Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1654 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1654 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 17/11/1961
avverso la ordinanza del 18/04/2024 del Tribunale di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME attraverso il proprio difensore, impugna l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria dello scorso 18 aprile, che, accogliendo l’appello proposto dal Pubblico ministero a norma dell’art. 310, cod. proc. pen., avverso il provvedimento di rigetto della relativa richiesta cautelare, gli ha applicato la custodia cautelare in carcere per il delitto di tentata estorsione, aggravata anche dall’impiego del metodo mafioso e dalla finalità agevolativa della cosca di “ndrangheta” di appartenenza.
A lui si addebita di aver formulato delle minacce agli imprenditori edili COGNOME e COGNOME, al fine di ottenere una “tangente” in relazione ad un loro cantiere situato nel territorio di Gallico Marina, sottoposto al controllo della cosca.
Il ricorso consta di un unico motivo, con cui si lamentano violazione di legge e vizi di motivazione in punto di gravità indiziaria, contestandosi essenzialmente l’idoneità e l’univocità degli atti compiuti dall’indagato: il quale – secondo quanto riferito da quegli imprenditori – si sarebbe limitato ad informarli che delle persone volevano parlare con loro di quel cantiere.
Rileva, quindi, la difesa, che – come osservato dal Giudice per le indagini preliminari nel provvedimento di rigetto della richiesta di misura cautelare l’indagato non aveva esplicitato alcuna richiesta e, comunque, aveva riferito a terzi l’eventuale pretesa, dovendo perciò dubitarsi dell’idoneità della stessa al conseguimento di un profitto illecito.
Comunque – si aggiunge – mancherebbe una minaccia seria, cioè oggettivamente in grado di influire sulla libertà psichica del destinatario. Si fa osservare, in proposito, che al rifiuto di parlare con quelle persone, oppostogli dal NOME, l’indagato non ha avanzato ulteriori pretese; che le parole da lui utilizzate con quell’imprenditore sono state generiche ed equivoche; che NOME lo ha ripetutamente denunciato, così mostrando non solo di non temerlo, ma anche di non essere consapevole del suo inserimento nella locale criminalità organizzata, e perciò dovendo escludersi anche l’ipotesi della c.d. “minaccia ambientale”, neppure, in effetti, evocata dal Tribunale.
Infine, si lamenta l’assenza di motivazione sull’elemento psicologico del reato.
Ha depositato requisitoria scritta la Procura generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, poiché funzionale non al controllo della coerenza 6b k) logicayfroTiVazione, ma ad una rivalutazione delle emergenze investigative, e quindi ad un giudizio di merito, che alla Corte di cassazione non è consentito.
Vero è che, interloquendo con l’imprenditore COGNOME e riferendosi ad un cantiere presso cui questi stava lavorando con una sua ditta, COGNOME si era limitato ad avvertirlo che alcune persone avrebbero voluto parlargli, senza indicargliene i nominativi né per quali ragioni intendessero farlo. Tale contegno, però, andava contestualizzato, ed è quel che ha fatto il Tribunale, per l’effetto
ritenendolo espressivo di una minaccia a fini estorsivi, con una motivazione del tutto lineare sul piano logico.
Evidenzia l’ordinanza, infatti, che esso si collocava all’interno di una più ampia vicenda tipicamente estorsiva, già in atto ad opera del ricorrente nei confronti dei citati imprenditori ed oggetto di un diverso capo d’incolpazione, in relazione alla quale gli è stata applicata la misura cautelare nello stesso procedimento; inoltre, nell’occasione, COGNOME non soltanto si era presentato in cantiere senza averne alcun titolo, ma, incontratovi il Paris, gli aveva espressamente rammentato di dover ringraziare tale COGNOME per aver avuto la possibilità di continuare a lavorare con la sua ditta in quel sito.
Per la natura, dunque, dei pregressi rapporti tra quei soggetti, per le espressioni volutamente vaghe utilizzate da COGNOME, per il luogo da questi prescelto per l’incontro e per l’espresso ammonimento, rivolto a Paris, di dover ringraziare qualcuno per aver potuto condurre fino ad allora quel cantiere senza fastidi, è del tutto ragionevole ritenere la condotta del ricorrente – come ha fatto il Tribunale – univocamente diretta alla consumazione di un’ulteriore estorsione.
D’altronde, come tale essa è stata percepita pure dai destinatari, rimanendo perciò un semplice asserto difensivo quello per cui, se minaccia v’è stata, comunque non si sarebbe potuta reputare seria. A nulla rileva, infatti, che il destinatario, in concreto, per la sua particolare resistenza psichica, non ne abbia ritratto un’intimidazione effettiva, poiché l’idoneità della condotta alla coartazione dell’altrui volontà va valutata in relazione alle concrete circostanze oggettive (così, tra molte, Sez. 2, n. 36698 del 19/06/2012, COGNOME, Rv. 254048).
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
Per effetto della dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, diviene suscettibile di esecuzione l’ordinanza impugnata (art. 310, comma 4, cod. proc. pen.).
A tal fine, la presente sentenza dev’essere comunicata per estratto al Procuratore generale in sede (art. 28, comma 1, reg. esec. cod. proc. pen.).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28, reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2024.