Minaccia Estorsiva: Quando la Pressione sui Creditori Diventa Reato
L’uso della minaccia per costringere qualcuno a rinunciare a un proprio diritto è una linea sottile che, una volta superata, può sfociare nel penale. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come una minaccia estorsiva possa configurarsi anche senza violenza fisica, ma attraverso la prospettazione di un danno grave, come una denuncia penale. Questo caso analizza la condotta di un imprenditore che, per evitare le conseguenze di alcune azioni legali, ha minacciato i propri creditori.
I Fatti del Caso: La Minaccia per Evitare le Cause
Un imprenditore, trovandosi in gravi difficoltà economiche a causa di decreti ingiuntivi e pignoramenti, ha tentato una mossa disperata. Per costringere i suoi creditori a desistere dalle azioni legali in corso, ha minacciato di depositare presso la Procura della Repubblica documenti che, a suo dire, li avrebbero compromessi e danneggiati, fino a limitarne la libertà personale.
La minaccia non è stata diretta, ma veicolata in più modi:
1. Messaggio a un intermediario: L’imprenditore ha inviato un messaggio a un geometra, nel quale prospettava il deposito di una denuncia contro i creditori, configurando un vero e proprio ultimatum.
2. Azione del legale: Durante un incontro tra gli avvocati delle parti, il legale dell’imprenditore ha agito come suo portavoce, prospettando la conoscenza di presunti illeciti attribuibili ai creditori e la possibilità di denunciarli qualora non avessero ceduto alle richieste del suo assistito.
L’obiettivo era chiaro: ottenere la rinuncia alle pretese giudiziali che stavano causando un danno economico all’imprenditore. Si trattava, quindi, di una richiesta finalizzata a un profitto ingiusto.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’imprenditore inammissibile. La difesa aveva contestato la correttezza della motivazione della sentenza di condanna, ma i giudici supremi hanno ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento.
Il Divieto di “Rilettura” dei Fatti in Sede di Legittimità
La Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare le prove e i fatti. Il suo compito è quello di verificare che i giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e senza vizi. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse pienamente valida e che il ricorso mirasse, inammissibilmente, a una nuova e diversa interpretazione dei fatti.
Gli Elementi della Minaccia Estorsiva nel Caso Concreto
La Corte ha confermato la sussistenza di tutti gli elementi del reato di estorsione (art. 629 c.p.), basandosi su punti precisi emersi nel processo:
* La minaccia: Il riferimento a “documenti compromettenti”, anche senza la loro esibizione, ha integrato una concreta potenzialità intimidatoria.
* La coartazione: La minaccia era finalizzata a costringere i creditori a rinunciare a un loro diritto (proseguire le azioni legali).
* L’ingiusto profitto: Il profitto per l’imprenditore consisteva nell’evitare il danno economico derivante dalle cause pendenti.
* Il danno altrui: Il danno per i creditori era rappresentato dalla rinuncia alle loro legittime pretese economiche.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando che la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello era esente da vizi logici e giuridici. È stato evidenziato come la deposizione di un testimone, il contenuto di un messaggio e persino l’operato del legale dell’imputato concorressero a dimostrare un quadro unitario e coerente. L’avvocato, agendo come procuratore del suo cliente e utilizzando informazioni e documenti da lui forniti, ha dimostrato il pieno coinvolgimento dell’imprenditore nell’iniziativa minatoria. La minaccia non era un legittimo avvertimento di voler esercitare un proprio diritto (quello di denuncia), ma uno strumento illecito per costringere la controparte a cedere su un piano diverso, quello civilistico delle pretese creditorie.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza ribadisce un importante principio: minacciare di denunciare qualcuno per ottenere un vantaggio indebito, come la rinuncia a un’azione legale, costituisce estorsione. Non è necessario che la minaccia sia esplicita o violenta; anche la prospettazione di un grave danno, come un procedimento penale, può integrare il reato. Inoltre, la decisione conferma la netta separazione tra il giudizio di merito, dove si accertano i fatti, e quello di legittimità, dove si controlla solo la corretta applicazione della legge. Per gli operatori del diritto e i cittadini, questo serve da monito: la risoluzione delle controversie deve sempre avvenire entro i binari della legalità, senza sconfinare in pressioni indebite che possono avere gravi conseguenze penali.
Minacciare di denunciare qualcuno per costringerlo a ritirare una causa legale è considerato estorsione?
Sì, secondo la decisione in esame, questa condotta integra il reato di estorsione. La minaccia di depositare documenti compromettenti in Procura, finalizzata a costringere la controparte a rinunciare a pretese giudiziali, è stata considerata una minaccia estorsiva per ottenere un ingiusto profitto.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile senza entrare nel merito dei fatti?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché il suo compito non è quello di riesaminare le prove e ricostruire i fatti, ma solo di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Il ricorso tendeva a una ‘rilettura’ dei fatti, attività riservata esclusivamente al giudice di merito.
Per configurare il reato di estorsione è necessario mostrare i documenti compromettenti usati per la minaccia?
No, non è necessario. La sentenza chiarisce che il generico riferimento a documenti compromettenti ai danni delle persone offese, senza la loro esibizione, è stato sufficiente a connotare la condotta di una concreta potenzialità di minaccia e quindi a integrare il reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 250 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 250 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NOVENTA VICENTINA il 27/09/1989
avverso la sentenza del 05/03/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si contesta la correttezza de motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 62 pen., non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere u inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adott giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplici ragioni del suo convincimento, rilevando che: a) dalla deposizione del teste COGNOME risulta l’imputato, trovandosi in condizione di grave difficoltà per essere stato destinatario di d ingiuntivi almeno in parte provvisoriamente esecutivi e per aver subito il pignoramento di pa del credito che la sua società vantava presso Veneto Strade, ha tentato di costringere persone offese a rinunciare alle cause pendenti, attraverso la minaccia di depositare in Procur della Repubblica documenti compromettenti che le avrebbero danneggiate, tanto da provocarne la restrizione della libertà personale; b) il generico riferimento a docume compromettenti ai danni delle persone offese, senza la loro esibizione, ha connotato l condotta di una concreta potenzialità di minaccia; c) sussiste la finalità di profitto in del fatto che la richiesta aveva come oggetto la pretesa che i COGNOME rinunciassero proseguire con le loro iniziative giudiziarie che in quel momento stavano determinando una situazione di danno economico all’imputato; d) il messaggio inviato dall’imputato al geometr COGNOME in cui il primo prospettava il deposito della denuncia, conferma la natura estorsi dell’ultimatum intimato dal COGNOME posto che la minaccia era stata posta in essere per costringere la controparte a rinunciare alle pretese giudiziali e non al fine di ottene contatto telefonico; e) all’incontro tra i legali delle due parti, l’avvocato del COGNOME prospettare la conoscenza di presunti illeciti attribuibili ai COGNOME e la possibilità di de in Procura ove non avessero ceduto alle richieste del suo assistito, agiva quale procurator dell’imputato e utilizzava documenti provenienti da quest’ultimo, dimostrando il s coinvolgimento anche in questa iniziativa; Corte di Cassazione – copia non ufficiale che esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli e di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riserv giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese p e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 3 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
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