Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22251 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22251 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME Città Sant’Angelo (PE) il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 12/12/2023 del TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 12 dicembre 2023 il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha dichiarato cessata la misura alternativa della detenzione domiciliare concessa al condanNOME NOME COGNOME dallo stesso Tribunale con precedente ordinanza del 10 ottobre 2023.
Il Tribunale di sorveglianza ha dichiarato cessata la misura, in quanto ha rilevato che il condanNOME è stato raggiunto il 27 ottobre 2023 da ordinanza di custodia cautelare in carcere per furti in abitazione commessi il 31 marzo 2023 ed il 6 maggio 2023, misura sostituita poi il 13 novembre 2023 dal Tribunale del riesame con quella degli arresti domiciliari.
Il Tribunale ha evidenziato che le condotte illecite sono precedenti all’avvio della misura alternativa, per cui non è giuridicamente corretto d isporne la revoca;
però, al tempo stesso, ha ritenuto di disporne la cessazione, perché, qualora tali condotte illecite fossero state note al Tribunale nel momento di concessione della misura alternativa, la gravità delle stesse, e la circostanza che esse siano state poste in essere sino ad epoca recentissima, avrebbe indotto il Tribunale ad una diversa decisione.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condanNOME, per il tramite del difensore, che, con unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., deduce che i due furti in abitazione per cui il ricorrente è stato raggiunto da ordinanza cautelare sono addirittura precedenti al reato in espiazione definitiva, che è stato commesso il 12 maggio 2023 e giudicato con sentenza del 29 maggio 2023; nel corso del procedimento di merito per tale reato il condanNOME è rimasto agli arresti domiciliari dalla data del fatto, senza soluzione di continuità, fino all’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che gli ha concesso la detenzione domiciliare, e non ha mai commesso alcun delitto né in tale periodo nè durante la detenzione domiciliare; è vero che il Tribunale di sorveglianza deve valutare tale ulteriori fatti non conosciuti a suo tempo, però è illogica la motivazione che ritiene che, qualora tali ulteriori reati fossero stati conosciuti, non sarebbe stata concessa la detenzione domiciliare, perché nel procedimento che ha portato all’ordinanza di concessione della misura alternativa era già contenuta una relazione dei Carabinieri di Pescara, che dava atto della commissione di reati anche in epoca recentissima nonché dei numerosi precedenti penali e delle diverse segnalazioni di polizia, tanto è che il Tribunale aveva escluso la possibilità di concedere l’affidamento in prova; pertanto, anche fossero stati riconosciuti questi due ulteriori episodi di furto, non sarebbe cambiato il quadro valutativo complessivo sulla base del quale il Tribunale aveva deciso sull’affidamento in prova. 3. Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
L’ordinanza impugnata è conforme al principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, se i fatti per i quali sopraggiunge misura cautelare sono antecedenti a quelli in esecuzione, il Tribunale di sorveglianza deve esprimere una nuova valutazione sulla meritevolezza o meno della misura alternativa (Sez. 1, n. 23190 del 10 maggio 2002, Calia, Rv. 221640; Sez. 1, n. 38453 del, 01/10/2008,
Imperatori, Rv. 241308). Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di sorveglianza ha, pertanto, effettuato tale nuova valutazione sulla meritevolezza della misura alternativa ed ha concluso in senso negativo.
Il ricorso deduce che durante la detenzione domiciliare, ed in realtà già durante gli arresti domiciliari, cui essa è succeduta senza soluzione di continuità, il condanNOME non ha mai commesso reati, ma l’argomento è infondato, non essendo manifestamente illogico, nella complessiva ponderazione “sulla perdurante idoneità del beneficio concesso a perseguire i fini rieducativi e preventivi ad esso connessi”, per riprendere l’espressione della sentenza Calia sopra citata, aver dato prevalenza al giudizio di maggior capacità criminale del condanNOME che consegue alla scoperta di ulteriori crimini di cui lo stesso si è reso responsabile rispetto ad un comportamento legalmente obbligato, quale la mancata commissione di ulteriori delitti durante gli arresti domiciliari prima, e la detenzione domiciliare poi.
Il ricorso deduce, inoltre, che la commissione di reati in epoca recentissima emergeva già dalla motivazione dell’ordinanza che aveva concesso la detenzione domiciliare, e, quindi, la conoscenza compiuta di essi non avrebbe dovuto spostare la decisione, ma l’argomento è infondato.
Non è in questione la esistenza di numerosi precedenti penali e di diverse segnalazioni di polizia, ma solo delle circostanze di fatto indicate nella ordinanza di applicazione della misura cautelare. Il ricorso attacca la logicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, ma non evidenzia la eventuale totale sovrapposizione tra quanto riportato nella relazione dei Carabinieri di Pescara e quanto riportato nella ordinanza cautelare, circostanza che avrebbe potuto condurre a sostenere che la conoscenza del provvedimento cautelare, e di quanto in esso descritto, non ha introdotto, elementi nuovi rispetto a quelli valutati in occasione della concessione della misura alternativa (Sez. 1, Sentenza n. 42579 del 17/09/2013, COGNOME, Rv. 256701).
La valutazione poi sul se il provvedimento cautelare abbia introdotto “elementi capaci di modificare il quadro delle conoscenze utilizzate al momento in cui fu formulata la prognosi favorevole alla sua concessione” (Sez. 1, Sentenza n. 35781 del 27/11/2020, COGNOME, Rv. 280095), appartiene, invece, al merito della decisione, non ulteriormente sindacabile in sede di legittimità.
In definitiva, il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
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P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17 aprile 2024.