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Misura cautelare associativa: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per un individuo accusato di far parte di un’associazione di narcotraffico legata alla mafia. Il ricorso, basato su vizi di motivazione (presunto ‘copia-incolla’ del GIP), erronea valutazione degli indizi e carenza di esigenze cautelari, è stato respinto. La Suprema Corte ha ribadito che la valutazione autonoma del giudice non è esclusa dalla riproduzione di atti del PM e ha confermato la validità della presunzione di adeguatezza della misura cautelare associativa in assenza di specifici elementi contrari.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misura cautelare associativa: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti spunti di riflessione sulla misura cautelare associativa, confermando la custodia in carcere per un soggetto indagato per partecipazione a un’associazione di narcotraffico di stampo mafioso. La pronuncia si sofferma su tre questioni procedurali cruciali: la validità dell’ordinanza cautelare accusata di ‘copia-incolla’, la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e l’applicazione delle presunzioni legali sulle esigenze cautelari. Analizziamo nel dettaglio la decisione.

I Fatti del Caso

Il Tribunale del riesame di una grande città del sud Italia confermava l’ordinanza di applicazione della custodia in carcere nei confronti di un individuo. L’accusa era gravissima: partecipazione a un’associazione finalizzata al narcotraffico, gestita da soggetti appartenenti a famiglie mafiose affiliate a una nota organizzazione criminale. Contro tale provvedimento, la difesa proponeva ricorso per Cassazione, articolando tre distinti motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso: la Difesa Contesta la Misura Cautelare Associativa

La strategia difensiva si concentrava su presunti vizi formali e sostanziali del provvedimento restrittivo.

Nullità per ‘Copia-Incolla’

In primo luogo, si eccepiva la nullità dell’ordinanza cautelare originaria per violazione dell’art. 292 cod. proc. pen. Secondo la difesa, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) si sarebbe limitato a ‘copiare pedissequamente’ il provvedimento di fermo del Pubblico Ministero, riproducendone persino alcuni errori materiali. Si lamentava, inoltre, un difetto di motivazione da parte del Tribunale del riesame su questo specifico punto.

Carenza di Gravi Indizi

Il secondo motivo di ricorso denunciava una violazione di legge e un vizio argomentativo riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. La difesa sosteneva l’impossibilità di identificare con certezza l’indagato nella persona menzionata in alcune intercettazioni e l’assenza di prove sulla finalità illecita di alcuni incontri. Veniva inoltre evidenziata un’asserita illogicità nel considerare l’indagato, al contempo, vittima di estorsione da parte del clan e partecipe dell’associazione di narcotraffico gestita dallo stesso clan.

Insussistenza delle Esigenze Cautelari

Infine, il terzo motivo criticava la motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari. La difesa riteneva manifestamente illogico il richiamo del Tribunale alla duplice presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sostenendo che il provvedimento non avesse adeguatamente spiegato perché non fosse possibile applicare una misura meno afflittiva della custodia in carcere.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in ogni suo punto, ritenendolo infondato e, in parte, generico.

La Valutazione Autonoma del Giudice non è Esclusa dal Riferimento agli Atti del PM

Sul primo motivo, la Corte ha ribadito un principio consolidato (ius receptum): la prescrizione di un’autonoma valutazione da parte del giudice non viene violata se questi riporta, anche pedissequamente, atti del fascicolo o riassunti della richiesta del PM. L’obbligo è assolto quando il giudice, pur riproducendo il contenuto degli atti, dimostra di aver condotto un proprio esame critico, esplicitando le proprie valutazioni sui fatti. Nel caso di specie, il GIP aveva dedicato specifiche pagine (405-408 e 435) a una valutazione autonoma, rendendo il vizio insussistente. Anche gli errori materiali nel richiamo a due allegati sono stati ritenuti irrilevanti, poiché il contenuto trascritto era comunque corretto e rispondente alle conversazioni intercettate.

I Limiti del Giudizio di Legittimità sulla Misura Cautelare Associativa

In merito al secondo motivo, la Cassazione ha ricordato che il suo ruolo non è quello di rivalutare nel merito il quadro indiziario, ma di verificare la logicità e la coerenza della motivazione del giudice del riesame. Il ricorso, secondo la Corte, proponeva una lettura alternativa e parziale degli elementi raccolti, senza evidenziare una manifesta illogicità nel ragionamento del Tribunale. È stato inoltre precisato un punto fondamentale in materia di reati associativi: la mancata partecipazione ai cosiddetti ‘reati-fine’ (i singoli delitti che l’associazione si prefigge di commettere) non è necessaria per dimostrare la partecipazione al sodalizio criminale.

La Presunzione nelle Misure Cautelari per Reati Associativi

Infine, il terzo motivo è stato giudicato generico. La Corte ha sottolineato che per il reato associativo contestato, aggravato dall’art. 416-bis.1 c.p., opera una doppia presunzione relativa: sia sulla sussistenza delle esigenze cautelari, sia sull’adeguatezza della sola misura carceraria. Per vincere tale presunzione, la difesa avrebbe dovuto indicare elementi concreti e specifici, in tesi pretermessi dal Tribunale, idonei a escludere la pericolosità o a giustificare una misura meno grave. Il ricorso, invece, si era limitato a una contestazione astratta, senza confrontarsi con la natura permanente del reato, contestato come ancora in corso.

Le Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con chiarezza alcuni capisaldi della procedura penale in materia di misure cautelari. In primo luogo, consolida l’orientamento secondo cui l’accusa di ‘copia-incolla’ può essere superata se il giudice dimostra, anche sinteticamente, di aver svolto una propria analisi critica. In secondo luogo, ribadisce che il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio di merito. Infine, evidenzia la forza della presunzione di pericolosità prevista per i gravi reati associativi, ponendo a carico della difesa un onere probatorio specifico e non generico per poterla superare.

Quando un’ordinanza cautelare può essere annullata per ‘copia-incolla’ degli atti del PM?
Secondo la sentenza, la semplice riproduzione di parti della richiesta del PM non causa automaticamente la nullità. È fondamentale che il giudice compia una propria autonoma valutazione degli elementi, anche se espressa sinteticamente, dimostrando di aver esaminato concretamente la fattispecie.

È necessario aver commesso reati specifici (reati-fine) per essere considerati partecipi di un’associazione criminale ai fini di una misura cautelare?
No. La Corte ha chiarito che, in materia di reati associativi, la commissione dei ‘reati-fine’ non è un requisito necessario né per configurare il reato stesso, né per provare la condotta di partecipazione. Ciò che rileva è l’inserimento stabile nel sodalizio criminale.

In caso di reati associativi gravi, come si valuta la necessità della custodia in carcere?
La legge (art. 275, c. 3, c.p.p.) stabilisce una doppia presunzione relativa: si presumono sia l’esistenza delle esigenze cautelari sia l’adeguatezza della sola custodia in carcere. Per superare tale presunzione, la difesa deve fornire elementi concreti e specifici che dimostrino il contrario, non essendo sufficiente una contestazione generica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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