Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12708 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12708 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/02/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Catanzaro, in data 7.6.2021, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato COGNOME NOME alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato di cui agli artt. 611, 416 bis.1, c.p., in rubrica ascrittogli.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il COGNOME, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di cui all’art. 611, c.p., e della contestata circostanza aggravante.
Con requisitoria scritta del 6.11.2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso è fondato e va accolto, stante la fondatezza del primo motivo di ricorso, in esso assorbita ogni ulteriore doglianza.
Per una migliore comprensione della fattispecie in esame giova rammentare che, come evidenziato dalla corte di appello, al COGNOME viene addebitato un episodio verificatosi “presso l’aula bunker del tribunale di Vibo Valentia, dove nel pomeriggio si sarebbe dovuto celebrare il processo per mafia, che vedeva imputato COGNOME NOME e come testimone NOME COGNOME. In quella circostanza, l’odierno imputato, ristretto con altri coimputati nella cella di sicurezza dell’aula di udienza, si sarebbe rivolto a NOME COGNOME con dei gesti delle mani”, che quest’ultimo aveva interpretato, testualmente, “come a volermi dire che non era il caso che io mi presentassi a testimoniare e che avrei fatto meglio a non andare in udienza” (cfr. p. 4 della sentenza di appello).
Al riguardo si osserva, innanzitutto, che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il reato di minaccia, di cui all’art. 612, c.p., costituisce un reato a forma libera, essendosi da tempo chiarito come anche un mero comportamento possa presentare i connotati della minaccia, in quanto, da un lato, la condotta si inserisca in un contesto
reiterato di espressioni di inequivoco contenuto minaccioso e, dall’altro, esso risulti oggettivamente caratterizzato da atteggiamenti marcatamente minacciosi (cfr. Sez. 5, n. 556 del 06/10/2003, Rv. 227660).
La fattispecie di cui all’art. 612, c.p., pertanto, è integrata quando, in assenza di parole intimidatorie o di gesti espliciti sia adottato un comportamento oggettivamente univocamente idoneo ad ingenerare timore, sicché possa essere turbata o diminuita la libertà psichica del soggetto passivo (cfr. Sez. 5, n. 37845 del 02/04/2019, Rv. 277536; Sez. 5, n. 11708 del 15/10/2019, Rv. 278925; Sez. 5, n. 9392 del 16/12/2019, Rv. 278664).
Di tali principi non ha fatto buon governo il giudice di appello.
Non può non rilevarsi, infatti, che la corte di appello, nel replicare a una specifica censura articolata sul punto dal COGNOME, pur soffermandosi sull’esistenza di ragioni per le quali il COGNOME potesse essere particolarmente esposto a intimidazioni di natura mafiosa proveniente dalla “RAGIONE_SOCIALE“, afferma in maniera del tutto apodittica la natura minacciosa del gesto rivolto dal ricorrente al COGNOME, che viene interpretato dalla stessa corte territoriale come un “inequivoco gesto con la mano, ad indicare di allontanarsi, andare via e non presentarsi a testimoniare”.
In tal modo il giudice di appello ha, tuttavia, aderito acriticamente all’interpretazione fornita dal COGNOME, il quale, come rilevato dal giudice di secondo grado, ha riferito non di un solo gesto, ma di più gesti, da lui interpretati nel senso innanzi indicato, senza, tuttavia, nemmeno descriverli, sicché non si comprende come possa essere definito “inequivoco”, dunque esplicito, il gesto o i gesti in questione, non essendo stato accertato in cosa essi siano consistiti.
Né tale lacuna può essere colmata, trattandosi di doppia conforme, grazie alla motivazione della sentenza di primo grado, in cui sul punto si fa riferimento a un “gesto di disappunto con le mani”, percepito dal NOME, “come a volergli comunicare che non fosse gradita la sua presenza nell’aula”, “gesto di disappunto” che mal si concilia con un
“inequivoco” invito ad allontanarsi dall’aula di udienza per non testimoniare (cfr. p. 5 della sentenza di primo grado).
6. Sulla base delle svolte osservazioni la sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Catanzaro, che provvederà, attraverso un nuovo giudizio, a colmare le evidenziate lacune motivazionali, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza richiamati.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma il 22.11.2023.