Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35828 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35828 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CHARLEROI( BELGIO) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di TRIESTE udita la relazione svolta dal Consigliere NOME AVV_NOTAIO COGNOME;
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME COGNOME Il PG conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore
AVV_NOTAIO‘avvocato COGNOME NOME del foro di TRIESTE in difesa di COGNOME NOME conclude e insiste nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Trieste ha rigettato l’appello proposto, a norma dell’art. 310 cod. proc. pen., nell’interesse di NOME COGNOME, avverso l’ordinanza del 14/02/2024 del Giudice per le indagini preliminari di Trieste, a mezzo della quale è stata respinta l’istanza di revoca della misura della custodia cautelare in carcere o sostituzione con il divieto di dimora o, ancora in subordine, con la misura degli arresti domiciliari da scontare in Belgio.
Alla COGNOME è stata applicata, con ordinanza emessa il 15 novembre 2023 dal G.i.p. del Tribunale di Trieste, la misura della custodia in carcere per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravato (dal numero dei correi pari almeno a tre; dal numero dei soggetto trasportati, pari almeno a cinque, e dal fine di profitto), fatto commesso in Trieste il 13/11/2023.
Il Tribunale del Riesame ha respinto l’appello cautelare osservando che nessun dato di novità fosse stato rappresentato dall’istante in seno all’istanza formulata ex art. 299 cod. proc. pen., di talchè del tutto correttamente il G.i.p. aveva confermato l’ordinanza genetica, sul presupposto dell’immutata sussistenza delle esigenze cautelari, in particolare del pericolo di recidivanza. Ho poi rilevato che, anche alla luce della doppia presunzione di cui all’art, 12 comma 4 bis d. Igs. 286 del 1998, l’unica misura adeguata a contenere le esigenze di cautela fosse quella massima carceraria.
Quanto in particolare alla richiesta di applicazione degli arresti donniciliari in Belgio, il Tribunale triestino ha ritenuto che gli arresti domiciliari, costituendo misura 9 detentiva, non possaP essere applicaté all’estero, fuoriuscendo dal campo applicativo del d. Igs. 36/2016, come recentemente affermato dal giudice di legittimità (sez. 6 n. 2764 del 19/12/2023).
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, deducendo i motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata contraddittorietà della motivazione in punto di novità e superamento del giudicato cautelare. Il Tribunale ha reso una motivazione contraddittoria per avere da un lato affermato non sussistere elementi di novità rappresentati dalla Difesa nell’istanza cautelare, dall’altro ha comunque preso in considerazione gli argomenti dedotti (decorso del tempo e condizioni di salute della detenuta, nonché la pendenza, in Belgio, di una causa inerente la custodia dei figli), ritenendoli insussistenti o irrilevanti. Si duole pertanto la Difesa della errata valutazione operata dal Tribunale, in punto di incidenza degli elementi sottoposti alla sua valutazione dall’indagata ai fini della valutazione della prognosi di recidiva,
illogicamente ritenuti irrilevanti ai fini della ridimensionamento dell’esigenza cautelare ravvisata.
2.2. Con il secondo motivo viene denunciata violazione di legge ex art. 311 comma 2 cod. proc. pen.
Ha errato il Tribunale nel ritenere preclusa la possibilità per la COGNOME di essere sottoposta agli arresti domiciliari all’estero, non rientrando tale misura nell’ambito di applicazione del d. Igs. 36 del 2016. Premesso che alcune pronunce della Suprema Corte (Cass. 37739/2021 e Cass. 8864/2022) hanno, al contrario, ritenuto detta misura cautelare ricompresa nell’ambito di applicazione dell’art. 4 del citato decreto, osserva la ricorrente come nell’interpretare la normativa comunitaria, volutamente generica, non possa non tenersi conto degli obiettivi che la ispirano; si richiama l’art. 8 della Decisione Quadro che, nel descrivere le misure cautelari rientranti nell’ambito di applicazione dell’atto, alla lett. c) riporta la misura comportante l’obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite, misura non differente da quella degli arrestisdomiciliari con autorizzazione ad uscire in determinate ore.
2.3. Nel caso il Collegio non condividesse l’interpretazione della normativa nel senso già affermato da Cass. 37739/2021 e Cass. 8864/2022, la ricorrente chiede, in via pregiudiziale, il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con procedimento d’urgenza ex art. 267 TFUE al fine di chiedere la corretta interpretazione dell’espressione “detenzione cautelare” e della disposizione di cui all’art. 8.1.c. della decisione quadro 2009/829/GAI, e quindi se l’istituto giuridico italiano degli arresti donniciliari, così come descritto dall’art. 284 cod. proc. pen. rientri nell’ambito dell’art. 8.1.c. della decisione quadro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è fondato limitatamente alla valutazione operata dal Tribunale in ordine alla adeguatezza della sola misura detentiva a garantire le esigenze cautelari, con assorbimento dei restanti motivi.
