Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22112 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22112 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 18/02/2003 NOME nato a NAPOLI il 15/12/1999
COGNOME NOME COGNOME nato a NAPOLI il 28/03/2002
avverso la sentenza del 18/10/2024 della CORTE di APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo emettersi declaratoria di inammissibilità dei ricorsi;
sentiti l’Avv. NOME COGNOME per COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME per COGNOME e in sostituzione dell’Avv. COGNOME per COGNOME i quali hanno concluso riportandosi ai rispettivi ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 18 ottobre 2024 la Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza emessa il 27 marzo 2024 dal Tribunale di Napoli, con la quale, per quel che qui interessa, gli imputati COGNOME NOMECOGNOME NOME
e COGNOME NOME erano stati dichiarati colpevoli del delitto di rapina pluriaggravata in concorso e condannati alle pene di legge.
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione, con distinti atti, i tre imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, chiedendo l’annullamento.
La difesa di COGNOME NOME articolava un unico motivo, con il quale lamentava la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e contestava il modo di determinazione e calcolo della pena inflitta, affermando che la pena base era eccessiva e che eccessivi erano anche gli aumenti di pena applicati in ragione delle ritenute circostanze aggravanti.
La difesa di COGNOME NOME articolava due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 628, comma 3-bis, cod. pen., assumendo, quanto alla ritenuta aggravante della minorata difesa, che la commissione del reato in tempo di notte non costituiva, di per sé, un elemento determinante ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante, e che, quanto alle circostanze di luogo, il fatto era stato commesso su una strada cittadina molto trafficata, sicché l’aggravante non era, nella specie, configurabile.
Con il secondo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale, assumendo che le circostanze attenuanti generiche, già concesse con giudizio di equivalenza sulle contestate aggravanti, avrebbero dovuto essere considerate prevalenti su queste ultime, e inoltre che la pena avrebbe dovuto essere applicata nel minimo edittale, avuto riguardo alla giovanissima età dell’imputato.
La difesa di COGNOME NOME COGNOME articolava tre motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva mancanza di motivazione con riferimento alla mancata applicazione del disposto di cui all’art. 129 cod. proc. pen., assumendo che la Corte territoriale, in punto di affermazione della responsabilità penale, aveva fatto un generico richiamo alla sentenza di primo grado, laddove avrebbe dovuto rendere una motivazione adeguata in ordine a un eventuale proscioglimento ai sensi dell’art. 129 citato.
Con il secondo motivo deduceva inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e/o inutilizzabilità, con riferimento all’art. 63, comm 2, cod. proc. pen., nonché mancanza, erroneità e/o contraddittorietà della motivazione con riguardo alla sollevata eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dallo COGNOME, fondata sul fatto che le dette
dichiarazioni erano state “carpite, in assenza di garanzie”, in una fase in cui lo COGNOME era già sottoposto ad indagini, evidenziando altresì che il contenuto di tali dichiarazioni era stato trasfuso in un interrogatorio mediante una generica conferma da parte dell’imputato.
10. Con il terzo motivo deduceva illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla sussistenza della contestata aggravante, al mancato giudizio di prevalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena, assumendo che la Corte territoriale non aveva considerato, pur dandone atto, l’atteggiamento dello COGNOME, improntato a collaborazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME è inammissibile.
Con il ricorso, invero, vengono rassegnate, peraltro in maniera del tutto generica e apodittica, esclusivamente inammissibili considerazioni afferenti al merito in relazione alla dosimetria della pena.
Quanto al ricorso proposto nell’interesse di COGNOME il primo motivo è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.
Trova applicazione nel caso di specie il principio, di recente enucleato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta “minorata difesa”, essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto (Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, COGNOME, Rv. 282095 – 01).
Nel caso di specie la Corte d’Appello ha congruamente evidenziato che il reato è stato consumato, oltre che in tempo di notte, in luogo isolato, ove “non si registrava la presenza di passanti e tanto meno di vigilanza”, addirittura sbarrando la strada alla vittima servendosi di un cassonetto, traendo logiche conseguenze da tale situazione di fatto in punto di sussistenza di concreti ostacoli alla pubblica e privata difesa.
