Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11995 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11995 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da Ente Provincia di Teramo
avverso l’ordinanza del Tribunale di Teramo del 3/10/2024
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso: udito il difensore l’avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 26.9.2024, il Tribunale di Teramo ha accolto l’appello presentato dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Teramo in data 11.9.2024 di rigetto della richiesta di sequestro preventivo del Liceo Classico “COGNOME” di Teramo, di proprietà della Provincia di Teramo, per il reato di cui all’art. 677, primo e terzo comma, cod. pen.
L’ordinanza ha premesso che il procedimento prende le mosse da un diverso procedimento iscritto nel 2023 per il reato di cui all’art. 95 d.P.R. 80 del 2001
in ordine alla realizzazione di lavori strutturali sull’edificio sede del Liceo classico in assenza di titolo abilitativo del Genio Civile. In tale primo procedimento, veniva conferito incarico di eseguire la valutazione di sicurezza dell’edificio ai sensi delle NTC (Norme Tecniche di Costruzione) del 2018 e, all’esito, l’architetto incaricato riteneva i lavori eseguiti conformi alla normativa, ma richiedeva al contempo la nomina di un ausiliario per eseguire lo studio di vulnerabilità sismica da sottoporre alla valutazione del Comitato Tecnico Amministrativo del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche.
Archiviato nel frattempo il procedimento iscritto nel 2023, veniva acquisita documentazione tecnica sulla base della quale il Comitato Tecnico procedeva alla verifica della correttezza dell’analisi svolta di vulnerabilità sismica. Il Comitato concludeva che l’analisi di vulnerabilità non consentisse l’utilizzo dell’edificio con il livello minimo di sicurezza richiesto dalla normativa tecnica e che l’ente usuario dovesse procedere secondo quanto previsto dalle norme tecniche di costruzione per garantire la pubblica incolumità.
Sulla scorta di tali conclusioni, il pubblico ministero qualificava i fatti in via provvisoria come integranti il reato di cui all’art. 677, terzo comma, cod. pen. e chiedeva il sequestro preventivo dell’edificio, rigettato dal G.i.p. con provvedimento dell’11.9.2024, avverso il quale lo stesso pubblico ministero proponeva appello.
Ciò posto, l’ordinanza del Tribunale del riesame, quanto al fumus commissi delicti, formula un giudizio positivo circa la sua sussistenza.
In particolare, quanto alla minaccia di rovina dell’edificio richiesto dall’art. 677, terzo comma, cod. pen., il Tribunale evidenzia che lo studio di vulnerabilità sismica elaborato dal Comitato Tecnico ha rilevato plurimi profili di criticità rispetto all’analisi svolta precedentemente nel 2016, ritenendo che un utilizzo più corretto dei parametri avrebbe restituito un livello di sicurezza più basso. In ogni caso, anche il livello degli studi precedenti, in relazione alle condizioni sismiche, risultava inferiore al limite minimo fissato dalla disciplina tecnica. Di conseguenza, non può condividersi – sostiene il Tribunale – il giudizio del G.i.p. di insussistenza del fumus commissi delicti fondato sulla esistenza di una discordanza tra le valutazioni tecniche succedutesi nel tempo: sia l’analisi del 2016, sia quella del 2024, invece, sono concordi nell’individuare un coefficiente di sicurezza dell’edificio in condizioni sismiche ben inferiore a quello minimo necessario. La discrasia tra le due valutazioni attiene esclusivamente al piano della severità del deficit di sicurezza, la cui esistenza risulta comunque univocamente condivisa. Questo dato, dunque, consente di ritenere configurato l’elemento costitutivo della minaccia di rovina, e cioè la esistenza di una condizione di pericolo, la cui concretezza e attualità sono
ulteriormente confortate dal grado sismico che connota la zona su cui insiste l’edificio, classificata come zona sismica di tipo 2.
L’omessa rimozione della situazione di pericolo, comprovata dalla relazione del 5 settembre 2024, determina una concreta probabilità di danno per l’incolumità pubblica: se è vero che il pericolo di rovina non implica ex se anche un pericolo per l’incolumità pubblica, questa correlazione, alla luce delle circostanze di specie, SI può dire integrata, solo se si consideri che l’edificio svolge plurime funzioni, tutte implicanti la perdurante presenza al suo interno di un elevato numero di persone. Né, rileva il Tribunale, sussistono elementi specifici da cui possa farsi derivare un’ipotetica insussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Quanto al presupposto del periculum in mora, l’ordinanza afferma che esso si deve ritenere concreto ed attuale alla luce della natura del bene e di tutte le circostanze di fatto, sicché esiste un legame funzionale essenziale tra il bene stesso e la possibile commissione di ulteriori reati o l’aggravamento e la prosecuzione di quelli per cui si procede.
