Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22823 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22823 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da NOME COGNOME NOME COGNOME nato a Santa Cesarea Terme il 6/7/1956 avverso la sentenza resa il 12giugno 2024 dalla Corte di appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio relativamente al capo C e il rigetto degli altri motivi; sentite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce, parzialmente riformando la sentenza resa dal Tribunale di Lecce il 7 maggio 2019, ha confermato la responsabilità di NOME COGNOME in relazione ai reati di usura, estorsione e tentata estorsione meglio indicati ai capi B, C, D, F e G della rubrica ed, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 644 comma 5 n. 4 codice penale in relazione al delitto di usura di cui al capo B, ha ridotto la pena inflitta.
Avverso detta sentenza sono stati proposti due ricorsi.
Con il primo, a firma dell’avv. COGNOME, si deduce:
2.1 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle tentate estorsioni contestate ai capi D ed F dell’imputazione, per avere posto in essere atti idonei a coartare la volontà del COGNOME, minacciando di porre all’incasso tutte le otto cambiali rilasciate a garanzia del pagamento del prestito usurario, perché non ricorrono gli elementi prescritti daWart.629 cod.pen. dell’ingiusto profitto e della minaccia. Il ricorrente premette che COGNOME ha riportato condanna per le ipotesi di usura contestate ai capi B e G, in danno rispettivamente di NOME COGNOME e di NOME COGNOME. Lo schema contrattuale del rapporto usurario era ordinario e ricorrente: il denaro veniva consegnato alla vittima, previa sottoscrizione e consegna di cambiali offerte a garanzia del capitale, mentre gli interessi venivano pagati mensilmente brevi manu. I titoli cambiari venivano quindi trattenuti dal creditore come garanzia del debito e venivano restituiti una volta onorata l’obbligazione. L’accusa di tentata estorsione di cui al capo D della rubrica, così come al capo F, consiste nell’avere minacciato COGNOME che, in caso di mancato pagamento avrebbe portato all’incasso tutte le cambiali, che erano state consegnate in garanzia, come peraltro era già accaduto con una cambiale a firma di NOME, moglie del COGNOME. Secondo la Corte di appello questa minaccia integra il delitto di tentata estorsione ma, osserva il ricorrente, la condotta del COGNOME si limitava ad azionare la garanzia che era stata rilasciata dal Candela al momento della stipula dell’accordo usurario; l’incasso della cambiale non si poneva come un atto eccentrico o eccessivo rispetto all’originaria pattuizione, ma ne faceva parte sin dall’inizio, tanto è vero che il 13 novembre 2015 come riportato in imputazione, COGNOME aveva già portato all’incasso una cambiale, divenuta esigibile in forza dell’accordo usurario e in questo caso l’incasso è rimasto assorbito nella vicenda usuraria e non è stato oggetto di autonoma contestazione.
La sentenza impugnata afferma che le minacce di porre all’incasso gli ulteriori effetti integrano altrettante condotte estorsive, trattandosi di intimidazioni finalizza non ad esercitare un diritto, ma a conseguire interessi o vantaggi usurari ossia un ingiusto profitto. Ma va rilevato che NOME consegnava liberamente dette cambiali, a garanzia del capitale che gli veniva consegnato, e l’incasso dei titoli alla scadenza del prestito usurario faceva parte dell’accordo usurario e non si poneva come una deroga estorsiva al patto di garanzia per cui erano state rilasciate. Proprio l’indicazione riportat nell’imputazione del precedente incasso di una cambiale è un dato su cui la sentenza non si confronta e dimostra come l’avvertimento del De COGNOME si era risolto nell’indicazione che il titolo era diventato esigibile, così integrando la consumazione del reato di usura e non una minaccia che dava luogo ad un’ulteriore condotta estorsiva.
Osserva il ricorrente che è noto che, per l’integrazione del reato di usura, è sufficiente la sola promessa di interessi usurari, ma la fase di riscossione del credito usurario non può integrare una autonoma condotta estorsiva, in quanto il pagamento segna il momento consumativo dell’usura e quindi i titoli di credito trattenuti dal
ricorrente erano monetizzabili in base all’accordo usurario, sicché il proposito di portare le cambiali all’incasso costituiva l’ultimo atto della vicenda usuraria. Sembra pertanto più corretto ritenere che la riscossione delle cambiali liberamente consegnate al momento della stipula come garanzia del capitale rimanga assorbita nell’accordo usurario in quanto rappresenta l’epilogo del rapporto.