Del pari inammissibile, in quanto generico manifestamente infondato, è il secondo motivo, con il quale si lamenta l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti; in
proposito si afferma del tutto genericamente che il giudizio di bilanciamento effettuato dal giudice del merito sarebbe “non efficace” e si richiama, quale elemento favorevole all’imputato, la sua la giovanissima età.
Tale elemento, nondimeno, non viene dedotto sotto l’ammissibile profilo del vizio di motivazione, bensì quale inammissibile doglianza di merito, rispetto alla quale, in ogni caso, la Corte d’Appello, a giustificazione dell’espresso giudizio di equivalenza fra le concesse circostanze attenuanti generiche e le contestate aggravanti, ha adeguatamente richiamato la congruità della pena inflitta rispetto alla gravità dei fatti e al comportamento processuale del ricorrente.
Si deve, al riguardo, osservare che al giudice non è imposto di considerare necessariamente gli elementi favorevoli dedotti dall’imputato, essendo sufficiente che nel riferimento a quelli sfavorevoli di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi alla concessione delle predette attenuanti nella massima estensione, abbia riguardo al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost. (cfr., in tema di concessione delle attenuanti generiche non nella massima estensione, Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281217 01).
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME è inammissibile.
La doglianza relativa all’assunta carenza di motivazione in relazione alla mancata applicazione del disposto di cui all’art. 129 cod. proc. pen. è manifestamente infondata se si considera che la Corte territoriale, a sostegno del giudizio di responsabilità del ricorrente, ha espressamente richiamato le dichiarazioni di natura confessoria dell’imputato, evidenziando che “questi rendeva nell’immediatezza dichiarazioni spontanee, nelle quali ammetteva chiaramente l’addebito e forniva una descrizione dei fatti. Le predette dichiarazioni, in sede di giudizio abbreviato, come correttamente evidenziato dal GIP sono pienamente utilizzabili” (v. pag. 3 del provvedimento impugnato), e traendo da tali dichiarazioni logiche conseguenze in punto di giudizio di responsabilità.
È inammissibile, in quanto manifestamente infondato, anche il secondo motivo, con il quale la difesa afferma in maniera del tutto generica e apodittica che le dichiarazioni spontanee dell’imputato non sarebbero in realtà del tutto spontanee, essendo state “carpite in assenza di garanzie”.
La Corte territoriale, con il provvedimento impugnato, si è soffermata sull’argomento affermando che le dichiarazioni spontanee rese nel corso delle
indagini preliminari erano pienamente utilizzabili in sede di giudizio abbreviato e che la difesa non aveva mai contestato il fatto che le stesse fossero state rese
senza alcuna sollecitazione.
Deve, sotto altro profilo, osservarsi che, in considerazione della ritenut piena utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee, risulta privo di rilevanza il
che le stesse fossero state confermate in sede di interrogatorio; in ogni caso la modalità con la quale tali dichiarazioni erano state trasfuse in un verbale d
interrogatorio, nel corso del quale l’imputato sì erano limitato a richiamar quanto in precedenza spontaneamente dichiarato, non appare idonea a ledere
in alcun modo il diritto di difesa, aspetto in relazione al quale, peraltro, c ricorso non viene sollevata alcuna doglianza specifica.
6. È inammissibile, anche il terzo motivo, che risulta generico e teso a una non consentita rivalutazione nel merito degli elementi utilizzati e valutati da
Corte d’Appello in punto di circostanze e dosimetria della pena; la difesa ha richiamato il comportamento processuale dell’imputato, che ha assunto in
maniera apodittica come improntato a collaborazione, laddove la Corte territoriale, diversamente, ha dato atto del comportamento non collaborativo del ricorrente, desunto dal comportamento successivo ai fatti, oltre che della loro gravità, al fine di ritenere la congruità del trattamento sanzionato inflitto.
7. Alla stregua di tali rilievi i ricorsi devono, dunque, essere dichiar inammissibili; i ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’a 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che í ricorsi siano stati presenta senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che i ricorrenti versino, ciascuno, la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese uj 0.. ros a , processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle c».4 ammende.
Così deciso il 12/03/2025