Quanto, infine, alla conformità del sequestro al principio di proporzionalità, il Tribunale osserva che la consistenza del pericolo e il rango del bene giuridico su cui ricadrebbero gli effetti di una sua concretizzazione sono idonei a fondare un giudizio di prevalenza delle esigenze di tutela penale su quelle concernenti il destinatario della misura reale, considerato che, allo stato, lo stesso risultato non può essere garantito per il tramite di misure meno invasive; né potrebbero deporre in senso contrario all’apposizione del vincolo eventuali difficoltà logistiche conseguenti al sequestro della struttura, le quali non possono prevalere sulla esigenza di garantire l’incolumità delle persone che nell’edificio conducono la loro attività di studio e di lavoro.
Avverso la predetta ordinanza ha proposito ricorso l’Ente Provincia di Teramo, articolandolo in quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la nullità dell’ordinanza in relazione agli artt. 178, comma 1, lett. b), e 414 cod. proc. pen.
La stessa ordinanza del riesame dà atto che il procedimento prende le mosse da diverso procedimento, definito con decreto di archiviazione del 20.6.2024 per i reati di cui agli artt. 93 e 94 DPR 380/2001, nel quale era stato nominato il consulente che aveva poi sollecitato al pubblico ministero la nomina di un ausiliario. Gli atti del secondo procedimento fanno tutti riferimento a quelli del primo e anche la notizia di reato sulla base della quale viene iscritto il nuovo procedimento fa riferimento a quello archiviato.
Non c’è stato il decreto di riapertura delle indagini ex art. 414 cod. proc. pen.: da ciò discende l’inutilizzabilità degli atti compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e l’inibizione di iniziative cautelari. Il ricorso evidenzia che sussiste identità del fatto ogni volta che vi sia una corrispondenza storico-naturalistica, che prescinde dall’inquadramento giuridico; la medesimezza del fatto va valutata alla stregua delle concrete circostanze di fatto e spazio-temporali e non rileva che il secondo procedimento sia stato iscritto a carico di ignoti.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. la erronea applicazione del DM 17.1.2018 (NTC 2018) rispetto all’art. 677 cod. pen. quanto alla sussistenza del pericolo di rovina.
Il tribunale ha omesso di considerare che la valutazione sulla sicurezza disciplinata dalle NCT si applica esclusivamente al ricorrere di specifici interventi sugli edifici e non per definire a fini generali di incolumità pubblica le condizioni di sicurezza minime per consentirne l’uso. Ha errato a considerare i parametri maggiormente cautelativi previsti dalle NTC del 2018 per una valutazione di sicurezza generale che fonderebbe l’elemento costitutivo del pericolo previsto dall’art. 677, terzo comma, cod. pen.
2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la erronea applicazione dell’art. 677, terzo comma, cod. pen.
L’ordinanza impugnata afferma apoditticamente la sussistenza di un deficit di sicurezza dell’edificio in condizioni sismiche, senza addurre elementi da cui far derivare la sussistenza del pericolo di rovina, incentrato unicamente sulla valutazione di sicurezza alla stregua delle NTC.
Si confonde il pericolo concreto richiesto dall’art. 677 cod. pen. con la valutazione meramente probabilistica del rischio insito nella formulazione delle norme tecniche che configurano standard di sicurezza in astratto. Gli artt. 93 e 94 d.P.R. n. 380 del 2001 sono reati di pericolo presunto, incentrati su violazioni formali. La circostanza che un edificio non corrisponda agli indici di sicurezza sismica non può costituire il presupposto per imporre un intervento di salvaguardia urgente: l’indice di sicurezza sismica esprime un parametro semi-probabilistico, che non assume valenza autonoma ai fini della sussistenza del pericolo di crollo.
2.4 Con il quarto motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza dell’art. 321 cod. proc. pen. con riferimento al difetto di proporzionalità tra il vincolo cautelare e il sacrificio imposto alla collettività.
