Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 38268 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 38268 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli del 11/06/2024.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, cui il P.G. si è riportato in udienza, che ha concluso per il rigetto del r corso. udita, per l’indagato, l’AVV_NOTAIO del Foro di Napoli, che si è riporta’ a al ricor chiedendone l’accoglimento.
PREMESSO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 11/06/2024, il Tribunale del riesame 1 i Nar oli, adito a seguito di annullamento con rinvio della precedente ordinanza del 27/12/2023 da par:e di questa Corte con sentenza n. 20345 del 10/04/2024 (la quale aveva annullato l’ordinanza fidenziando carenze di motivazione nelle modalità di identificazione dell’odierno ricorrerte), :onfermava l’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Napoli dell’8/11/2023, che aveva 3pplicato a
NOME COGNOME la misura cautelare di massimo rigore in riferimento agli articoli 73-74 d.P.R. 309/1990, 416-bis.1 cod. pen..
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione il COGNOME, affidando allo stesso cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo, lamenta la nullità dell’ordinanza per avere la stessa utilizzato p la decisione l’informativa del 5 giugno 2024 del RAGIONE_SOCIALE, successiva alla misura e depositata solo in udienza, anziché essere inserita agli atti de procedimento, con evidente violazione del diritto di difesa.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alle regole di valutazione della prova.
2.2.1. Quanto alla identificazione del ricorrente, il Tribunale, al fine di confermare la corre identificazione del COGNOME, ha fatto riferimento ad alcune circostanze emerse nel corso delle indagini e ad altre emerse successivamente all’emanazione dell’ordinanza genetica.
Il ricorrente analizza a confutazione ad una ad una le circostanze e gli elementi forniti dall’ordinanza impugnata a pagina 4 ss..
2.2.2. Oltre a ciò, il ricorrente deduce l’assenza di elementi tali da consentire di inferir partecipazione del COGNOME al gruppo criminale.
Con il terzo motivo, relativo al reato associativo, il ricorrente denuncia mancanza di motivazione in ordine alla esistenza di un rapporto sinallagmatico tra l’associazione finalizzat allo spaccio, riconducibile al “RAGIONE_SOCIALE“, e il COGNOME.
Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta mancanza di motivazione in ordine ai passaggi logici da cui si è desunta la sussistenza dell’aggravante del “metodo mafioso”, anche nella parte in cui l’ordinanza ritiene sussistente la condotta di “agevolazione” dell’associazione nnafiosa denominata “RAGIONE_SOCIALE“.
Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Evidenzia che l’ordinanza è stata eseguita oltre un anno e mezzo dalla fine delle intercettazioni, periodo in cui il COGNOME non ha commesso alcun reato e ha documentalmente provato l’esistenza di una stabile attività lavorativa.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Il Collegio premette che, in materia cautelare, pur non potendosi parlare di «doppia conforme», laddove le due ordinanze cautelari pervengano a conclusioni sovrapponibili, seguendo i medesimi passaggi argomentativi (come nel caso di motivazione per relationem), esse si integrano, formando un unícum.
In tal senso, la giurisprudenza della Corte ritiene (Sez. 2, n. 672 del 23/01/1998, dep. 1999, Trimboli, Rv. 212768 – 01) che «in tema di motivazione dei provvedimenti cautelari, così come la motivazione del tribunale del riesame può integrare e completare la motivazione elaborata dal giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo, quest’ultima ben può, a sua volta, essere utilizzata per colmare le eventuali lacune del successivo provvedimento; infatti, trattandosi d ordinanze complementari e strettamente collegate, esse, vicendevolmente e nel loro insieme, connotano l’unitario giudizio di sussistenza in ordine ai presupposti di applicabilità della misu cautelare».