La sentenza, inoltre, omette di valutare gli effetti che la minaccia del De Donno avrebbe prodotto o potuto produrre nella sfera di autodeterminazione del Candela e la motivazione della sentenza risulta apparente e viziata poiché, nel valutare la sussistenza dell’ipotesi di tentativo di estorsione contestata ai capi D ed F, la Corte non poteva prescindere dalle modalità esecutive della riscossione usuraria.
2.2 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’estorsione contestata al capo C della rubrica, in quanto dall’imputazione si evince che la condotta estorsiva consisteva nell’avere obbligato nel luglio 2015 NOME COGNOME che non era riuscito a restituire le somme prese in prestito e neppure a pagare gli interessi, a sottoscrivere una dichiarazione secondo la quale l’intero prestito di 8.000 euro non sarebbe stato produttivo di interessi, e nell’agosto 2015 ad emettere un’ulteriore cambiale a garanzia del debito, sostenendo che sarebbe servita a coprire ulteriori mille euro di interessi maturati.
Con l’atto di appello la difesa aveva censurato la sussistenza della minaccia, rilevando che la dichiarazione di riconoscimento di debito era stata ottenuta con l’inganno e non con la minaccia, come risulta dalla denuncia del COGNOME, il quale riferiva che circa un mese prima gli avevano fatto firmare detta dichiarazione, ingannandolo in quanto sostenevano che era una prassi diffusa rilasciare una dichiarazione in cui il debitore escludeva che il prestito prevedesse interessi.
A fronte dei rilievi avanzati con l’appello, la sentenza avrebbe dovuto esplicitare i riscontri probatori della presunta modalità costrittiva con cui COGNOME avrebbe estorto, e non semplicemente ottenuto, le sottoscrizioni della dichiarazione e della cambiale, anche perché l’utilizzo del termine “obbligare” impiegato in denunzia non poteva essere acriticamente adoperato in sentenza per qualificare il fatto contestato al capo C come integrante una condotta estorsiva.
La Corte ha risposto alla censura con una GLYPH motivazione contraddittoria, valorizzando le dichiarazioni del COGNOME, il quale ha riferito che nel settembre 2015 COGNOME lo aveva minacciato di un male fisico ed ha affermato che detta minaccia, benché fosse oggetto di autonoma imputazione al capo E della rubrica, poi dichiarata estinta per remissione di querela, unitamente alle minacce di porre all’incasso tutte le cambiali emesse, integrano altrettante condotte estorsive, trattandosi di intimidazioni finalizzate non ad esercitare un diritto, ma a conseguire interessi o vantaggi usurari, ossia un ingiusto profitto.
La motivazione, quindi, dopo il richiamo certamente suggestivo alla minaccia contestata al capo E, accomuna erroneamente la fattispecie contestata di cui al capo C
con le ipotesi tentate di cui ai capi D ed F, sicchè la sottoscrizione della cambiale non costituisce più l’evento estorsivo di un’ipotetica condotta coercitiva, ma lo strumento minatorio per conseguire il profitto usurario. Questa ricostruzione impone di qualificare la condotta contestata come tentativo di estorsione e non come estorsione consumata, poiché se l’obiettivo è il pagamento degli interessi usurari, l’estorsione non si è consumata poiché le ultime dazioni di denaro del Candela risalgono al Marzo 2015.
2.3 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’applicazione, per il reato di cui al capo G in danno del prelato COGNOME, delle circostanze aggravanti previste dall’art. 644 comma 5 n. 3 e 4 cod.pen.. La Corte ha affermato che nei confronti di COGNOME lo stato di bisogno emergeva dalla pressante necessità di estinguere i debiti erariali al fine di evitare che il ritardo nei pagamenti comportasse ulteriori sanzioni. S tratta di motivazione apodittica che si esaurisce nella parafrasi del modello normativo, poiché non specifica sulla base di quali elementi concreti la Corte ha ritenuto che la misura degli interessi e sanzioni applicata dal fisco dovesse essere ritenuta significativa dello stato di bisogno e quindi idonea a generare quella impellente necessità, tale da limitare la volontà della vittima, che integra la ritenuta aggravante.
