti contributi dichiarativi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con il conforto del contenuto della conversazione intercettata il 28 marzo 2021, progr. 2409, ha – con specifico riferimento all’aggravante mafiosa – osservato che essa risultava contestata sia con riferimento all’agevolazione dell’associazione di cui al capo 1) e sia con riferimento al metodo mafioso: posto ciò, mentre in ordine al metodo, non sono emersi elementi idonei a dimostrare che l’attività delittuosa in materia di stupefacenti fosse stata compiuta dai coindagati di Cirota riferendosi al potere intimidatorio del sodalizio capeggiato da Giugliano, quanto, invece, alla diversa prospettiva dell’agevolazione mafiosa (non esaminata nella prima ordinanza, poi annullata, poichØ in quella sede la circostanza era stata correlata alla partecipazione dell’indagato al sodalizio e alla natura di reato fine del delitto in materia di stupefacenti), si Ł confermata la sussistenza della corrispondente gravità indiziaria.
I giudici del riesame si sono, sul punto, espressamente ricollegati al principio secondo cui il concorrente nel reato, che non condivida con il coautore tale finalità agevolativa, ben può rispondere del reato aggravato laddove egli sia consapevole della finalità del compartecipe, ex art. 59, secondo comma, cod. pen. In questo solco si Ł ritenuto acquisito che NOME COGNOME aveva autorizzato NOME e i suoi sodali a spacciare perchØ non era riuscito a inserirli in altra attività criminale così da assicurare loro un guadagno stabile: il fatto che l’attività di spaccio fosse da considerarsi autonoma rispetto a quella associativa, nel senso che non poteva essere configurata come un suo reato fine, non ne ha escluso la funzionalità indiretta rispetto al sodalizio, quale modalità utilizzata da Giugliano per consentire ai suoi sodali guadagni stabili in cambio del loro apporto alla causa associativa.
Secondo il Tribunale, a tale conclusione non osta la prima pronuncia di annullamento, in quanto essa si era limitata a rilevare l’estraneità dei reati in materia di stupefacenti al programma associativo, ma non ne aveva affatto escluso l’esistenza, dichiarando, anzi, inammissibile l’impugnazione di COGNOME in ordine al reato sub 11).
Nella cornice definita con chiarezza nel senso indicato, sono stati analizzati gli elementi (in particolare, gli interrogatori di COGNOME del 18.10.2022 e del 2811.2022, gli interrogatori di COGNOME del 28.07.2021 e del 3.08.2021) ritenuti dimostrativi dell’agevolazione dell’associazione da riconnettersi all’attività criminale in materia di stupefacenti, compresa quella di cui al reato sub 11), alla stregua dei quali i giudici del riesame hanno spiegato perchØ di tale finalità agevolativa Cirota fosse consapevole.
In tale direzione sono state reputate, con congrua motivazione, rilevanti primariamente le dichiarazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME dall’analisi delle quali Ł stata tratta la ponderata valutazione della loro sostanziale convergenza e adeguata idoneità a riscontrarsi reciprocamente.
L’apparato argomentativo offerto, all’esito del rescissorio, dal Tribunale in merito all’evenienza della gravità indiziaria inerente alla circostanza aggravante suindicata non merita, dunque, le censure enunciate dal ricorrente.
La difesa, sull’argomento, si Ł orientata essenzialmente verso la denuncia della violazione da parte del Tribunale del riesame del mandato stabilito dalla sentenza rescindente.
E, però, occorre ribadire che la sentenza rescindente aveva ritenuto assorbita ogni questione relativa all’aggravante mafiosa proprio in relazione all’annullamento della prima ordinanza resa in sede di riesame in relazione al reato di cui al capo 1).
Di conseguenza, riesaminato il compendio indiziario, il Tribunale, pur incorrendo in un’eccedenza di ordine esclusivamente lessicale circa la messa a disposizione dell’attività di Cirota – riferita al clan anzichØ, come Ł da intendere, ai singoli coindagati e, primariamente, alla persona di COGNOME -, ha puntualizzato che, sempre in preciso rapporto con l’imputazione provvisoria (la quale ha prefigurato ambedue le forme dell’aggravante), la gravità indiziaria Ł stata reperita con riguardo all’agevolazione mafiosa riconnessa al delitto di spaccio di stupefacenti sub 11).