Analogamente, Sez. 6, n. 32359 del 06/05/2003, COGNOME, Rv. 226517 – 01, ha ritenuto che il provvedimento del Tribunale del riesame integra e completa quello del giudice che ha emesso l’ordinanza applicativa, purché questa (come in questo caso) contenga le ragioni logiche e giuridiche che ne hanno determinato l’emissione, con la mera esclusione (Sez. 6, Sentenza n. 18476 del 12/12/2014, dep. 2015, Taiani, n.m.) del caso in cui il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso grafico oppure ove, pur esistendo materialmente una motivazione, essa si risolva in clausole di stile o in una motivazione meramente apparente e cioè tale da non consentire di comprendere l’itinerario logico-giuridico esperito dal giudice.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Ed infatti, per consolidata giurisprudenza della Corte, che il Collegio condivide e ribadisce contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, il giudice del riesame non è vincolato nella propria decisione alla valutazione dei soli elementi prodotti dal P.M. ai sensi dell’art. 291 c.p con la richiesta della misura, ma essendo giudice di merito senza limiti di devoluzione, legittimamente decide anche sulla base degli elementi addotti nel corso dell’udienza, anche se acquisiti in epoca successiva alla richiesta della misura (Sez. 3, Sentenza n. 15303 del 26/02/2020, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 4647 del 09/12/2015, dep. 2016, Rv. 266269 – 01; Sez.3, n.27592 del 25/06/2010, Rv. 248111 – 01; Sez.6, n.20714 del 28/03/2003, Rv. 225867 – 01; Sez. 1, n. 4689 del 06/07/1999, COGNOME, Rv. 214095 – 01; Sez. 6, n. 3321 del 02/09/1997, COGNOME, Rv. 209456 – 01), con il solo limite costituito dal fatto che tali documenti divent «atti del procedimento», ossia vengano offerti al Tribunale dalle parti (anche in sede d discussione orale), quando è ancora possibile l’instaurarsi tra le parti di un contraddittorio loro contenuto (Sez. 1, n. 11091 del 18/10/2022, dep. 15/03/2023, COGNOME, Rv. 284410 – 01; Sez. 1, n. 45246 del 22/10/2003, COGNOME, Rv. 226818 – 01).
Come chiarito dalla citata sentenza COGNOME, l’obbligo di trasmissione al Tribunale del riesame previsto dall’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. riguarda solo gli atti che il P.M. ha seleziona per sostenere la richiesta di misura cautelare, oltre che gli elementi a favore dell’indagato (Sez 4, n. 44004 del 1972013, Rv. 257698). Tale norma impone un obbligo di trasmissione “minimo”, che coinvolge sia gli atti sui quali la misura si fonda che gli elementi sopravvenuti favore dell’indagato.
Gli altri atti sopravvenuti alla emissione della ordinanza genetica – che non abbiano una connotazione di favore nei confronti degli indagati – “possono” (ma non “debbono”) essere trasmessi dal pubblico ministero se questi lo riterrà opportuno, non essendoci alcun obbligo in proposito.
Se non vi è obbligo, del pari non vi è divieto: tanto più che il codice prevede espressamente che le parti possano integrare il compendio indiziario in udienza (art. 309 comma 9 cod. proc. pen.).
Il motivo, che non si confronta con la sedimentata giurisprudenza di questa Corte, è pertanto manifestamente infondato.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
Il Collegio premette che quanto alla nozione di «gravi indizi di colpevolezza» questa Corte (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, COGNOME, Rv. 257576) ha più volte chiarito che la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale.
Al fine dell’adozione della misura, invero, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indaga in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per q ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione concordanza degli indizi).
Ne deriva, quindi, che «ai fini delle misure cautelari, gli indizi non devono essere valuta secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192, comma 2, cod. pen.’ e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (cfr. ancor Cass., Sez. IV, 4 luglio 2003, Pilo; nonché, più di recente, Sez. IV, 21 giugno 2005, Tavella)».
Nel caso in esame, l’ordinanza individua numerosi elementi da cui desumere la conferma della identificazione dell’odierno ricorrente come colui che era in costante contatto con il COGNOME e il COGNOME, distinti in due categorie: quelli preesistenti alla emanazione della misura e qu emersi dopo la sua esecuzione.
Quelli preesistenti sono costituiti da:
l’utenza intestata ed in uso all’indagato, pur se non sottoposta ad intercettazione, entrata in contatto con utenze sottoposte a monitoraggio nell’ambito del presente procedimento penale;
in una conversazione il COGNOME chiama l’interlocutore «NOMENOME;
in alcune intercettazioni l’indagato viene appellato col nomignolo «COGNOME», ossia «il rosso»;
con il medesimo soprannome è indicato nei manoscritti sequestrati al COGNOME il 13 luglio 2022, che contengono l’elenco dei soggetti che valutavano crediti nei suoi confronti per la fornitura di stupefacenti;
in occasione di un summit occorso in data 2 maggio 2022, servizio di osservazione organizzato dai militari operanti rivendeva l’indagato in compagnia del COGNOME voi e di altri indagati;
il 9 maggio 2022 militari operanti riprendevano l’indagato in compagnia del COGNOME presso l’autoconcessionaria di Ceppaloni adibita a una delle basi della associazione;
entrambi i servizi di osservazione e controllo avvenivano nel periodo di monitoraggio delle utenze;
il COGNOME è soggetto noto alle forze dell’ordine anche per il suo timbro di voce;
egli è noto ai carabinieri di Pomezia, da cui è stato più volte controllato in compagnia del COGNOME;
in una conversazione, il «Rosso» è accomunato proprio al «COGNOME».