La Corte non ha considerato che l’Erario certamente non avrebbe applicato un tasso di interesse usurario e che Frisullo aveva libero accesso al credito ordinario, il che inficia il riconoscimento dell’aggravante dello stato di bisogno.
Quanto all’aggravante di avere commesso il reato in danno di chi svolge attività imprenditoriale, la Corte ha ritenuto di aderire a quell’orientamento della giurisprudenza secondo cui l’aggravante è configurabile in tutti i casi in cui la somma è destinata ad essere impiegata in un’attività imprenditoriale, anche se non direttamente svolta dal soggetto cui il prestito viene materialmente erogato, e in applicazione di questo principio ha escluso l’aggravante con riferimento al capo B di imputazione, perché NOME aveva richiesto il denaro per far fronte alle richieste estorsive ai suoi danni e non per svolgimento dell’attività imprenditoriale.
Di contro, in motivazione la Corte afferma che la RSA gestita dal prelato COGNOME aveva accumulato una notevole esposizione debitoria nei confronti dell’Erario, senza considerare che detto debito era pari a 21.000 euro, di gran lunga inferiore rispetto al prestito richiesto, pari ad oltre 200.000,00 euro, sicché non è emersa la reale destinazione impressa al denaro ricevuto in prestito.
Con un secondo ricorso l’avv. NOME COGNOME deduce:
3.1 vizio di motivazione in merito al giudizio di responsabilità penale dell’imputato in ordine alle condotte di estorsione contestate al capo C della rubrica nella forma consumata e ai capi D ed F nella forma tentata nei confronti di NOME.
Il ricorrente censura l’affermazione della Corte di appello secondo cui l’affermazione di responsabilità in ordine ai delitti di usura descritti ai capi B e G n sarebbe stata oggetto di impugnazione e rileva che il gravame pur non avendo proposto censure puntigliose in relazione a detti capi d’imputazione non ha certamente prestato
acquiescenza ad accuse labili e inconsistenti in quanto fondate esclusivamente sulle dichiarazioni delle persone offese, in assenza di alcun riscontro documentale.
Con i motivi di appello si era fatto emergere come la motivazione scontava, da una parte, la genericità dei capi di imputazione, e dall’altra si sostanziava in una generica elencazione di condotte minatorie, del tutto scollegate dalla contestazione di cui al capo C.
Ed infatti, parte dell’estorsione si sarebbe consumata nell’obbligare COGNOME a sottoscrivere una dichiarazione di riconoscimento di debito non produttivo di interessi, quando la stessa parte offesa aveva dichiarato che la sottoscrizione di questa dichiarazione era stata frutto di inganno e non di una costrizione. Tale aspetto non risulta confutato in sentenza. Peraltro, la Corte, nel valorizzare le dichiarazioni del COGNOME richiama alcuni riscontri acquisiti nel corso delle indagini che, tuttavia, si riferisc esclusivamente alle condotte di usura e non alla condotta estorsiva. Pertanto, il giudizio di responsabilità per le condotte estorsive si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni delle persone offese, i coniugi COGNOME e COGNOME, i quali hanno reso dichiarazioni parzialmente contraddittorie tra loro.
La Corte ha poi valorizzato, per integrare la condotta estorsiva, una minaccia proferita dal COGNOME che è stata oggetto di autonomo capo di imputazione, per il quale è intervenuto il proscioglimento dell’imputato per l’intervenuta remissione querela da parte della persona offesa. Con riferimento alle condotte intimidatorie contestate non sono emersi riscontri effettivamente consistenti rispetto a quanto dichiarato dalle persone offese, ma al contrario emergono palesi contraddizioni.
Ed infatti la Corte ha richiamato le dichiarazioni della moglie del COGNOME, la quale ha riferito che la COGNOME, moglie del COGNOME, le aveva intimato telefonicamente di restituire il prestito, altrimenti avrebbe portato tutte le cambiali all’incasso, ma poi assolto proprio chi aveva veicolato le pretese minacce, mentre la frase ad ella attribuita è stata ritenuta integrare la condotta estorsiva da parte del COGNOME.
