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Misura cautelare: la Cassazione sui gravi indizi

La Cassazione rigetta un ricorso contro una misura cautelare per traffico di droga e associazione mafiosa. L’analisi si concentra sulla validità dei gravi indizi di colpevolezza, sulla valutazione delle prove da parte del Tribunale del Riesame e sulla presunzione di esigenze cautelari per reati gravi.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misura Cautelare: La Cassazione Conferma il Carcere sulla Base di Gravi Indizi

Con la sentenza n. 38268 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso complesso riguardante l’applicazione di una misura cautelare detentiva per reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e associazione di tipo mafioso. La decisione offre importanti chiarimenti sui poteri del Tribunale del riesame, sulla nozione di ‘gravi indizi di colpevolezza’ e sulla presunzione delle esigenze cautelari in materia di criminalità organizzata.

I Fatti del Caso

Il Tribunale del riesame, confermando una precedente ordinanza, aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo, ritenuto gravemente indiziato di far parte di un’associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti, con l’aggravante del metodo mafioso. La decisione si fondava su un vasto compendio indiziario, che includeva intercettazioni, servizi di osservazione, dichiarazioni di altri indagati e manoscritti sequestrati.

La difesa dell’indagato, a seguito di un primo annullamento con rinvio da parte della Cassazione per un vizio di motivazione sull’identificazione del soggetto, aveva nuovamente impugnato la decisione del riesame, contestando la validità del quadro probatorio e la sussistenza stessa delle esigenze cautelari.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorrente ha presentato cinque motivi di doglianza:
1. La nullità dell’ordinanza per aver utilizzato un’informativa di polizia depositata solo in udienza, in presunta violazione del diritto di difesa.
2. Vizio di motivazione e violazione di legge nella valutazione delle prove relative all’identificazione dell’indagato e alla sua partecipazione al gruppo criminale.
3. Mancanza di motivazione sul rapporto tra l’indagato e l’associazione, definito come un legame stabile e non occasionale.
4. Carenza di motivazione riguardo la sussistenza dell’aggravante del ‘metodo mafioso’ e dell’agevolazione mafiosa.
5. Insussistenza delle esigenze cautelari, dato il tempo trascorso dalla fine delle intercettazioni e l’esistenza di un’attività lavorativa stabile.

L’Analisi della Corte: la validità della misura cautelare

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo tutti i motivi infondati o inammissibili. L’analisi dei giudici di legittimità ha toccato punti cruciali della procedura penale in fase cautelare.

La Valutazione delle Prove nel Giudizio Cautelare

In merito al primo motivo, la Corte ha ribadito un principio consolidato: il Tribunale del riesame, in qualità di giudice di merito, non è vincolato ai soli atti trasmessi dal Pubblico Ministero, ma può valutare anche elementi probatori prodotti in udienza, purché sia garantito il contraddittorio. L’uso di un’informativa depositata in udienza è quindi legittimo.

Sul secondo e più corposo motivo, la Corte ha sottolineato la differenza tra il giudizio cautelare e quello di merito. Per una misura cautelare, sono sufficienti i ‘gravi indizi di colpevolezza’, intesi come una qualificata probabilità di responsabilità, e non è richiesta la certezza processuale necessaria per una condanna. La Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la logicità della motivazione del giudice del riesame. In questo caso, il Tribunale aveva adeguatamente motivato l’identificazione dell’indagato sulla base di una pluralità di elementi convergenti (contatti telefonici, soprannomi, servizi di osservazione, dichiarazioni successive).

Partecipazione all’Associazione e Aggravante Mafiosa

La Corte ha respinto anche la censura relativa alla natura del rapporto associativo. Secondo i giudici, il ruolo dell’indagato non era quello di un semplice acquirente occasionale, ma di un fornitore abituale, pienamente inserito nella contabilità e nell’organizzazione del gruppo criminale, con un contributo rilevante e costante. Per integrare la partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, è sufficiente un vincolo durevole che accomuni acquirente e fornitore in un programma criminoso condiviso.

Riguardo all’aggravante mafiosa, il ricorso è stato giudicato generico, in quanto non affrontava tutte le rationes decidendi dell’ordinanza. Quest’ultima aveva evidenziato non solo l’agevolazione al clan derivante dai proventi del traffico, ma anche la ‘spendita del nome’ del clan per rafforzare la propria posizione sul territorio. La Corte ha ricordato che l’indagato era perfettamente consapevole che la sua attività illecita contribuiva a finanziare e a rafforzare il prestigio di una nota associazione mafiosa.

La Presunzione delle Esigenze Cautelari

Infine, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo sulle esigenze cautelari. Per reati di eccezionale gravità, come quelli contestati, l’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale stabilisce una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola custodia in carcere. Spetta all’indagato fornire la prova contraria, dimostrando l’assenza di ogni pericolo. Il mero decorso del tempo o l’esistenza di un lavoro non sono, da soli, elementi sufficienti a vincere tale presunzione.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su una distinzione netta tra il giudizio di legittimità e quello di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del Tribunale del riesame se la motivazione di quest’ultimo è logica, coerente e completa. Il ricorrente, secondo la Corte, ha tentato di proporre una lettura alternativa delle prove, un’operazione non consentita in sede di legittimità.

La motivazione del rigetto si basa sul principio di autosufficienza del provvedimento impugnato, che conteneva un apparato argomentativo solido e ancorato a precisi elementi fattuali. La Corte ha applicato una giurisprudenza consolidata sia in tema di poteri del riesame, sia in tema di standard probatorio cautelare e di presunzioni legali. Le doglianze del ricorrente sono state giudicate incapaci di scalfire la coerenza logica della decisione del Tribunale del riesame.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma la rigidità dei presupposti per l’applicazione delle misure cautelari in materia di criminalità organizzata. Conferma che il sindacato della Cassazione sulla motivazione in fatto è limitato alla manifesta illogicità e non può estendersi a una nuova valutazione del compendio indiziario. Inoltre, ribadisce la forza della presunzione di pericolosità sociale per chi è gravemente indiziato di reati di mafia, ponendo a carico della difesa un onere probatorio particolarmente gravoso per ottenere una misura meno afflittiva del carcere.

È possibile utilizzare in un procedimento di riesame prove depositate solo in udienza?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che il Tribunale del riesame può legittimamente decidere anche sulla base di elementi addotti nel corso dell’udienza, anche se acquisiti in epoca successiva alla richiesta della misura, a condizione che sia garantito il pieno contraddittorio tra le parti.

Qual è lo standard di prova richiesto per applicare una misura cautelare detentiva?
Per l’applicazione di una misura cautelare sono sufficienti i ‘gravi indizi di colpevolezza’, che non richiedono lo stesso grado di certezza necessario per una sentenza di condanna. È sufficiente l’emersione di elementi che fondino un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato.

Per reati di mafia e traffico di droga, le esigenze cautelari devono essere sempre provate dall’accusa?
No. Per questi specifici reati gravi, l’art. 275, comma 3, c.p.p. introduce una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari. Ciò inverte l’onere della prova: spetta all’indagato dimostrare, con elementi concreti, l’assenza di tali esigenze o la possibilità di soddisfarle con misure meno gravi del carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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