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Misura alternativa dall’estero: si può chiedere?

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla richiesta di una misura alternativa dall’estero presentata da un cittadino straniero. La Corte ha stabilito che, sebbene la presenza fisica in Italia non sia un requisito per presentare la domanda, è indispensabile fornire prove concrete sulla fattibilità del programma di reinserimento nel territorio nazionale. Poiché il richiedente non ha fornito dettagli su tempi, modi del rientro e condizione lavorativa, il ricorso è stato respinto, sottolineando l’importanza di dimostrare la concreta possibilità di esecuzione della misura.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misura Alternativa dall’Estero: La Cassazione Chiarisce i Requisiti

È possibile per un condannato che si trova fuori dall’Italia chiedere di scontare la propria pena attraverso un percorso di reinserimento nel nostro Paese? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1914/2024, offre un’importante chiave di lettura sulla possibilità di richiedere una misura alternativa dall’estero, distinguendo tra l’ammissibilità della domanda e la sua concreta fattibilità. Il caso analizzato riguarda un cittadino straniero che, dopo un periodo di espulsione, ha chiesto di essere ammesso all’affidamento in prova al servizio sociale per scontare una pena residua, pur trovandosi ancora fuori dal territorio nazionale.

Il Fatto: La Richiesta di Affidamento in Prova dall’Estero

Un cittadino straniero, condannato a otto mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 495 c.p., aveva presentato istanza di affidamento in prova al servizio sociale. La sua situazione era peculiare: in passato era stato espulso dall’Italia come misura di sicurezza, con un divieto di rientro di cinque anni. Una volta scaduto tale divieto, pur trovandosi ancora all’estero, ha avanzato la richiesta, facendo leva sulla possibilità di rientrare in Italia per ricongiungersi alla moglie e sulla disponibilità di un’azienda ad assumerlo con regolare contratto.

Il Tribunale di Sorveglianza di Milano, tuttavia, aveva rigettato la sua istanza. La motivazione principale del rigetto era l’assenza di elementi che attestassero la presenza del condannato sul territorio nazionale e la mancanza di circostanze concrete sulla sua condizione lavorativa e sociale in Italia. In sostanza, il giudice di primo grado riteneva la presenza fisica del soggetto un presupposto necessario per poter valutare la richiesta.

I Principi sulla Misura Alternativa dall’Estero secondo la Giurisprudenza

Contro la decisione del Tribunale, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la legge non richiede la presenza fisica del condannato in Italia al momento della domanda, ma solo per l’esecuzione della misura stessa. La Corte di Cassazione, nel decidere il caso, ha richiamato la sua giurisprudenza consolidata.

Il principio cardine è che la presenza del condannato in Italia non è un presupposto essenziale di ammissibilità per la richiesta di una misura alternativa dall’estero. Anche se il richiedente si trova fuori dal Paese, il giudice deve comunque valutare nel merito l’istanza. La verifica cruciale non riguarda la presenza al momento della domanda, ma la sussistenza di una “effettiva prospettiva risocializzante nel nostro Paese”. In altre parole, il Tribunale deve accertare se, una volta superati i presupposti di legge, la misura possa avere un regolare svolgimento sul territorio nazionale.

Le Motivazioni della Cassazione: la Differenza tra Possibilità e Concretezza

Nonostante il principio generale favorevole, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. La ragione non risiede in un errore di diritto, ma nella carenza probatoria della richiesta. Il condannato si era limitato a invocare la concessione della misura senza fornire alcun elemento concreto a supporto.

Nello specifico, la Corte ha evidenziato che l’istante non aveva:

* Chiarito tempi e modi del suo rientro in Italia: Mancava un piano definito e documentato.
* Specificato la sua potenziale regolarità sul territorio nazionale: Non erano state fornite informazioni sul suo status giuridico una volta rientrato.
* Dettagliato la sua condizione lavorativa: La semplice disponibilità di una ditta ad assumerlo non era sufficiente senza un quadro più definito.

In sostanza, la richiesta era troppo generica e astratta. Il Tribunale di Sorveglianza, pur motivando in modo forse sbrigativo, aveva correttamente colto il punto centrale: l’impossibilità di valutare la fattibilità e l’effettività dello svolgimento della misura in assenza di prove concrete. La presenza sul territorio, sebbene non un requisito di ammissibilità, diventa un indicatore della serietà e concretezza del progetto rieducativo.

Conclusioni: Cosa Implica questa Sentenza?

La sentenza n. 1914/2024 ribadisce un insegnamento pratico fondamentale per chi intende richiedere una misura alternativa dall’estero. Non è sufficiente manifestare l’intenzione di tornare in Italia per scontare la pena. È indispensabile presentare al Tribunale di Sorveglianza un progetto di reinserimento solido, dettagliato e supportato da prove documentali. Chi si trova all’estero deve dimostrare non solo di poter rientrare, ma anche di avere già predisposto le condizioni concrete (alloggio stabile, offerta di lavoro seria, regolarità del soggiorno) che rendano il percorso di affidamento in prova realmente attuabile e non una mera aspirazione. La valutazione del giudice non si ferma alla teoria, ma esige la prova della fattibilità pratica.

È possibile chiedere una misura alternativa alla detenzione, come l’affidamento in prova, trovandosi all’estero?
Sì, la presenza fisica del condannato in Italia non è un presupposto essenziale per l’ammissibilità della richiesta. Il giudice è comunque tenuto a valutare il merito dell’istanza.

Cosa deve dimostrare chi chiede una misura alternativa dall’estero?
Deve dimostrare la concreta possibilità che la misura si svolga regolarmente nel territorio nazionale. È necessario fornire prove concrete su tempi e modi del rientro, sulla regolarità della presenza in Italia e su una effettiva prospettiva lavorativa e abitativa.

Perché il ricorso in questo specifico caso è stato rigettato?
Il ricorso è stato rigettato perché la richiesta del condannato era generica e priva di qualsiasi prova concreta. L’interessato non ha fornito dettagli sul suo piano di rientro in Italia, sulla sua futura condizione lavorativa o sulla regolarità del suo soggiorno, rendendo impossibile per il giudice valutare l’effettiva fattibilità del percorso di reinserimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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