Risulta chiarito in modo limpido che, essendo stato questo reato commesso anche da elementi di sicura appartenenza all’associazione camorristica, fra i quali Giugliano, Aquino, COGNOME e soprattutto COGNOME (di quest’ultimo COGNOME era definito ‘compariello’), la sua perpetrazione si Ł rivelata strutturalmente funzionale agli interessi associativi, in particolare perchØ i proventi andavano ripartiti fra i sodali che Giugliano non riusciva a stipendiare con altri fondi associativi.
Pur se – una volta esclusa la gravità indiziaria per il reato associativo in capo a Cirota – non viene, in questo contesto, ascritta al medesimo in via primaria e diretta l’intenzione di agevolare il clan con la sua attività di spaccio, Ł stato in pari tempo acclarato, sempre in termini di gravità indiziaria, che i suddetti coindagati del reato sub 11) hanno perseguiti tale obiettivo.
Pertanto, per ciò che concerne COGNOME (nell’attuale dinamica procedimentale coindagato non associato), il Tribunale ha operato la verifica dell’attribuzione al medesimo della circostanza aggravante sondando il piano della sua consapevolezza circa il perseguimento del suddetto scopo da parte dei coindagati, mediante la corrispondente condotta, con esito – come si Ł visto – univoco nel senso della sussistenza di tale consapevolezza.
Questo approdo, che appare congruamente giustificato con argomentazioni esenti da cadute logiche, risulta conforme al principio di diritto secondo il quale la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734 – 01; fra le successive Sez. 3, n. 32126 del 18/04/2023, COGNOME, Rv. 284902 – 01, anche per la conseguente sottolineatura che la circostanza aggravante di natura soggettiva di cui si tratta Ł caratterizzata da dolo intenzionale e, per comunicarsi al compartecipe del
reato, esige che questi sia stato consapevole della finalità perseguita dai concorrenti di agevolare il sodalizio mafioso, non potendo ritenersi sufficiente la semplice consapevolezza, da parte del predetto, dell’esistenza e dell’operatività di un’organizzazione sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen. e dell’appartenenza ad essa dei concorrenti, che rivestano posizioni apicali).
Sul piano ora esaminato, quindi, il discorso giustificativo reso dal Tribunale si Ł dipanato mediante l’enucleazione di concreti indicatori della sussistenza della consapevolezza in capo a Cirota della specifica funzionalizzazione anche associativa dell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti, oggetto di contestazione, messa in essere dai suddetti coindagati, pienamente inseriti nell’organigramma dell’associazione criminale.
Il primo motivo, di conseguenza, si rivela privo di fondamento.
3. Trascorrendo all’esame della seconda doglianza, Ł utile constatare che i giudici del riesame, in merito alle esigenze cautelari, hanno considerato che, trattandosi di reato aggravato ex art. 416bis.1 cod. pen., opera la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze stesse e di adeguatezza della custodia inframuraria, salva l’emersione dell’insussistenza delle medesime o la possibilità di soddisfare quelle sussistenti con altre misure.
Su questa premessa, risulta specificato che il contributo offerto da COGNOME al clan – id est a Francese e agli altri coindagati e, indirettamente, per questo tramite, alla consorteria – Ł da stimarsi come particolarmente allarmante, essendosi egli messo a disposizione dei medesimi in termini stabili, così percependo la remunerazione scaturente dall’attività criminale svolta mediante la cessione della sostanza stupefacente: rilievo ritenuto non smentito dall’attività lavorativa da lui iniziata a partire dal giugno 2021, non reputandosi dimostrato che tale attività, peraltro tale da garantire non piø che una modesta retribuzione, potesse e possa costituire una garanzia della certa cesura da parte dell’indagato dei suoi legami con la criminalità organizzata e, piø specificamente, con il pregresso contesto da cui era promanata la sua attività delinquenziale.