3.2 Vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della pena applicata con ingiustificato ed immotivato rigore sanzionatorio sia in relazione alle contestate aggravanti, sia con riguardo agli aumenti previsti per i reati satellite, sia infine con riguardo all’entità molto contenuta della riduzione di pena disposta a seguito del riconoscimento delle attenuanti generiche e di quelle di cui all’articolo 62 n. 6.
In particolare, la sentenza omette di considerare che COGNOME nella sua veste di parroco avrebbe potuto tranquillamente fare ricorso al canale bancario per far fronte all’esposizione debitoria, mentre preferì rivolgersi al canale alternativo dell’amico ex maresciallo COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono parzialmente fondati.
2.Ricorso a firma dell’avv. COGNOME.
2.1 Il primo motivo è infondato.
La Corte territoriale ha correttamente qualificato le condotte contestate ai capi D ed F, in considerazione dell’idoneità di tali comportamenti a coartare la libertà d determinazione negoziale del Candela, nel pieno rispetto del principio di diritto secondo cui integra il delitto di estorsione la minaccia realizzata per ottenere il pagamento di un credito di natura usuraria, quand’anche consistente nel prospettato ricorso a mezzi astrattamente consentiti dalla legge, come attivare le garanzie che l’usuraio si sia fatto rilasciare dal debitore (cfr., Sez. 2, n. 41481 del 29/09/2009, COGNOME, Rv. 244941-01; Sez. 6, n. 47895 del 19/06/2014, COGNOME, Rv. 261217 – 01;Sez. 2, n. 19680 del 12/04/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 46528 del 06/10/2022, COGNOME, non mass.); allo stesso tempo si è già ritenuto che per integrare il reato non è necessario che la libertà di autodeterminazione della vittima della minaccia estorsiva sia del tutto annullata, essendo, invece, sufficiente che la richiesta, con il pregiudizio patrimoniale che ne consegue, sia idonea a coartare la volontà del destinatario, per evitare un male che agli occhi della vittima appaia più grave (cfr., Sez. 2, n. 32033 del 21/03/2019, COGNOME, Rv. 277512-04; Sez. 2, n. 19542 del 14/03/2024, Diana, non mass.).
Il Collegio intende ribadire il consolidato indirizzo ermeneutico della giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di estorsione, la minaccia, ancorché consistente nell’esercizio di una facoltà o di un diritto spettante al soggetto agente ( dunque all’apparenza legale), diviene contra ius quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, si faccia uso di mezzi giuridici legittimi per ottenere scopi non consentiti o risultati non dovuti, come quando la minaccia sia fatta con il proposito di coartare la volontà di altri per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia. (Sez. 2, n. 12082 del 06/02/2008, COGNOME, Rv. 239740 – 01)
Nel caso in esame è vero che l’avere rilasciato delle cambiali in garanzia del prestito rientra nell’ambito del consueto atteggiarsi del rapporto usurario, sicché porle all’incasso costituisce conseguenza dell’inadempimento, tanto che l’incasso di una delle cambiali venute a scadenza non ha dato luogo ad autonoma contestazione, ma la minaccia di porle all’incasso tutte insieme e quindi di cagionare con elevata probabilità l’insolvenza e il protesto della persona offesa, con conseguente pregiudizio della stessa, sotto il profilo bancario e imprenditoriale, integra un minaccia idonea a coartare la volontà dell’imputato.
In particolare, il ricorrente prospettava una condotta che sapeva essere contra jus, in quanto le cambiali, che, a dire della vittima, erano state rilasciate solo a scopo di garanzia, incorporavano anche una parte degli interessi stabiliti in misura usuraria e non indicavano la data di scadenza; tali elementi concorrono a palesare il carattere illecito della condotta minacciata, idonea ad integrare il tentativo di estorsione.
È stato, in particolare, evidenziato che il COGNOME si sentiva sottoposto a enorme pressione in considerazione della minaccia prospettata da COGNOME di porre all’incasso le cambiali, consegnate all’imputato. Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacab questa sede.