Va innanzitutto osservato come l’argomento speso dai giudici del merito cautelare in ordine alla assenza di novum dell’istanza in esame rispetto alla precedente del 12/02/2024k risulta superato dal medesimo Tribunale che ha respinto nel merito> l’istanza, analizzando, sia pure sinteticamente gli elementi dedotti dalla difesa.
z
3.La motivazione del provvedimento custodiale risulta effettivamente carente e meramente assertiva sui punti decisivi riguardanti il giudizio in ordine alla sussistenza attuale di un quadro cautelare connotato da un oggettivo pericolo di reiterazione del reato da parte dell’indagata e all’idoneità a contenerlo della sola misura detentiva custodiale.
Quanto al profilo dell’adeguatezza della sola misura detentiva, va ricordato come il giudice, sia in fase di applicazione di una misura cautelare che in sede di riesame, ha il dovere di effettuare una valutazione globale e complessiva della vicenda cautelare alla stregua di una serie di parametri di apprezzamento, di natura tanto oggettiva che soggettiva, quali sono delineati dagli artt. 274 e 275 cod. proc. pen.. Ne consegue che sia l’applicazione che il mantenimento delle misure cautelari personali non possono in nessun caso fondarsi esclusivamente su una prognosi di colpevolezza, ne’ mirare a soddisfare le finalità tipiche della pena – pur nelle sue ben note connotazioni di polifunzionalità – ne’, infine, essere o risultare in itinere prive di un loro specifico e circoscritto scopo.
Esiste, quindi, un nesso inscindibile tra la misura e la funzione cautelare che essa deve assolvere. Ciò comporta che la compressione della libertà personale deve avere luogo secondo un paradigma di rigorosa gradualità, così da riservare alla più intensa limitazione della libertà, attuata mediante le misure di tipo custodiale, il carattere residuale di extrema ratio. Nel novero dei parametri legislativamente delineati si iscrivono anche i principi di proporzionalità e adeguatezza che sono destinati a spiegare i loro effetti tanto nella fase genetica della applicazione della misura, che nel suo aspetto funzionale della relativa protrazione.
In forza del canone di adeguatezza il giudice deve porre in correlazione logica la specifica idoneità della misura a fronteggiare le esigenze cautelari che si ravvisano nel caso concreto e il paradigma di gradualità.
Alla stregua del criterio di proporzionalità ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata. L’intero sistema così delineato, imperniato sui principi di flessibilità e individualizzazione delle misure, si fonda sulla tendenziale preclusione di qualsiasi forma di automatismo o presunzione. Esso esige, invece, che le condizioni e i presupposti per l’applicazione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale siano apprezzati e motivati dal giudice sulla base della situazione concreta, alla stregua dei ricordati principi di adeguatezza, proporzionalità e minor sacrificio, così da realizzare una piena individualizzazione della coercizione cautelare (cfr. Corte Cost., sentenza n. 265 del 2010). Ed è del tutto evidente che i postulati della flessibilità e della individualizzazione che caratterizzano l’intera dinamica delle misure restrittive della libertà, non possono che assumere connotazioni “bidirezionali”, nel senso di
T
precludere tendenzialmente qualsiasi automatismo (Sez. U., n. 16085 del 31 marzo 2011).
Va poi osservato che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., e, per quanto qui di interesse, per il delitto di cui all’art. 12, commi 1, 3 e 3-ter, d.lgs. n. 286 del 1998, la doppia presunzione, di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, è relativa, nel senso che essa può essere superata qualora siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
Ebbene, nel caso che ci occupa, del tutto congetturale appare l’affermazione del Tribunale che, a sostegno della ritenuta adeguatezza della sola misura carceraria a contenere l’esigenza cautelare del pericolo di recidivanza, ipotizza che «la COGNOME potrebbe essere impiegata anche in altri segmenti materiali dell’iter criminoso, ossia per coprire altre tratte del percorso illecito immediatamente precedenti l’ingresso in Italia», senza che tuttavia tale conclusione risulti ancorata gibialcun dato probatorio,
evidenziato dal Tribunale. Del tutto inesplorata appare poi la tematica della eventuale adeguatezza di una misura non custodiale, nel paese d’origine dell’indagata, essendosi il Tribunale limitato ad analizzare la questione attinente la possibilità di applicazione della misura cautelare
degli arresti domiciliari in altro paese.
Gli elementi sottoposti al Tribunale dall’indagata in stbno all’istanza proposta (incensuratezza, assenza di segnalazioni di polizia, grave situazione famigliare, condizioni di salute dell’indagata) passibili, complessivamente considerati, di incidere sul giudizio di perdurante adegu tezza della misura coercitiva, – ricordando che la presunzione legislativa ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. ha natura relativa ed è sottoposta alla verifica dell’acquisizione di elementi dai quali risulti che in relazione al caso concreto le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure -, non risultano essere stati valutati dai giudici della cautela.
Il Tribunale avrebbe dovuto, quindi, concretamente valutare l’idoneità di una misura non custodiale eventualmente da applicarsi in Belgio a tutelare le evidenziate esigenze cautelari, mentre la valutazione sul punto appare astratta e determinata esclusivamente dalla – indiscussa – gravità della condotta, oltre che su aspetti ipotetici e congetturali come già sopra evidenziati.
Per tali ragioni s’impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata GLYPH con conseguente rinvio per nuovo esame al riguardo al Tribunale di Trieste.
La Cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. cod.proc.pen., comma 1 ter.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Trieste, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, C.P.P..
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. Att. Cod. proc. Pen.