Gli elementi emersi dopo l’esecuzione della misura sono prevalentemente costituiti dalle dichiarazioni dello stesso COGNOME, il quale ha un modo chiaro ammesso che il COGNOME era uno dei suoi interlocutori nelle conversazioni che il GIP gli stava contestando.
Il motivo è inammissibile in quanto il ricorrente propone una lettura alternativa delle fon di prova che non è ammissibile nel giudizio di legittimità.
Ed infatti, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice merito e che, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto i profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice, spettando alla Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbi adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritt governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 5, n. 602 del 14/11/2013, dep. 2014, Ungureanu, Rv. 258677; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME NOME, Rv. 276976).
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere «all’interno» del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (Sez. 4, n. 14166 del 15/04/2021, COGNOME, n.m.).
In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo
cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogi evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
Il Collegio ribadisce che la Corte di legittimità non può effettuare alcuna valutazione ” merito” in ordine alla capacità dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il compito è limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate – o indicate – in ossequio al principio di autosufficienza (ex multis: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965), anche in considerazione del fatto che non può sottoporre a una disannina integrale gli atti processuali posti a fondamento delle decisioni sottostanti e nessun elemento, tantomeno una porzione di prova, per quanto possa apparire importante, può essere valutato a prescindere dall’intero contesto giurisdizionale, sul quale il vaglio di legittimità deve concentrarsi.
Inoltre, «ai sensi dell’art. 606, lett. e) c.p.p., la mancanza e la manifesta illogicità motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettua dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica» (Sez. U., n. 16 de 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621-01), in quanto «il sindacato di legittimità è limitato all verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri» (Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani Rv. 216260-01).
In conclusione, «esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” deg elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiv riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la m prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanz processuali» (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 – 01), poiché non rientra tra le sue competenze lo stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzio dei fatti, né condividerne la giustificazione (Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 – 01).
Il motivo è quindi inammissibile, in quanto propone alla Corte di operare una rilettura, i chiave favorevole all’imputato, del compendio probatorio, in assenza di profili di illogicit contraddittorietà tali da travolgere l’intero apparato motivazionale del provvedimento, il quale soprattutto in relazione alla attuale fase procedimentale, dà sufficientemente conto della sussistenza di un apparato indiziario idoneo a sostenere il provvedimento impugnato.
Il terzo motivo, che è articolato sul presupposto dell’accoglimento del secondo (pag. 1314: “espunta, infatti, dal percorso giustificativo l’identificazione del ricorrente, la motiva risulterebbe priva di giustificazione»), è di conseguenza infondato.
Va peraltro evidenziato che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, questa Corte non si era pronunciata in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativi al re associativo, avendo ritenuto assorbente l’accoglimento della doglianza relativa alla identificazione del COGNOME.
L’ordinanza impugnata, che da pagina 6 a pagina 23 riporta – facendoli propri – i contenuti della prima ordinanza in tema di gravi indizi, conferma la sussistenza dei medesimi in relazione al reato associativo, evidenziando, ad abundantiam, che le condotte di detenzione, trasporto e cessione, contestate ai capi 26) e 28), non erano occasionali, ma si inserivano in una complessa tela di rapporti e in una articolata organizzazione (veicoli noleggiati “ad hoc”; luoghi di custo della sostanza; pluralità di utenze cellulari), come confermato (pag. 6) dalla conversazione del 31 maggio 2022 del COGNOME, che parla della disponibilità di una abitazione per “stoccare fumo”.
L’ordinanza richiamata evidenzia altresì come il COGNOME e il COGNOME fossero pronti a dividere con il COGNOME le perdite economiche derivanti dal sequestro di una partita di stupefacenti.
Dalle conversazioni intercettate, poi (in cui gli interlocutori utilizzano un lingua “criptato”), emerge che i tre, dopo ogni sequestro e arresto, si sarebbero adoperati per sostituire prontamente nuovi corrieri e ideare nuovi metodi per le cessioni,
Evidenzia poi l’ordinanza che il COGNOME era inserito nella contabilità del gruppo col nome di “COGNOME“, trattandosi di fornitore abituale che ha apportato un contributo rilevante a associazione.
Da tale messe indiziaria il Tribunale del riesame inferisce, con motivazione tutt’altro ch illogica o apparente, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non limitandosi ad evidenziare gli elementi di prova relativi ai reati fine, come sostenuto dal ricorrente, che fa leva s mancanza di prova di un “accordo sinallagmatico” (che presuppone l’alterità tra la associazione e il soggetto) laddove l’ordinanza parla – e motiva – di inserimento a pieno titolo del COGNOME nella compagine con ruolo di organizzatore.
