Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8102 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8102 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a FOGGIA il 23/10/1998 COGNOME NOME nato a FOGGIA il 21/02/2002
avverso la sentenza del 30/04/2024 della CORTE APPELLO di BARI
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
visti gli gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME del foro di Foggia, in sostituzione per delega orale dell’avvocato COGNOME dello stesso foro, insiste per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bari in data 30/04/2024, che ha confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Bari con cui gli imputati sono stati condannati alla pena di giustizia in ordine al delitto d estorsione pluriaggravata in concorso (artt. 110, 629, commi 1 e 2, in relaz. all’art. 628, comma 3, n. 1 e 416-bis.1 cod. pen.).
La difesa affida i ricorsi a sette comuni motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Il Pubblico ministero, nella persona del sostituto P.G. NOME COGNOME con requisitoria-memoria del 16 dicembre 2024, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo la difesa denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione per travisamento della prova, nonché per illogicità in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di estorsione.
Al riguardo, si rappresenta come la ricostruzione del fatto per come operata in sentenza non poteva integrare l’estorsione in quanto uno degli eventi finali, costituito dal profitto, si realizzava prima della condotta tipica, posto che la minaccia, ravvisata nella frase “qui comandiamo noi”, era intervenuta successivamente alla consumazione, senza pagarli, dei cocktail che erano stati ordinati dagli imputati.
Né poteva collegarsi la minaccia profferita, per come ritenuto dalla sentenza impugnata, a future attività illecite foriere di più gravi imposizioni, in quanto no solo estranee all’imputazione, ma frutto di congettura non suffragata dalle prove in atti e semmai riconducibili a suggestioni espresse dalla p.o.
La presenza del COGNOME nel locale – a cui si deve la cessazione di qualsiasi problema tra la p.o. e gli imputati che da quel momento pagarono sempre le consumazioni – non fu affatto imposta dai Bruno; questi, incaricato di fare da “pacere” tra le parti, aveva sfruttato l’occasione, concordando con la p.o. una remunerazione per la sua presenza nel locale dopo una certa ora.
Si censura, poi, la valenza in termini di idoneità della minaccia profferita dagli
imputati “qui comandiamo noi”, adducendosi come la riferibilità ad un contesto mafioso (alla famiglia COGNOME o, peggio, alla società foggiana) si deve ad una suggestione ex post della p.o. in conseguenza di quanto verosimilmente appreso da terzi con riguardo ad episodi accaduti nelle pregresse gestioni che non erano però affatto confacenti ai timori dichiarati dalla p.o. (si era, infatti, fatto riferi a risse, al detrimento della clientela, ma mai a bombe, per come addotto – anzi temuto – dalla p.o.).
Il motivo è manifestamente infondato.
Nella concatenazione degli accadimenti descritta dai giudici di merito è dato ricavarsi il delitto estorsivo. Il fatto che la minaccia “qui comandiamo noi” sia stata profferita dagli imputati dopo avere consumato le bevande e non aver pagato non determina alcuna interferenza, sia causale che eziologica, rispetto all’inadempimento dell’obbligazione in quel contesto assunta, in quanto logicamente volta a far desistere la p.o. dall’esigere il pagamento di quanto dovuto.
Peraltro, le sentenze di merito, a conferma che la minaccia fosse volta a costringere la persona offesa a tollerare la presenza degli imputati presso il locale, richiamano anche quanto accaduto il mattino, allorquando i Bruno, pur in costanza del pagamento di una consumazione, avevano danneggiato una fioriera a cagione della mancanza di rispetto manifestata dal gestore per avere chiesto loro il pagamento di quanto consumato.
La circostanza poi che la cessazione di tali episodi sia o meno riferibile ad una imposizione del Niglio nel locale non toglie valenza estorsiva alla vicenda, anche se, sul punto, la censura difensiva assume valenza di merito, in quanto volta a prospettare una differente causale rispetto a quella del tutto plausibile fatta motivatamente propria dai giudici di merito.
È, infatti, un dato accertato dalle sentenze di merito che, a seguito degli episodi che avevano visti protagonisti gli imputati presso il locale, si fosse aperto il “tema” della risoluzione della problematica costituita dalla loro futura presenza in quel luogo che aveva finito per coinvolgere una pletora di soggetti affinché, da un lato, tali atti emulativi non si ripetessero e, dall’altro, le persone offese no giungessero alla chiusura del locale. E tanto a conferma anche del notorio rilievo criminale assunto dagli imputati, ben lungi dall’essere ricondotto a mere suggestioni del COGNOME Luigi.
Sul punto, la sentenza di primo grado (v. pag. 50) dà puntualmente conto di come fosse stato raggiunto un “accordo” con gli imputati grazie all’intermediazione del COGNOME e che l’intesa prevedeva che venisse rivolto ai due fratelli un trattamento
di favore che, logicamente, qualifica proprio l’originaria imposizione degli imputati di non voler pagare le ordinazioni fatte presso il bar. Con la conseguenza che nessuna valenza distonica è, quindi, destinata ad assumere il dato, temporalmente successivo, della constatazione di successivi pagamenti di quanto consumato.
In conclusione, deve essere ribadito che integra minaccia idonea a determinare la condizione di soggezione psicologica, ai fini della sussistenza del delitto di estorsione, di cui all’art. 629 cod. pen., il comportamento di più persone, le quali, suscitando grave timore nel gestore di un locale, costringono il medesimo, con la prepotenza dei modi e la forza intimidatrice del numero e della fama delle loro malefatte, a tollerare la loro presenza nell’esercizio e in prossimità di esso, e la consumazione di bevande e altro senza pagarne l’importo (in termini Sez. 2, n. 9080 del 08/06/1988, COGNOME, Rv. 179122 – 01).
Con il secondo motivo si eccepisce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti della aggravante del metodo mafioso.
In particolare, una corretta lettura delle evidenze probatorie (il riferimento è a quanto riferito da COGNOME NOME e Santarcangelo) escludeva qualsiasi collegamento della minaccia con le consorterie criminali che, invece, i giudici di merito avevano ricavato sulla scorta delle unilaterali suggestioni del COGNOME NOME (volte, nelle esagerate rappresentazioni al proprietario del locale, a conseguire un abbassamento del canone di affitto), in assenza di alcuno degli elementi dimostrativi a cui la giurisprudenza riconduce la circostanza aggravante. L’esclusione dell’aggravante mafiosa avrebbe consentito al giudice del merito di applicare l’attenuante della lieve entità del fatto, essendosi al cospetto di un episodio marginale, temporalmente circoscritto e di t nue valore.
Il motivo è manifestamente infondato.
Se si analizza la vicenda nel suo complesso, si coglie come il trattamento di favore preteso dagli imputati qualifichi proprio l’originaria imposizione dei predetti di non voler pagare le ordinazioni fatte presso il bar in quanto lì, in quella zona, “comandavano loro”. Il termine utilizzato, in ragione anche del suo significato e del fatto di essere stato evocato al cospetto di altri soggetti che in quell’occasione li accompagnavano, lega, dunque, la presenza degli imputati ad una presenza territoriale del tutto idonea ad evocare nel soggetto passivo del reato l’esistenza di consorterie criminali capaci di realizzare forme di assoggettamento e controllo del territorio e delle attività ivi esercitate. E che questo sia stato il risultato minaccia profferita è confermato dagli espressi riferimenti operati in tal senso dal COGNOME NOME (v. anche pag. 10 della sentenza impugnata), dall’entità del timore
manifestato (financo di chiudere il locale) e dal raggiungimento di una composizione della vicenda che è connotata, a sua volta, da risultati costrittivi e che logicamente rivela come le persone offese fossero ben consce di dover fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso piuttosto che di un criminale comune. E tanto a prescindere dai collegamenti, pur significativi, passati in rassegna dal Tribunale (v. pagg. 59-60) a dimostrazione del collegamento degli imputati con consessi locali della criminalità organizzata di stampo mafioso che avvalorano la conclusione raggiunta dai giudici di merito che il fatto estorsivo vada unitariamente letto nell’ambito di un disegno di sopraffazione territoriale perseguito dagli imputati.
Il riconoscimento dell’aggravante – la cui ratio va ravvisata nel particolare allarme sociale che è riconosciuto ad una condotta che si nutre di connotati mafiosi – rende ontologicamente incompatibile la prospettata applicabilità dell’attenuante speciale del fatto di lieve entità per come introdotta a seguito della sentenza additiva n. 120 del 2023 della Corte costituzionale.
Con il terzo motivo si evidenzia la violazione di legge rispetto alla ritenuta aggravante di avere agito in più persone riunite.
Il rilievo difensivo muove da un profilo di merito costituito dal fatto che alla presenza cumulativa di entrambi gli imputati non abbia fatto seguito una cumulativa condotta qualificabile come minaccia di entrambi.
Il motivo è inammissibile poiché non dedotto con l’atto di appello.
Con il quarto motivo si lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha negato l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. fondando la decisione su considerazioni che riguarderebbero la gravità del fatto e non il danno patrimoniale effettivamente patito.
Il motivo è manifestamente infondato.
Sulla necessità di ancorare l’applicazione della attenuante di cui all’articolo 62 nr. 4 cod. pen. ad una valutazione complessiva della condotta e non alla sola stima del danno, deve essere richiamato il principio di diritto enunziato dalle Sezioni Unite in relazione al delitto di rapina, che, tuttavia, in ragione della rilevan omogeneità esistente fra le due fattispecie, deve senz’altro applicarsi anche al delitto di estorsione, secondo cui: «Ai fini della configurabilità, in relazione al delitto di rapina, della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva
del delitto “de quo”, che lede, oltre al patrimonio, anche la libertà e l’integrità fis e morale del soggetto aggredito per la realizzazione del profitto, sicché può farsi luogo all’applicazione della predetta attenuante solo nel caso in cui sia di speciale tenuità la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ad entrambi i beni tutelati.» (Sez. U, n. 42124 del 27/06/2024, Nafi, Rv. 287095 – 02).
Essendo la notizia di decisione di gran lunga antecedente al deposito del ricorso, ciò rileva rispetto alla ritenuta manifesta infondatezza della eccezione, priva di qualunque confronto con la problematica pure rimessa alle Sezioni unite.
Con il quinto motivo si rileva la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 n. 6 cod. pen.
Il motivo è inammissibile poiché generico.
A fronte, infatti, di una decisione che fonda correttamente il rigetto sulla assenza di congruità della somma offerta rispetto al complessivo pregiudizio arrecato, da ravvisarsi non soltanto nel pregiudizio economico subito, ma anche in quello di carattere morale e psichico sofferto in conseguenza del reato (Sez. 5, n. 33504 del 18/06/2019), il ricorrente non precisa l’entità della somma che sarebbe stata offerta ed accettata dalle persone offese, così precludendo alla Corte di legittimità di verificare, in termini di logicità della motivazione, la nat satisfattiva del risarcimento operato.
Con il sesto motivo si segnala la violazione di legge ed il vizio della motivazione rispetto alla disposta conferma del bilanciamento delle circostanze aggravanti rientranti nella previsione di cui all’art. 69 cod. pen. con le circostanze attenuanti generiche solo in termini di equivalenza.
Il motivo è manifestamente infondato.
Il giudizio sul bilanciamento delle circostanze del reato e sulla loro più o meno ampia estensione è rimesso alla valutazione discrezionale dei giudici di merito non sindacabile, se non in presenza di palesi violazioni di legge o di vizi tipici dell motivazione che, nel caso in esame, non emergono dalla lettura della impugnata sentenza sul punto oggetto di eccezione difensiva.
Con il settimo motivo si eccepisce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al ritenuto concorso nel reato nei confronti di NOME COGNOME COGNOME
Il motivo è inammissibile poiché non specificamente dedotto con l’atto di appello.
In conclusione, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili. Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro tremila ciascuno in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 4 febbraio 2025.