Minaccia Velata: Quando la Frase ‘Non Finisce Qui’ Diventa Reato
L’espressione ‘non finisce qui’, spesso usata al termine di una discussione accesa, può sembrare ambigua. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come questa frase possa integrare una vera e propria minaccia velata, con conseguenze legali significative. La pronuncia analizza non solo la sostanza della minaccia, ma anche importanti limiti procedurali relativi ai ricorsi per reati di competenza del Giudice di Pace. Approfondiamo insieme questa interessante decisione.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine da un episodio di presunta minaccia. In primo grado, il Giudice di Pace di Verona aveva assolto l’imputato con la formula ‘perché il fatto non sussiste’. La parte civile, ritenendosi danneggiata, ha impugnato la decisione.
Il Tribunale di Verona, in funzione di giudice d’appello, ha parzialmente riformato la sentenza. Pur non arrivando a una condanna penale, ha riconosciuto la responsabilità dell’imputato ai soli fini civili, condannandolo al risarcimento dei danni morali in favore della parte offesa. La base di questa decisione era proprio la frase ‘comunque non finisce qui’, ritenuta idonea a costituire minaccia.
Contro questa sentenza, l’imputato ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, contestando sia l’affermazione della sua responsabilità sia la motivazione della condanna al risarcimento.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la decisione del Tribunale di Verona e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali, uno di natura sostanziale e uno di natura procedurale.
1. La Configurazione della Minaccia Velata
Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, la Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la tesi difensiva. Richiamando un proprio precedente consolidato (Sez. 5, n. 9392/2020), ha ribadito un principio cruciale: l’espressione ‘comunque non finisce qui’, pur non avendo una connotazione inequivocabilmente minacciosa, può integrare il delitto di minaccia (art. 612 c.p.).
Tutto dipende dal contesto. Se la frase viene valutata nel momento e nel luogo in cui è stata pronunciata, considerando i toni e la situazione generale, può essere interpretata come la prospettazione di una futura attività aggressiva e illegittima. Ai fini del reato, è irrilevante che la vittima si sia sentita effettivamente intimidita; ciò che conta è l’idoneità oggettiva della frase, nel contesto dato, a incutere timore.
2. I Limiti del Ricorso per Cassazione nei Giudizi del Giudice di Pace
Il secondo e cruciale punto riguarda un aspetto procedurale. Il ricorrente lamentava vizi di motivazione nella sentenza d’appello. Tuttavia, la Corte ha sottolineato che, per i reati di competenza del Giudice di Pace, il ricorso per cassazione avverso le sentenze d’appello è soggetto a limiti specifici. Ai sensi degli artt. 606, comma 2-bis c.p.p. e 39-bis del D.Lgs. 274/2000, tale ricorso può essere proposto solo per violazione di legge.
Questo significa che non è possibile contestare davanti alla Cassazione la valutazione dei fatti o la coerenza della motivazione data dal giudice d’appello. Il ricorso era quindi inammissibile su questo punto, poiché le censure sollevate non rientravano nei limiti consentiti dalla legge.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza offre due importanti lezioni. La prima è che nel diritto penale le parole contano, ma il contesto è sovrano. Una frase apparentemente ambigua può trasformarsi in una minaccia velata penalmente rilevante se le circostanze in cui viene pronunciata la caricano di un significato intimidatorio. La seconda è di natura squisitamente processuale: le vie dell’impugnazione sono strette e ben definite. Per i procedimenti nati davanti al Giudice di Pace, la possibilità di contestare una sentenza d’appello in Cassazione è limitata alla sola erronea applicazione delle norme di diritto, rendendo la decisione di secondo grado quasi definitiva per quanto riguarda l’accertamento dei fatti.
La frase ‘comunque non finisce qui’ è considerata una minaccia?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che tale espressione, sebbene non univocamente minacciosa, può integrare il delitto di minaccia se, valutata nel contesto in cui è stata pronunciata (toni, situazione), prospetta un’ulteriore attività aggressiva illegittima.
È possibile fare ricorso in Cassazione per un vizio di motivazione contro una sentenza d’appello per un reato di competenza del Giudice di Pace?
No, l’ordinanza chiarisce che per i reati di competenza del Giudice di Pace, il ricorso per cassazione avverso le sentenze di appello è consentito solo per violazione di legge e non per vizi di motivazione.
Affinché si configuri il reato di minaccia, è necessario che la vittima si sia sentita effettivamente spaventata?
No, secondo la giurisprudenza citata nell’ordinanza, non è rilevante che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito. Ciò che conta è l’idoneità oggettiva della condotta, valutata nel suo contesto, a incutere timore.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14110 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14110 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GAMBINI NOME COGNOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/03/2023 del TRIBUNALE di VERONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Verona, che, ritenendo sussistente, ai fini civili, la responsabilità del ricorrente per il delitto di minacce – in ordine al solo episodio del 02.09.2017 -, ha parzialmente riformato la pronunzia di primo grado del Giudice di Pace di Verona, con la quale l’imputato era stato assolto con la formula “perché i fatti non sussistono”, dichiarando l’imputato responsabile, ai fini civili, e condonandolo, per l’effetto, al pagamento dei danni morali in favore della parte civile;
Considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denunzia inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità, è manifestamente infondato, posto che, secondo orientamento giurisprudenziale di questa sezione, “integra il delitto di cui all’art. 612 cod. pen. l’espressione, rivolta all’indirizzo di una persona, “comunque non finisce qui”, la quale, pur non avendo in sé una connotazione univocamente minacciosa, può intendersi come prospettazione di un’ulteriore attività aggressiva illegittima ove valutata nel contesto e nel momento in cui è stata proferita, avuto riguardo ai toni e alla cornice di riferimento, non rilevando che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito”(Sez.5, n. 9392 del 16/12/2019(dep. 2020)Rv. 27866401);
Considerato che il primo e il secondo motivo di ricorso, laddove il ricorrente denunzia vizi di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità e in relazione alla condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non sono consentiti in sede di legittimità perché, ai sensi degli artt. 606, comma 2-bis, cod. proc. pen. e 39-bis del d.lgs. n. 28 agosto 2000, n. 274 (introdotti dal d. Igs. 6 febbraio 2018, n. 11, entrato in vigore il 6 marzo 2018), avverso le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace può essere proposto ricorso per cassazione solo per violazione di legge;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2024 Il consigliere estensoTe