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Minaccia e male ingiusto: quando è reato

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per minaccia. La Corte chiarisce che la prospettazione di un male ingiusto si configura anche quando si minaccia l’esercizio di un’azione formalmente legittima, come una denuncia, ma la si utilizza per scopi intimidatori e diversi da quelli previsti dalla legge, come danneggiare l’attività lavorativa o la salute della persona offesa.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Minaccia e Male Ingiusto: Quando un Diritto Diventa Reato

Minacciare qualcuno prospettandogli un male ingiusto è un reato previsto dal nostro codice penale. Ma cosa succede se il ‘male’ minacciato consiste nell’esercizio di un proprio diritto, come quello di sporgere denuncia? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna su questo tema delicato, tracciando una linea netta tra l’esercizio legittimo di una facoltà e il suo abuso a scopo intimidatorio. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere i confini del delitto di minaccia.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da una donna, condannata in primo e secondo grado per il reato di minaccia. L’imputata si era rivolta alla Corte di Cassazione sostenendo un’erronea interpretazione della legge penale. A suo avviso, le sue azioni non integravano l’elemento oggettivo del reato, in particolare la prospettazione di un “male ingiusto”. La minaccia contestata, infatti, consisteva nell’intenzione di denunciare le persone offese alle forze dell’ordine, ma con la finalità non di ottenere giustizia, bensì di provocare la chiusura della loro attività lavorativa e di causare un infarto a una delle vittime.

La Decisione della Corte e il concetto di minaccia male ingiusto

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: anche la minaccia di esercitare un diritto o una facoltà legittima può costituire reato. Il discrimine risiede nello scopo per cui tale diritto viene utilizzato. Se la finalità non è quella per cui l’ordinamento ha previsto quella facoltà, ma è invece quella di coartare la volontà altrui per conseguire un obiettivo illecito o dannoso, allora si configura una minaccia con male ingiusto.

Nel caso specifico, la minaccia di denuncia non era finalizzata a perseguire un presunto illecito, ma a intimidire le vittime per danneggiarle in ambiti totalmente diversi, come quello lavorativo e della salute personale. Questo uso strumentale e distorto di una facoltà legittima la trasforma in un male ingiusto ai sensi dell’articolo 612 del codice penale.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato la sua decisione su diversi pilastri giuridici.

In primo luogo, ha ricordato che il reato di minaccia è un “delitto di pericolo”. Questo significa che per la sua configurazione non è necessario che la vittima si senta effettivamente intimidita o che il male minacciato si verifichi. È sufficiente che la condotta dell’agente sia potenzialmente idonea a incutere timore e a ledere la libertà morale del soggetto passivo, valutando la situazione con un criterio medio e in base alle circostanze concrete.

In secondo luogo, i giudici hanno sottolineato l’irrilevanza del fine ultimo della minaccia ai fini della sua esistenza, ma la sua centralità nel definirne l’ingiustizia. Come stabilito da giurisprudenza precedente, “si richiede la prospettazione di un male futuro ed ingiusto la cui verificazione dipende dalla volontà dell’agente che può derivare anche dall’esercizio di una facoltà legittima la quale, tuttavia, sia utilizzata per scopi diversi da quelli per cui è tipicamente preordinata dalla legge”.

La sentenza impugnata aveva correttamente evidenziato proprio l’assenza di correlazione tra l’esercizio del diritto di denuncia e le finalità esorbitanti prospettate dall’imputata (la chiusura del CAF e l’infarto), che costituivano il vero male ingiusto.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa pronuncia della Cassazione ribadisce un principio di civiltà giuridica fondamentale: i diritti e gli strumenti legali non possono essere usati come armi improprie per vendette personali o scopi intimidatori. La linea di demarcazione è netta: un’azione è legittima se persegue lo scopo per cui è stata creata; diventa illecita e può integrare il reato di minaccia se viene brandita per terrorizzare e danneggiare una persona in modo sproporzionato e ingiustificato.

L’insegnamento è chiaro: prima di minacciare un’azione legale, è fondamentale assicurarsi che l’obiettivo sia la tutela di un proprio diritto e non la semplice volontà di nuocere alla controparte. L’abuso del diritto, come dimostra questo caso, può avere conseguenze penali significative.

Minacciare di denunciare qualcuno è sempre un reato?
No, non è sempre un reato. Diventa reato di minaccia quando la denuncia viene utilizzata come strumento per scopi diversi da quelli previsti dalla legge, ovvero per intimidire una persona al fine di arrecarle un danno ingiusto e non correlato alla tutela di un diritto (es. causare la chiusura di un’attività o un danno alla salute).

Perché il ricorso dell’imputata è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, per i reati di competenza del Giudice di Pace, il ricorso per cassazione è limitato a specifici motivi di diritto (previsti dalle lettere a, b, e c dell’art. 606 c.p.p.). Le censure dell’imputata riguardavano in gran parte vizi di motivazione, non consentiti in questa sede, e la dedotta violazione di legge è stata ritenuta manifestamente infondata.

Affinché si configuri il reato di minaccia, la vittima deve sentirsi effettivamente spaventata?
No, non è necessario. Il reato di minaccia è un “delitto di pericolo”, il che significa che è sufficiente che la condotta sia potenzialmente idonea a incutere timore e a ledere la libertà morale di una persona media, a prescindere dal fatto che la vittima si sia concretamente sentita intimidita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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