Nell’alveo in cui i giudici del riesame hanno collocato la verifica della sussistenza – o meno delle esigenze cautelari, di matrice specialpreventiva, alla stregua del disposto di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., l’evocazione da parte della difesa di un arco temporale, dal suo punto di vista consistente, trascorso dalla commissione del reato di cui al capo 11) non può stimarsi, per la prima parte dell’analisi, ossia quella della persistenza delle esigenze suindicate, argomento idoneo a sorreggere la tesi propugnata.
Nella consapevolezza della varietà di inflessioni esegetiche che ancora si manifesta in merito all’incidenza – o meno – del tempo silente sull’evoluzione delle esigenze cautelari rispetto alla contestazione di fattispecie delittuose a sfondo mafioso, appare equilibrato richiamarsi all’indirizzo secondo cui la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze di cautela sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata, con riguardo ai delitti aggravati ai sensi dell’art. 416bis.1 cod. pen., a condizione che si dia conto dell’avvenuto apprezzamento di elementi, evidenziati dalla parte o direttamente enucleati dagli atti, significativi in tal senso, afferenti, in specie, alla tipologia del delitto in contestazione, alle concrete modalità del fatto e alla sua risalenza, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero decorso di quello che si suole definire tempo silente, non potendo accedersi, in materia, a qualsivoglia automatismo valutativo. Si trae da ciò il corollario che la presunzione relativa di pericolosità sociale posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. fa sì che il giudice, senza dover dar conto della ricorrenza dei pericula libertatis, debba limitarsi ad apprezzare le ragioni della sua esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti; e tra le ragioni di esclusione rilevano, in particolare, sia il fattore inerente al tempo trascorso dai fatti, che deve essere parametrato alla gravità della condotta, e sia la rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, desumibile da indicatori concreti, quali le attività risocializzanti svolte in regime carcerario, volte al reinserimento nel circuito lavorativo lecito, nonchØ l’assenza di comportamenti criminali (Sez. 2, n. 24553 del 22/03/2024, COGNOME, Rv. 286698 – 01; Sez. 5, n. 806 del 27/09/2023, dep. 2024, S., Rv. 285879 – 01).
In definitiva, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, operando fino a prova contraria, si colloca in un ambito in cui fra gli elementi rilevanti per il superamento della stessa il tempo trascorso dai fatti costituisce uno fra gli indicatori che il giudice del merito cautelare, nella sua complessiva valutazione, può e deve considerare.
Orbene, alla stregua delle indicazioni richiamate, occorre prendere atto che, stante l’operatività della presunzione di persistenza delle esigenze cautelari, il Tribunale, al di là della professata preferenza per l’orientamento ermeneutico poco incline a conferire rilievo all’entità del tempo
trascorso dal fatto, ha fornito una motivazione che può ritenersi senz’altro adeguata, siccome ha dato conto in modo specifico dei fattori, ricollegabili alla particolare gravità dell’articolazione fattuale della condotta ascritta, per un verso, e all’insufficienza degli elementi di novità, anche in ordine all’attività lavorativa iniziata dall’indagato, che lo hanno ragionevolmente orientato a concludere nel senso che – considerato anche il lasso, pari a non piø che un triennio, trascorso dai fatti oggetto dell’imputazione provvisoria (fatti esauritisi nel 2021) – non sono affiorate evidenze di spessore idoneo a far ritenere scemato decisivamente il periculum libertatis oggetto della presunzione stessa.
Sotto l’analizzato profilo, pertanto, l’impugnazione nemmeno merita di essere condivisa.
Di diverso segno Ł la valutazione che il Collegio ritiene di esprimere in merito alla verifica dell’operatività della presunzione di adeguatezza della sola misura carceraria.