Il giudice deve motivare adeguatamente sull’impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva oppure limitare l’oggetto del sequestro. Il Tribunale non ha tenuto conto che nella
consulenza tecnica si osservava che le misure restrittive dell’uso della costruzione avrebbero potuto essere valutate porzione per porzione dell’edificio.
In data 14.12.2024, il difensore del ricorrente ha fatto pervenire una memoria, allegandovi documentazione varia, con cui ha altresì proposto un ulteriore motivo di ricorso, deducendo violazione degli artt. 309, 324, 127 cod. proc. pen. perché non è stata garantita una procedura camerale partecipata.
Il procedimento è stato iscritto a carico di ignoti, in violazione dell’art. 335 cod. proc. pen., essendo noto l’ente proprietario, cui è stato notificato solo in data 3.10.2024 il provvedimento impugnato: la Provincia di Teramo, dunque, non aveva cognizione alcuna del procedimento e del provvedimento prima della notifica.
Nella specie, l’Ente Provincia non può considerarsi un mero soggetto terzo interessato, cui è riconosciuta la facoltà di intervento. L’intervento dell’Ente Provincia non era funzionale al mero diritto di proprietà, bensì destinato a garanzia della intera collettività e dei fondamentali diritti che vengono in gioco, diritti dei quali occorre tener conto nel bilanciamento degli interessi colpiti e preclusi dalla procedura cautelare non partecipata, seguita dal Tribunale di Teramo. Da ultimo, non va trascurato che la decisione impugnata ha comportato irriducibili preclusioni di merito in cui il ricorrente è inevitabilmente incorso, esplicando per la prima volta le proprie difese in sede di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere disatteso per le ragioni di seguito esposte.
Ragioni di ordine logico impongono di prendere in considerazione dapprima il motivo – di tipo processuale – proposto con la memoria da ultimo depositata, che, sebbene tardiva, pone una questione da decidersi ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen.
Questa Corte ha costantemente affermato che, in caso di appello del pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di sequestro preventivo, il Tribunale investito dell’impugnazione non è tenuto a dare avviso a tutti coloro che possono considerarsi terzi interessati (Sez. 2, n. 22153 del 22/2/2013, Ucci, Rv. 255951 – 01; Sez. 5, n. 19890 del 27/1/2012, COGNOME, Rv. 252519 – 01; Sez. 3, n. 8179 del 27/1/2010, COGNOME, Rv. 246219 – 01).
Secondo siffatta giurisprudenza, il richiamo alle forme dell’art. 127 cod. proc. pen. da parte delle disposizioni contenute negli artt. 309 e ss. cod. proc. pen, non
può essere considerato come un richiamo generalizzato e incondizionato a tutte le disposizioni contenute nella predetta norma, tale da imporre in ogni caso l’adozione di una procedura camerale partecipata, a pena di nullità (comma 5), da tutti i soggetti “interessati” (comma 1). Sono gli stessi artt. 309 e 324 cod. proc. pen., infatti, che in più occasioni operano una distinzione all’interno della più ampia categoria degli interessati mediante l’individuazione dei soggetti legittimati a proporre l’istanza di riesame o l’appello.
E una tale distinzione opera proprio nel caso in cui vi sia un atto di appello del pubblico ministero, diretto contro il rigetto da parte del giudice delle indagini preliminari di una istanza di sequestro preventivo; istanza che instaura una procedura inaudita altera parte e, dunque, non partecipata, in quanto il legislatore ha ritenuto di escludere l’emissione del provvedimento di sequestro dai provvedimenti che richiedono un contraddittorio preventivo. Del resto, l’appello ha natura devolutiva, così che il tribunale del riesame viene a sostituire il giudice delle indagini preliminari nelle determinazioni oggetto della materia devoluta.
Muovendo da tali premesse, deve rilevarsi che l’art. 322-bis cod. proc. pen. prevede che contro «le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero» possono proporre appello due diverse categorie di soggetti: le parti della vicenda procedurale, e cioè il pubblico ministero e l’indagato e il suo difensore; le persone che sono direttamente interessate dalle conseguenze del sequestro, e cioè «la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione». Tale seconda categoria può, però, proporre appello soltanto avverso un provvedimento che imponga il sequestro o che ne mantenga gli effetti, perché soltanto un interesse immediato derivante dall’avvenuta lesione della disponibilità del bene e non anche un interesse non immediato o eventuale legittima le persone diverse dall’indagato a invocare l’intervento del tribunale.