La Corte ha, inoltre, valorizzato in motivazione anche l’autonomo episodio di minaccia contestato all’imputato e commesso nel settembre 2015 che, pur essendosi estinto per remissione di querela della persona offesa, integra un fatto che ha contribuito a rafforzare l’effetto intimidatorio e coercitivo delle pretese del De Donno avanzate in epoca successiva, tra novembre e dicembre 2015, per il suo evidente riferimento a possibili conseguenze fisiche in caso di inadempimento del Candela.
2.2 La seconda censura, relativa al capo C) dell’imputazione è fondata.
L’estorsione consiste in una condotta coercitiva della libertà morale della persona offesa realizzata mediante violenza o minaccia e diretta a conseguire un ingiusto profitto con altrui danno.
Nell’estorsione sussistono gli estremi della idoneità della minaccia tutte le volte che, con riguardo alla volontà sopraffattrice dell’agente e alle particolari condizioni dell vittima, quest’ultima, di fronte alle ingiuste richieste del primo, venga a trovarsi nel condizione di doverne subire la volontà, per evitare il paventato verificarsi di un più grave pregiudizio.
Nel caso in esame il capo di imputazione non indica quale sia stata la minaccia in forza della quale NOME sarebbe stato costretto a sottoscrivere la dichiarazione secondo cui il prestito ottenuto non sarebbe stato produttivo di interessi e poi a sottoscrivere un’ulteriore cambiale per il pagamento degli interessi non corrisposti mensilmente.
E deve al riguardo convenirsi con il ricorrente che nella denunzia COGNOME riferiva di essere stato indotto con l’inganno a sottoscrivere la dichiarazione oggetto del capo C e di essere stato obbligato da controparte, asserendo che era una condotta usuale nell’ambito del rapporto usurario.
In effetti la dichiarazione che COGNOME ha sottoscritto costituiva uno strumento per garantire l’impunità dell’imputato dal reato di usura e l’ulteriore cambiale offriva una garanzia del pagamento degli interessi non corrisposti, secondo modalità che spesso ricorrono nell’ambito del rapporto usurario, a fronte dell’inadempimento del soggetto usurato.
Ma, a prescindere dall’oggetto della pretesa del De Donno, GLYPH dal tenore della denunzia e del capo d’imputazione non emerge se e quale sia stata la minaccia utilizzata per coartare la volontà del COGNOME e se invece, come sembra emergere dalla denunzia, non si sia trattato di una mera attività di induzione e convincimento, che non ha determinato una coazione ad agire, ma piuttosto una manipolazione della volontà,
realizzata valorizzando il carattere ordinario ed usuale, nell’ambito del rapporto instaurato con il creditore, della pretesa da questi avanzata.
La motivazione assunta dalla Corte per rispondere allo specifico motivo di gravame non appare corretta, poiché per integrare l’estremo della minaccia che costituisce elemento indefettibile della fattispecie estorsiva e al fine di attribu efficacia intimidatoria alla pretesa avanzata nel corso del rapporto usurario, ha valorizzato minacce pacificamente intervenute in epoca successiva e non ha spiegato, in modo congruo alle emergenze processuali, il mezzo attraverso cui NOME avrebbe subito tale indebita coercizione.
Va infatti considerato che anche l’episodio di minaccia che ha formato oggetto di autonoma contestazione al capo E della rubrica, poi dichiarato estinto per remissione di querela, si riferisce ad un episodio avvenuto nel settembre 2015, e le minacce di porre all’incasso tutte le cambiali sarebbero state pronunziate tra novembre e dicembre 2015, mentre l’estorsione di cui al capo C è contestata come consumata nel corso dell’estate precedente.
L’unico elemento di fatto che potrebbe sostenere la prospettazione accusatoria è l’utilizzo in denunzia da parte della persona offesa dell’espressione “mi hanno obbligato”, che per integrare la minaccia avrebbe dovuto essere oggetto di specificazione nel suo contenuto, e non appare idonea, nella sua genericità, a dimostrare la coercizione propria dell’estorsione. L’assenza di minacce impone di ricondurre la condotta contestata al capo C nell’ambito del reato di usura contestato in danno del Candela, trattandosi di un comportamento che integra una delle modalità attraverso cui si è atteggiato nel tempo il rapporto tra debitore e creditore.