Se si profila conseguente effetto delle argomentazioni svolte dai giudici del riesame il solido ancoraggio delle argomentazioni rese nel provvedimento impugnato alla presunzione relativa di adeguatezza della misura coercitiva di carattere custodiale, quale risposta cautelare necessaria per il contenimento della preoccupante pericolosità dell’indagato, deve constatarsi (sul punto prendendosi atto del fondato rilievo difensivo) che il Tribunale ha, poi, omesso del tutto di prendere posizione sulla verifica di adeguatezza – o meno – nell’ambito delle misure custodiali, della misura degli arresti domiciliari, soprattutto se rafforzati dall’impiego dello strumento di controllo elettronico: non Ł dato rilevare da alcun passo del discorso giustificativo espresso che i giudici del riesame abbiano effettuato la corrispondente valutazione, in modo esplicito oppure anche in modo implicito ma, in tal caso, desumile ab externo in modo univoco.
Va ribadito che, sotto il profilo della scelta della misura, con particolare riferimento alla possibilità di adottare gli arresti domiciliari rafforzati dal controllo elettronico in luogo della custodia cautelare carceraria, opera il principio di diritto in base al quale, quando si tratti di applicare la custodia cautelare inframuraria, a seguito della riforma introdotta dalla già citata legge n. 47 del 2015, ove non si sia al cospetto di una delle ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza, il giudice della cautela deve sempre (anche quando la presunzione esiste, ma Ł soltanto relativa) motivare sull’inidoneità della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico (Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266651 – 01). Si Ł, in particolare, chiarito dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite che, a seguito dell’inserimento del comma 3-bis nel corpo dell’art. 275 cod. proc. pen., alla luce degli obiettivi della ricordata riforma del 2015, deve ritenersi essersi espressa in modo diretto l’intenzione del legislatore di considerare – rispetto alla custodia in carcere – gli arresti domiciliari coniugati con lo strumento di controllo elettronico ugualmente idonei, in via di principio e salvo specifiche controindicazioni, a tutelare le esigenze cautelari poste alla base della misura.
In questo senso, si Ł restituita centralità alla motivazione del giudice della cautela, affinchØ, nell’assolvimento di un rafforzato onere giustificativo, consideri tutte le alternative possibili per escludere il ricorso alla custodia carceraria.
Nell’ambito considerato, solo la totale inidoneità della custodia cautelare domestica rende superflua la motivazione comparativa fra le suindicate misure.
Anche in tale snodo, dunque, si ammette una motivata valutazione di merito che escluda ogni attuale e concreta possibilità di applicazione della custodia cautelare domiciliare (per ipotesi di tal tipo. Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, COGNOME, Rv. 277762 – 01; Sez. 3, n. 43728 del 08/09/2016, L., Rv. 267933 – 01).
I giudici del riesame, tuttavia, non hanno compiuto una specifica ponderazione nel senso ora indicato, in quanto non hanno affrontato in alcun modo tale argomento.
Il Tribunale, non avendo analizzato, nemmeno in modo implicito, la relativa questione, ha, quindi, mancato di esprimersi sull’adeguatezza – o meno – degli arresti domiciliari, rafforzati con l’impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275-bis cod. proc.
pen., a tutelare le persistenti esigenze cautelari.
Consegue che la motivazione risulta decisivamente monca sul rilevante punto della scelta della misura, in particolare della misura, fra quelle di carattere custodiale, necessaria e sufficiente a contenere la persistente pericolosità dell’indagato, in relazione alla doverosità della risposta implicata dal disposto dell’art. 275, comma 3-bis, cit.
In definitiva, l’ordinanza impugnata deve essere annullata limitatamente alla disamina delle questioni relative alla scelta della misura applicata, con rinvio al competente Tribunale per nuovo giudizio su tale punto, da effettuarsi con libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi ora enucleati.
In coerenza con le riflessioni svolte, l’impugnazione va rigettata nel resto.
Non comportando – la presente decisione – la rimessione in libertà del ricorrente, segue altresì la disposizione di trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla scelta della misura cautelare e rinvia per nuovo giudizio sul punto al tribunale di salerno, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p. Rigetta nel resto il ricorso.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 11/04/2025
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME