Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43842 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43842 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 30/11/1996
avverso l’ordinanza del 18/06/2024 del TRIBUNALE di TRIESTE udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 18 giugno 2024 il Tribunale del riesame di Trieste ha accolto l’appello cautelare del pubblico ministero nei confronti dell’ordinanza del 30 maggio 2024, con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trieste aveva applicato nei confronti di NOME COGNOME la misura del divieto di dimora nella Regione Friuli Venezia Giulia in relazione al reato di cui all’art. 12 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, commesso il 29 maggio 2024, ed, in riforma di tale ordinanza, aveva applicato all’indagato la misura della custodia in carcere. Nella motivazione dell’ordinanza il Tribunale ha evidenziato la inidoneità della misura disposta dal g.i.p. a contenere il pericolo di reiterazione del reato sia in quanto l’ordinanza cautelare non si faceva carico dell’onere motivazionale della adeguatezza della misura scelta per un reato cui è applicabile la presunzione
relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sia in quanto dagli atti emergeva un pericolo di reiterazione immediata del reato, anche per l’inserimento in un traffico organizzato di migranti, nonchè per le stesse condizioni economiche del condannato.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato, per il tramite del difensore, con unico motivo in cui deduce il vizio di motivazione nella valutazione delle esigenze cautelari, in quanto il riconosciuto bisogno economico dell’indagato costituisce circostanza irrilevante ai fini della valutazione della adeguatezza della misura cautelare perché si trattava di una condizione di difficoltà meramente temporanea nè essa può diventare indice autonomo di pericolosità sociale; la occasionalità del rapporto con l’organizzazione criminale deponeva per l’episodicità della condotta; l’affermazione secondo cui l’organizzazione criminale potrebbe utilizzare l’indagato in altri territori è generica e privo di riscontri, anche perché con l’arresto e la collaborazione ogni legame con gli organizzatori è stato reciso. Il Tribunale ha, inoltre, sminuito l’importanza della confessione sostenendo che è soltanto finalizzata a mitigare la posizione processuale dell’indagato, ma ciò non esclude che essa possa essere anche la conseguenza del riconoscimento dell’errore commesso, le due finalità possono convivere. Non è, inoltre, vero che la misura del divieto di dimora sarebbe stata priva di concreta deterrenza, perché, se l’indagato commettesse ulteriore illecito, nei suoi confronti potrebbe essere disposto l’aggravamento.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
Il ricorso sostiene che le difficoltà economiche dell’indagato che lo hanno indotto ad accettare di effettuare il trasporto di migranti che ha determinato il suo arresto fossero transitorie, ma l’argomento è inammissibile in quanto introdotto in violazione del principio di autosufficienza del ricorso che impone di allegare o trascrivere gli atti da cui emerga il vizio della motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 2, Sentenza n. 20677 del 11/04/ 2017, COGNOME, rv. 270071; Sez. 4, n. Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, RAGIONE_SOCIALE, rv. 265053; Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, Natale, rv. 256723). Alla base di questo punto del ricorso, infatti, vi è solo l’affermazione riferita dallo stesso indagato nel corso
dell’interrogatorio circa la propria situazione economica, ma la circostanza non è stata documentata.
Il ricorso deduce che con l’arresto e la confessione sarebbero stati recisi i legami tra il ricorrente e l’organizzazione che gli ha commissionato il trasporto, il che precluderebbe la possibilità di reiterare il reato, ma l’argomento è inammissibile, in quanto non risulta, né è allegato, che il ricorrente abbia dato un contributo alle indagini indicando nomi dei soggetti che lo hanno incaricato del trasporto e dei luoghi in cui è possibile ritrovarli, talchè la affermazione che siano stati i recisi i legami con l’organizzazione è totalmente ipotetica e congetturale, ed, in quanto tale, inidonea a determinare l’illogicità del provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 17102 del 15/02/2024, Concilio, n.m.; Sez. 2, Sentenza n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278237).
Il ricorso deduce che la confessione rilasciata dal ricorrente sarebbe indice di resipiscenza, ma l’argomento è manifestamente infondato in quanto anche qui di carattere meramente ipotetico e congetturale, non essendo allegato che il ricorrente, dopo la confessione, abbia tenuto specifici comportamenti incompatibili con la disponibilità ad essere coinvolto nuovamente in questo tipo di crimine.
Il ricorso deduce che, a differenza di quanto sostenuto nella ordinanza impugnata, il divieto di dimora disposto in origine dal g.i.p. non sarebbe stato totalmente privo di deterrenza, ma l’argomento è inammissibile per difetto di specificità (Sez. 2, Sentenza n. 17281 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 276916, nonché, in motivazione, Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823), perché la possibilità di aggravamento presuppone la commissione, e scoperta, di un ulteriore reato commesso in Italia, il che non è coerente con il percorso logico dell’ordinanza impugnata da cui si desume che, rispettando il divieto di dimora, il ricorrente potrebbe compiere ulteriori reati dello stesso tipo semplicemente partecipando a segmenti della condotta che si tengono interamente in territorio estero.
In definitiva, il ricorso è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec.
cod. proc. pen.
Così deciso il 15 ottobre 2024.