Si impone di conseguenza l’annullamento senza rinvio della sentenza limitatamente al capo C dell’imputazione e il rinvio ad altra sezione della Corte di appello che dovrà rimodulare il trattamento sanzionatorio per i residui reati unificati per continuazione, in quanto la sanzione complessiva era stata calcolata facendo riferimento al più grave reato di estorsione consumata per la determinazione della pena base.
2.3 Il terzo motivo è infondato.
La censura in ordine all’aggravante dell’attività imprenditoriale riconosciuta in relazione al capo G (per il capo B è stata esclusa) è in parte non consentita, perché dedotta in modo generico con i motivi di appello, e in parte infondata.
La giurisprudenza di legittimità non è univoca sulla rilevanza da attribuire alla destinazione delle somme prestate all’attività imprenditoriale svolta dall’usurato, poiché un orientamento ritiene sufficiente per riconoscere l’aggravante, nel rispetto del tenore letterale della norma, la qualifica di imprenditore, artigiano o professionista del soggetto usurato, a prescindere dalla destinazione delle somme ricevute; altro orientamento ritiene necessario, nel rispetto della ratio della norma, tesa a tutelare la correttezza del
mercato, che il prestito erogato sia destinato ad esigenze connesse all’attività produttiva. In nessun caso, comunque, si richiede per il riconoscimento dell’aggravante che venga provata la totale destinazione delle somme ricevute a ripianare debiti o costi connessi alle attività imprenditoriali e professionali dell’usurato.
Nel caso in esame è certo che COGNOME svolgeva attività imprenditoriale in quanto fino al 2014 gestiva una RSA, nell’ambito della cui gestione aveva accumulato ingenti debiti verso le banche e l’Agenzia delle entrate, che lo avevano indotto a chiedere un altro prestito al COGNOME nel 2012, come affermato dallo stesso in denunzia e in udienza, e riportato nella sentenza di primo grado a pag. 11, il che è sufficiente ad integrare la contestata aggravante.
Si deve inoltre osservare che questo profilo non è stato contestato con i motivi di appello: ed infatti il GUP aveva evidenziato che COGNOME sino al 2014 svolgeva attività imprenditoriale, nell’ambito della quale aveva accumulato ingenti debiti con diverse banche e con l’Erario; a fronte di questa motivazione, la difesa si era limitata a rilevare che l’attività di gestione della RSA si era interrotta nel 2014 e il rapporto di usura si er protratto sino al 2016, così formulando una doglianza generica, in quanto non considerava le ragioni poste all’origine del rapporto e il lievitare esponenziale dell’entità delle somme dovute, per il maturare degli interessi concordati, che da un iniziale importo di 30.000 euro ha comportato un’esposizione debitoria complessiva di quasi 200.000 euro.
Sono generiche anche le censure formulate con l’appello nei confronti dell’aggravante dello stato di bisogno.
Il Gup aveva fatto corretta applicazione della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui l’aggravante speciale è configurabile quando sussista una particolare condizione psicologica, determinata da un impellente assillo di natura economica, in presenza della quale il soggetto passivo subisca una limitazione della libertà di autodeterminazione che lo induce a ricorrere al credito e ad accettare condizioni usurarie. (Sez. 2, n. 1255 del 04/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284286 – 01)
E’ stato anche precisato che lo stato di bisogno va inteso non come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie, non assumendo alcuna rilevanza né la causa di esso, né l’utilizzazione del prestito usurario. (Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, dep. 2016, Di Silvio, Rv. 266162 – 01)
In motivazione la Corte ha osservato che le “condizioni di difficoltà economica o finanziaria” della vittima che integrano la materialità del reato di usura in concreto si distinguono dallo “stato di bisogno” (che integra la circostanza aggravante di cui all’art. 644 c.p., comma 5, n. 3) perché le prime consistono in una situazione -tale da privare la vittima di una piena libertà contrattuale, in astratto reversibile- meno grave del
secondo -consistente in uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile-, non tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma che comunque, comportando un impellente assillo, compromette fortemente la libertà contrattuale del soggetto, inducendolo a ricorrere al credito a condizioni sfavorevoli” .
