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Minaccia estorsiva: quando ‘qui comandiamo noi’ basta

La Corte di Cassazione conferma la condanna per estorsione aggravata a due soggetti che avevano imposto la loro presenza in un locale senza pagare le consumazioni, utilizzando la frase ‘qui comandiamo noi’. Tale espressione è stata ritenuta una chiara minaccia estorsiva, idonea a ingenerare sottomissione psicologica e a evocare il metodo mafioso, escludendo l’attenuante per danno di lieve entità data la natura plurioffensiva del reato.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Minaccia Estorsiva: La Cassazione Sulla Frase ‘Qui Comandiamo Noi’

Una semplice frase può trasformare un’insolvenza in un grave reato? Secondo la Corte di Cassazione, sì. Con la sentenza in esame, la Suprema Corte ha stabilito che l’espressione ‘qui comandiamo noi’, pronunciata per non pagare delle consumazioni, costituisce una minaccia estorsiva a tutti gli effetti, aggravata dal metodo mafioso. Questa decisione offre importanti spunti sulla natura del reato di estorsione e sulla percezione della minaccia nel contesto sociale.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine in un bar, dove due fratelli, dopo aver consumato bevande, si sono rifiutati di pagare. Alla richiesta del gestore, hanno risposto con la frase ‘qui comandiamo noi’. Questo episodio non è rimasto isolato. La loro presenza intimidatoria e altri atti, come il danneggiamento di una fioriera, hanno generato nel gestore un tale stato di timore da spingerlo a cercare una ‘mediazione’. Si è arrivati a un ‘accordo’ in base al quale un terzo soggetto, in cambio di un compenso, avrebbe garantito la ‘pace’ assicurando la sua presenza nel locale.
I due fratelli sono stati condannati in primo grado e in appello per estorsione pluriaggravata. La difesa ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la minaccia fosse avvenuta dopo la consumazione e fosse quindi finalizzata solo a non saldare un debito, e contestando la sussistenza dell’aggravante mafiosa.

La Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando integralmente la condanna. I giudici hanno ritenuto che la condotta degli imputati integrasse pienamente il delitto di estorsione, superando la semplice insolvenza. La frase incriminata non era una mera scusa per non pagare, ma un’imposizione volta a stabilire un controllo sul territorio e a costringere la vittima a subire la loro presenza e a rinunciare al proprio diritto di credito, generando una condizione di soggezione psicologica.

Le Motivazioni: Analisi della Minaccia Estorsiva

Le motivazioni della Corte si concentrano su tre punti fondamentali che chiariscono la portata del reato e delle sue aggravanti.

La Qualificazione del Reato di Estorsione

I giudici hanno spiegato che la minaccia estorsiva non deve necessariamente precedere la richiesta di profitto. Nel caso specifico, l’espressione ‘qui comandiamo noi’ era logicamente volta a far desistere il gestore dall’esigere il pagamento dovuto. Ma non solo: essa mirava a costringere la vittima a tollerare la presenza degli imputati nel locale e a subire future imposizioni. Il comportamento, nel suo complesso, ha generato nel gestore un grave timore, costringendolo, con la prepotenza dei modi e la forza intimidatrice, a subire un danno patrimoniale e una limitazione della propria libertà.

L’Aggravante del Metodo Mafioso e le Sue Implicazioni

La Corte ha ritenuto sussistente l’aggravante del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.). Il termine ‘comandare’, utilizzato in quel contesto territoriale e di fronte ad altre persone, è stato considerato idoneo a evocare nel soggetto passivo l’esistenza di consorterie criminali capaci di esercitare un controllo sul territorio. Il profondo timore della vittima, tanto da temere per la chiusura del locale e cercare una mediazione, conferma che la minaccia è stata percepita come proveniente da un gruppo criminale, non da comuni malviventi. Questo riconoscimento, hanno sottolineato i giudici, rende ontologicamente incompatibile l’applicazione dell’attenuante speciale del fatto di lieve entità.

La Valutazione del Danno: Oltre l’Aspetto Patrimoniale

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda la richiesta della difesa di applicare l’attenuante del danno di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.). Richiamando una recente sentenza delle Sezioni Unite, la Cassazione ha ribadito che in reati come l’estorsione (e la rapina), la valutazione del danno non può limitarsi al solo valore economico del bene o del profitto. Bisogna considerare la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati a tutti i beni giuridici tutelati, inclusi la libertà e l’integrità fisica e morale del soggetto aggredito. Data la natura plurioffensiva del reato e la condizione di soggezione psicologica inflitta alla vittima, il danno non poteva in alcun modo essere considerato di speciale tenuità.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di reati contro il patrimonio e la persona. In primo luogo, sottolinea come la forza intimidatrice di una frase dipenda fortemente dal contesto in cui viene pronunciata, potendo integrare una minaccia estorsiva anche se concisa. In secondo luogo, conferma che l’aggravante del metodo mafioso può essere riconosciuta anche in assenza di legami provati con un clan specifico, quando le modalità della condotta ne evochino la forza intimidatrice. Infine, consolida un importante orientamento giurisprudenziale: la gravità di un’estorsione si misura non solo dal valore economico sottratto, ma anche e soprattutto dall’impatto psicologico e sulla libertà della vittima. Una lezione importante per comprendere la reale portata di questi fenomeni criminali.

Una frase come ‘qui comandiamo noi’ è sufficiente per configurare una minaccia estorsiva?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, tale espressione, pronunciata in un contesto di prevaricazione, è idonea a determinare una condizione di soggezione psicologica nella vittima, costringendola a subire un danno (come la mancata riscossione di un credito) e a tollerare la presenza intimidatoria degli autori, integrando così pienamente il reato di estorsione.

Come si valuta il danno in un reato di estorsione per applicare l’attenuante della speciale tenuità?
La valutazione non si limita al solo valore economico del profitto ingiusto (es. le consumazioni non pagate). Occorre considerare il pregiudizio complessivo arrecato alla vittima, che include anche la lesione alla libertà e all’integrità morale e psicologica. Data la natura plurioffensiva del reato, una condotta gravemente intimidatoria esclude che il danno possa essere considerato di speciale tenuità, anche se il valore patrimoniale è modesto.

Quando si applica l’aggravante del metodo mafioso anche senza un legame diretto con un clan?
L’aggravante del metodo mafioso si applica quando la condotta criminale, per le sue modalità esecutive, evoca la forza intimidatrice tipica delle associazioni mafiose, generando nella vittima e nel contesto sociale una condizione di assoggettamento e omertà. Non è necessario dimostrare l’appartenenza degli autori a un clan specifico, ma è sufficiente che il loro comportamento richiami quel tipo di potere criminale, come nel caso della frase ‘comandiamo noi’ in un determinato territorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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