Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29318 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29318 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LOANO il 04/03/1951
avverso la sentenza del 27/03/2025 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte n ve-t. I ^ d’appello di Fnék che ha confermato la sentenza di primo grado di condanna per il delitto di tentativo di furto aggravato. Con i motivi di ricorso lamenta vizio violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla riconosciuta aggravante di cu all’art. 61.n.5 cod. pen, che non poteva essere integrata solo dalla commissione del fatto in ora notturna; nonché vizio di motivazione in ordine alla mancata indicazione della misura della riduzione per il tentativo.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la recente sentenza delle sezioni unite di questa Corte, la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanz di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta “minorata difesa”, essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto (Sez. U,n.4027 del 15 luglio 2021, Rv.282995, COGNOME). La Corte territoriale ha rilevato che l’av commesso il fatto di notte, nell’oscurità, in assenza di passaggio di persone e di dipendenti negli esercizi commerciali svaligiati, confidando di non essere visto integrava certamente l’aggravante, né la minorata difesa è esclusa dalla presenza della videosorveglianza, in quanto permette certamente l’identificazione, ma non di avvedersi del furto in tempo reale (Sez. 5 -, n. 12051 del 14/01/2021, Rv. 280812 01). Si tratta di motivazione coerente e non illogica, rispettosa del principio di dir sopra riportato.
Il secondo motivo è manifestamente infondato. Il delitto tentato costituisce figura autonoma di reato, qualificato da una propria oggettività giuridica e da una propria struttura, delineate dalla combinazione della norma incriminatrice specifica e dalla disposizione contenuta nell’art. 56 cod. pen., che rende punibili, con una pena autonoma, fatti non altrimenti sanzionabili, perché arrestatisi al di qua del consumazione. Da tale autonomia dell’illecito e della sanzione consegue che, in presenza di delitto tentato, la determinazione della pena può effettuarsi con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, cioè senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il calcolo “bifasico”, cioè mediante scissione dei due momenti indicati, fermo restando che nessuno dei due sistemi può sottrarsi al rispetto dei vincoli normativi relativi contenimento della riduzione da uno a due terzi, la cui inosservanza comporta violazione di legge. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta determinazione della pena effettuata dal giudice di merito in una fattispecie relativa a concorso ex art. 81, comma secondo, cod. pen., di furto aggravato e tentativo di indebita utilizzazione di carta di credito, con riferimento alla quale si era lamenta
che, nell’indicazione della pena complessiva, non figurasse la specificazione della base di calcolo per il reato consumato di cui all’art. 12 D.L. 3 maggio 1991 n. 143, sull
quale si sarebbero dovuti applicare la riduzione della pena prevista per il tentativo e successivamente, l’aumento per la continuazione). (Sez. 1, n. 37562 del 16/05/2001,
Rv. 220189 – 01; Sez. 1, n. 35013 del 06/06/2013, Rv. 257210 – 01;
Sez. 5 – n. 40020 del 18/06/2019, Rv. 277528 – 01).
5. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma
alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 14 luglio 2025
Il Consigliere estensore