Va in proposito rammentato che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, integra il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti la condotta del soggetto acquirente di droga che, in presenza di un vincolo durevole che lo accomuni con il fornitore, riceve in via continuativa la droga da immettere nel mercato del consumo secondo regole predeterminate relative alle modalità di fornitura e di pagamento della sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 564 del 29/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265763 – 01; Sez. 5, n. 51400 del 26/11/2013, Abbondanza, Rv. 257991 – 01), ciò da cui discende la possibilità per entrambi di essere inseriti nell’alveo associativo.
Il motivo è pertanto infondato e va rigettato.
5. Il quarto motivo è inammissibile.
Va premesso che il ricorrente ancora il quarto motivo all’accoglimento del terzo: venuto meno il rapporto associativo, verrebbe meno l’aggravante.
L’infondatezza del terzo motivo di ricorso si riverbera quindi sulla fondatezza del quarto, che già per tale ragione andrebbe esclusa.
In ogni caso, il ricorrente evidenzia come, a pagina 23, l’ordinanza da un lato richiami la precedente ordinanza del dicembre 2023, che evidenziava la sussistenza dell’aggravante “oggettiva” del “metodo mafioso”, in virtù della circostanza che il COGNOME e gli altri sod “spendevano del nome” del clan camorristico, per rafforzare la posizione dominante dell’associazione sul territorio, mentre la nuova ordinanza ritiene sussistente anche l’aggravante “soggettiva” della “agevolazione mafiosa”, posto che è proprio dal traffico di stupefacenti che i clan COGNOME trova la maggiore fonte di sostentamento.
Va sul punto evidenziato che il ricorso si limita ad affrontare criticamente questo secondo profilo, omettendo di confrontarsi con l’aggravante “oggettiva”, che, come tale (art. 70 cod. pen.), si trasmette ai compartecipi (arg., a contrario, ex art. 118 cod. pen.).
In proposito, va rammentato che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso p cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448 – 01; Sez. 3, Ord. n. 30021 del 14/07/2011, Fird, Rv. 250972 – 01).
In ogni caso, questa Corte ritiene che la circostanza aggravante dell’aver agito al fine d agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, che ha natura soggettiva inerendo ai motiv a delinquere, si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734 – 01).
L’ordinanza, sul punto, a pagina 23, evidenzia come «i documentati rapporti di frequentazione con COGNOME NOME e la presenza ricorrente in provincia di RAGIONE_SOCIALE, dimostra che quest’ultimo era perfettamente consapevole che, procurando costantemente sostanze stupefacenti da immettere sul mercato, consentiva al clan COGNOME di acquisire prestigio criminale sul territorio di pertinenza e i profitti necessari per il sostentam degli affiliati», con ciò ottemperando all’onere di motivazione richiesto dalla citata sentenza del Sezioni Unite.
Il motivo, che non si confronta con la motivazione del provvedimento, è quindi inammissibile per genericità.
6. Il quinto motivo è inammissibile.
Come noto, per i reati inclusi nel catalogo di cui all’articolo 51, comma 3-bis, cod proc. pen. l’articolo 275 c.p.p., relativo ai «criteri di scelta delle misure», al comma 3 stabilisce che «quan sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis del presente codice … è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione a caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
La giurisprudenza della Corte ha chiarito che la norma in questione introduce un «giudizio semplificato» quanto alle esigenze cautelari in relazione a tali reati, determinando un’inversione dell’onere dalla prova: si presumono la sussistenza, l’idoneità e la proporzionalità della misur custodiale «a meno che», in concreto, non si rinvengano elementi, da indicare in modo chiaro e preciso, che facciano ritenere sufficienti misure di minor rigore (Sez. 3, n. 14248 del 14/01/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 3″, n. 30629 del 22/09/2020, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 12669 del 2/03/2016, COGNOME, RV. 266784: «la presunzione di esistenza di ragioni cautelari viene vanificata solo qualora sia dimostrata l’inattualità di situazioni di pericolo cautelare)».
Sez. 1, n. 21900, del 7/5/2021, Rv. 282004 ha poi precisato che «la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norm gAVV_NOTAIO stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che se il titolo cautelare riguard reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. detta presunzione fa ritenere sussistente salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo».
Il ricorso, che non si confronta con la giurisprudenza della Corte, non menzionando neppure l’articolo 275, comma 3, cod. proc. pen., è pertanto manifestamente infondato.
In conclusione il ricorso non può che essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att., cod. proc. pen.
Così deciso il 02/10/2024.