Minaccia Grave: La Cassazione Conferma la Condanna Basata su Contesto e Precedenti
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale nel diritto penale: la valutazione di una minaccia grave non può limitarsi al semplice tenore letterale delle parole, ma deve tenere conto di un quadro più ampio che include il contesto, i precedenti penali e la personalità dell’autore del reato. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la condanna per aver proferito la frase “io ti ammazzo” nei confronti di un appartenente all’Arma dei Carabinieri.
I Fatti del Processo
La vicenda giudiziaria trae origine da una condanna per il reato di minaccia grave, emessa dal Tribunale di Lanciano. La decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di L’Aquila, che riteneva provata la responsabilità dell’imputato. Non rassegnato, l’uomo proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza per cercare di ribaltare l’esito del giudizio.
I Motivi del Ricorso e la Configurazione della minaccia grave
L’imputato, attraverso il suo difensore, ha tentato di smontare l’impianto accusatorio su due fronti.
La presunta insussistenza del reato
Il primo motivo di ricorso lamentava la mancanza degli elementi necessari per configurare il reato di minaccia grave. Secondo la difesa, i fatti non erano sufficienti a integrare la fattispecie aggravata prevista dall’art. 612, secondo comma, del codice penale.
La richiesta di attenuanti e la riduzione della pena
Con il secondo motivo, il ricorrente denunziava un vizio di motivazione riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e all’eccessività della pena inflitta. Si sosteneva, in pratica, che i giudici di merito non avessero adeguatamente giustificato la loro decisione di non concedere uno sconto di pena.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile. Le argomentazioni della Suprema Corte sono chiare e offrono importanti spunti di riflessione.
In primo luogo, i giudici hanno sottolineato come il ricorso fosse interamente versato “in fatto”, cercando di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione delle prove, compito che esula dalle sue competenze. Il ruolo della Corte di legittimità è infatti quello di verificare la correttezza logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata, non di riesaminare il merito della vicenda.
La Corte ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello del tutto logica e priva di vizi. In particolare, è stato evidenziato come il male prospettato con l’espressione “io ti ammazzo” fosse stato correttamente giudicato come particolarmente grave. Tale gravità non derivava solo dalle parole in sé, ma dal contesto in cui erano state pronunciate. Hanno pesato, infatti, le ulteriori espressioni intimidatorie e, soprattutto, i numerosi, gravi e specifici precedenti penali dell’imputato, noti alla persona offesa proprio in virtù della sua appartenenza all’Arma dei Carabinieri. Questo contesto ha conferito alla minaccia un potenziale intimidatorio molto più elevato.
Anche il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte d’Appello aveva motivato in modo logico il diniego delle attenuanti generiche, basandosi proprio sui precedenti dell’imputato e sulla sua personalità. Secondo i giudici di merito, non sussistevano elementi favorevoli che potessero giustificare una riduzione della pena, la quale è stata ritenuta congrua.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un principio cardine: la valutazione della gravità di una minaccia è un’operazione complessa che richiede al giudice di andare oltre la superficie delle parole. Il contesto, la storia personale dell’imputato e la percezione della vittima sono elementi determinanti. La decisione ribadisce che i precedenti penali non sono un mero dato anagrafico, ma un fattore che può concretamente aggravare la portata di una condotta illecita, soprattutto quando noti alla vittima. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Quand’è che una minaccia verbale diventa ‘minaccia grave’ ai sensi della legge?
Secondo la Corte, una minaccia diventa grave non solo per le parole usate, ma soprattutto in relazione al contesto in cui viene pronunciata, alle ulteriori espressioni intimidatorie, e ai precedenti penali dell’autore, specialmente se questi sono noti alla vittima e possono aumentarne il timore.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano manifestamente infondati. In particolare, il ricorrente chiedeva alla Corte una nuova valutazione dei fatti, un’attività che non rientra nelle sue competenze, invece di evidenziare vizi logici o giuridici nella sentenza impugnata.
I precedenti penali di una persona possono influenzare la valutazione di una minaccia?
Sì, assolutamente. La sentenza chiarisce che i numerosi, gravi e specifici precedenti penali dell’imputato, essendo a conoscenza della persona offesa, sono stati un elemento decisivo per qualificare la minaccia come grave, in quanto hanno reso la prospettazione del male più credibile e intimidatoria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12881 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12881 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a AGNONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/06/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di L’Aquila del 29 giugno 2023 ha confermato la pronunzia di condanna del Tribunale di Lanciano in ordine al reato di minaccia grave (art. 612 comma secondo cod. pen.).
Ritenuto che il primo motivo – con cui il ricorrente lamenta la mancanza di elementi idonei a configurare il reato di minaccia grave – è:
interamente versato in fatto laddove l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074);
manifestatannente infondato non confrontandosi con la motivazione in fatto della sentenza impugnata immune da vizi logici (pag. 3: il male prospettato con l’espressione” io ti ammazzo” è particolarmente grave in relazione al contesto in cui si sono verificati i fatti, segnatamente alle ulteriori espressioni intimidatori pronunciate e ai precedenti penali riportati dall’imputato, numerosi, gravi e specifici, a conoscenza della persona offesa in ragione della sua appartenenza all’RAGIONE_SOCIALE).
Ritenuto che il secondo motivo – con cui il ricorrente denunzia vizio di motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e all’eccessività della pena in concreto inflittck g :- è manifestamente infondato, in presenza di una motivazione esente da evidenti illogicità (pag. 3: la pena irrogata è congrua, tenuto conto dei precedenti dell’imputato e della personalità dello stesso. Non sussistono inoltre elementi favorevoli di valutazione ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/03/2024