Non va poi trascurato che lo stato di bisogno della parte lesa del delitto di usura può essere provato anche con la sola misura degli interessi, nel caso in cui siano di entità tale da far ragionevolmente presumere che solo un soggetto in tale stato possa contrarre il prestito a condizioni tanto inique e onerose. (Sez. 2, n. 51670 del 23/11/2023, COGNOME, Rv. 285670 – 01).
Sul punto il Gup aveva valorizzato l’entità degli interessi concordati fra COGNOME e COGNOME, per desumerne lo stato di bisogno di quest’ultimo. A fronte di tali argomenti, la difesa aveva formulato censure generiche che non superano il vaglio di ammissibilità, limitandosi a rilevare che lo stato di bisogno caratterizza ogni rapporto usurario.
La Corte di appello ha motivato la sussistenza dello stato di bisogno valorizzando in particolare l’impellente necessità del Frisullo di pagare i debiti contratti con l’Era per evitare ulteriori sanzioni; dette argomentazioni non appaiono manifestamente illogiche o contraddittorie, considerato che a tale originaria necessità si è poi all’evidenza aggiunta anche quella di ripianare un debito cresciuto esponenzialmente negli anni, come bene descritto nella sentenza di primo grado, che palesa la grave e non temporanea difficoltà in cui versava la persona offesa, incapace di far fronte alle pretese usurarie di cui era caduto vittima. A fronte di tali argomenti, la difesa ha formulato censure generiche che non superano il vaglio di ammissibilità, limitandosi a rilevare che lo stato di bisogno caratterizza ogni rapporto usurario.
3.Ricorso avv. COGNOME
3.1 Le censure formulate in relazione all’affermazione di responsabilità per le condotte di estorsione e tentata estorsione sono sovrapponibili a quelle dedotte con il primo e il secondo motivo del ricorso dell’avv. COGNOME sicché è sufficiente richiamare le motivazioni già esposte al riguardo ai paragrafi 2.1 e 2.2.
In ordine ai reati di usura, deve osservarsi che a dispetto di quanto sostenuto dal ricorrente, le censure formulate con l’appello erano effettivamente generiche in quanto si limitavano a censurare il giudizio di attendibilità delle persone offese, senza formulare rilievi specifici ed esporre le ragioni a supporto di critiche dal carattere apodittico fronte dell’articolata motivazione del GUP, che ha dato atto anche delle parziali ammissioni del De COGNOME, del tenore delle intercettazioni e della documentazione acquisita, che offrono significativo riscontro alle accuse dei due debitori.
La Corte ha di conseguenza richiamato e condiviso le argomentazioni offerte al riguardo dal GUP, che non erano state oggetto di specifiche censure tali da imporre al collegio di secondo grado un autonomo onere motivazionale.
Anche il ricorso peraltro si limita a reiterare le critiche generiche formulate in appello, sostenendo che i coniugi COGNOME hanno reso dichiarazioni contrastanti, senza
neppure allegare le divergenze del loro narrato, così formulando censure di merito che non attaccano l’ordito motivazionale della sentenza, ma si confrontano direttamente con
le fonti di prova, secondo una modalità che destina questa parte del ricorso a non superare il vaglio di ammissibilità.
3.2 Il motivo articolato in ordine al trattamento sanzionatorio rimane assorbito dall’annullamento della sentenza in relazione al più grave reato di estorsione contestato
al capo C, su cui era stata determinata la pena base, in quanto l’esclusione del delitto estorsivo impone una rimodulazione della pena complessiva in relazione ai residui reati
di tentata estorsione e di usura aggravata, per i quali l’affermazione di responsabilità
deve ritenersi irrevocabile.
4.Gli atti vanno trasmessi ad altra sezione della Corte di appello di Lecce che provvederà a rideterminare il trattamento sanzionatorio, tenendo conto delle attenuanti
generiche e di quella del risarcimento del danno, già concesse, per i reati contestati ai capi B, D,F e G, in relazione ai quali va dichiarata l’irrevocabilità dell’accertamento d
responsabilità.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo C perché il fatto non sussiste. Rigetta il ricorso nel resto e rinvia per la determinazione della pena sulle residue imputazioni ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce. Dichiara definitivo l’accertamento di responsabilità.
Roma 2 aprile 2025
La Consigliera est.
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NOME orsellino