Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29022 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29022 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a ERICE il 28/11/1996
avverso la sentenza del 31/10/2024 della CORTE D’APPELLO DI PALERMO
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo, che ha riformato quanto alla pena quella del giudice di prime cure, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile dei delitti di furto aggravato e di evasione;
Considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla circostanza aggravante della minorata difesa, ex art. 61 n. 5 cod. pen., è manifestamente infondato: la Corte territoriale rileva come la commissione del delitto di furto nelle ore notturne ha ostacolato il titolare del supermercato nell’esercitare la ‘difesa’ della propria “res’ non avvalendosi di un servizio di vigilanza notturna, il che è perfettamente in sintonia con quanto previsto dalle Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, COGNOME, Rv. 282095 – 01, per le quali la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta “minorata difesa”, essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto. Tale valutazione in concreto è correttamente svolta, senza aporie logiche,
dalla sentenza impugnata, con riferimento alla impossibilità del proprietario del supermercato di potersi difendere in orario notturno, difettando un proprio servizio di vigilanza notturna;
Rilevato che il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denunzia la mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., è manifestamente infondato, posto che è ius receptum che il riconoscimento della circostanza aggravante presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che l persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della “res”, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (Sez. 2, n. 5049 del 22/12/2020, Rv. 280615 – 01). Nella specie, in sintonia con il richiamato e consolidato principio è l’argomentare del giudice di merito, adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento al valore della refurtiva – euro 112,90 – nonché ai danni subiti dai beni oggetto di violenza – pari a 400,00 euro. Inoltre, correttamente la Corte territoriale esclude che il danno possa ritenersi tenue in quanto ‘coperto’ da una polizza assicurativa, in quanto ai fini della configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n.4 cod. pen., la valutazione circa speciale tenuità del danno patrimoniale va effettuata in relazione al danno che deriva in modo immediato e diretto dal reato, sicchè non rileva l’eventuale risarcimento (Sez. 5, n. 9939 del 30/11/2017, dep. 05/03/2018, COGNOME, Rv. 272591 – 01, in un caso in cui la Corte ha escluso la ricorrenza dell’attenuante basata sul risarcimento effettuato dall’assicurazione della vittima per il furto dell’automobile; conf. Sezioni Unite N. 10446 del 1984 Rv. 166806 – 01; Vedi Sezioni Unite: N. 35535 del 2007 Rv. 236914 – 01); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerato che il terzo motivo, che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato, in quanto la Corte di appello ha individuato plurimi elementi ostativi alla menzionata prevalenza, individuati nei precedenti penali dell’imputato, nella condotta di evasione posta in essere dallo stesso dopo l’arresto, nelle forme gravi di consumazione del reato, appunto aggravato dalla minorata difesa e dalla violenza sulla cosa, come anche nella assenza di collaborazione e resipiscenza dell’imputato, elementi tutti che rispondono, senza vizi logici manifesti, al principio per cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che
per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto. (Sez. Un., n. 10713 del 25 febbraio 2010, COGNOME, Rv. 245931);
considerato che il quarto motivo – che censura violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta recidiva – è manifestamente infondato, in quanto la Corte territoriale individua le ragioni della maggiore pericolosità dell’imputato, conseguente ai delitti commessi e qui giudicati, nei precedenti penali, nelle modalità di consumazione aggravate, come anche nella continuità con le precedenti condanne che hanno fallito nell’opera rieducatrice, il che risponde all’onere motivazionale richiesto dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Rv. 251690, Marciano’), per le quali «sul giudice del merito incombe uno specifico dovere di motivazione sia quando ritiene sia quando esclude la rilevanza della recidiva, scaturendo ciò dai condivisibili principi affermati nelle appena ricordate sentenze della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite. Infatti, esclusi i casi di recidiva c.d. obbligatoria, di cui al comma quinto dell’art. 99 cod. pen., il giudice può attribuire effetti alla recidiva unicamente quando la ritenga effettivamente idonea ad influire, di per sé, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si procede». In alt termini, costituisce «precipuo compito del giudice del merito verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprove volezza e pericolosit tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali» (Sez. U, sentenza n. 35738 del 27/05/2010, Rv. 247838, Calibe’). Con tali parametri è in sintonia la motivazione impugnata (cfr. par. 2); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto al quinto motivo di ricorso, che lamenta l’eccessività della pena, è del tutto generico: per altro la pena più grave, fissata in mesi sei di reclusione per il delitto di furto – con aggravanti equivalenti alle attenuanti generiche – e di mesi quattro di reclusione per la continuazione con il delitto di evasione, per un totale di mesi dieci di reclusione, risulta pena assolutamente congrua, risultando motivata in relazione alle modalità di esecuzione delle condotte, descritte già in precedenza in sentenza, come anche in ragione del principio per il quale quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai
di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189): tuttavia, nel caso in cui venga irrogata, come nel caso in esame, una pena al di sotto della
media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale
sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del
05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283), ovvero se il parametro valutativo è
desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n.
38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949). Requisiti motivazionali sussistenti nel caso in esame;
Quanto al sesto motivo di ricorso, che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego della sospensione condizionale della pena, è del tutto
generico per indeterminatezza perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della
sentenza impugnata logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 2 luglio 2025
Il con igliere estensore
Il Presidente