Appare evidente, dunque, che la regola generale fissata dall’art. 127, comma 1, cod. proc. pen. trova una limitazione quanto alla stessa legittimazione ad introdurre la procedura. Tale soluzione non comporta alcuna violazione del diritto di difesa dei terzi, così come non la comporta il decreto di sequestro emesso inaudita altera parte dal giudice delle indagini preliminari. E ciò, anche perché nei confronti del terzo non partecipe della procedura non può essere opposta alcuna forma di preclusione, con la conseguenza che, nell’ipotesi di adozione della misura cautelare, egli potrà – compatibilmente con il rito – far valere considerazioni critiche concernenti sia il fumus di reato sia l’esistenza di specifiche esigenze cautelari (Sez. 3, n. 43548 del 27/4/2016, COGNOME, Rv. 267924 – 01).
Il motivo, pertanto, è manifestamente infondato.
2. Quanto al primo motivo dell’originario ricorso, deve premettersi che la preclusione processuale ex art. 414 cod. proc. pen. derivante dall’omessa riapertura delle indagini dopo l’intervenuta archiviazione richiede che si sia in presenza dello stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato (Sez. 6, n. 44864 del 14/9/2023, 0., Rv. 285448 – 01; Sez. U, n. 33885 del 24/6/2010, COGNOME, Rv. 247834 – 01).
Questo vuol dire che la detta preclusione impedisce al giudice di procedere contro la stessa persona per il medesimo fatto su cui è stata disposta l’archiviazione, ma non di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo in riferimento a diverso reato, dovendo la vicenda essere valutata alla luce di tutte le sue implicazioni penali.
Nel caso di specie, può ritenersi che i fatti oggetto della precedente archiviazione e quelli per i quali è stato disposto il sequestro preventivo siano diversi, in quanto l’archiviazione è intervenuta in un procedimento iscritto a carico di noti per violazioni di natura edilizia, laddove il procedimento nel quale è intervenuto il sequestro è stato iscritto a carico di ignoti per la diversa ipotesi di reato di cui all’art. 677, terzo comma, cod. pen.
La limitata efficacia preclusiva del decreto di archiviazione non opera, dunque, quando – come nella vicenda in questione – la carenza di elementi idonei a giustificare il proseguimento delle indagini è stata dichiarata per un indagato e per un reato diversi da quelli in relazione ai quali è stato successivamente iscritto un altro procedimento.
Il motivo, pertanto, deve essere disatteso.
Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, in quanto entrambi attinenti alla qualificazione giuridica del fatto.
Il ricorso lamenta, in sostanza, che il Tribunale di Teramo abbia erroneamente ritenuto che la valutazione sulla sicurezza disciplinata dalle Norme Tecniche di Costruzione fosse suscettibile di essere presa in considerazione per ricavarne la sussistenza del pericolo di rovina dell’edificio, richiesto dall’art. 677 cod. pen., e che, pertanto, abbia confuso il pericolo concreto previsto dalla detta disposizione con la valutazione solo probabilistica del rischio collegato astrattamente alla inosservanza dei parametri tecnici di costruzione.
A questo proposito, deve premettersi che la motivazione del Tribunale richiama diffusamente lo studio del Comitato Tecnico, il quale ha rilevato plurimi profili di criticità rispetto al fatto che il livello di sicurezza in relazione alle condizion sismiche risultava ben inferiore al limite minimo necessario fissato dalla disciplina tecnica e che, pertanto, ciò non consentiva l’utilizzo del fabbricato in difetto della osservanza delle norme tecniche di costruzione.
Si tratta di una situazione che, in quanto attestante uno stato dell’edificio tale da farne temere il crollo, è ben suscettibile di integrare la minaccia di rovina prevista dall’art. 677 cod. pen., la quale peraltro ricorre anche quando solo una parte dell’edificio sia pericolante (Sez. 1, n. 12721 del 7/3/2007, Orza, Rv. 236381 – 01; Sez. 1, n. 4779 dell’11/2/1985, COGNOME, Rv. 169218 – 01).
A questo proposito, deve necessariamente considerarsi che il reato di cui all’art. 677 cod. pen. è compreso tra le “contravvenzioni concernenti la pubblica incolumità” e che, pertanto, è rivolto alla tutela di un bene giuridico di rango primario, connotato da un elevato grado di concretezza.
Rientra tra i reati di pericolo, in progressiva espansione nel diritto penale moderno, il quale prende in considerazione i risultati lesivi che possono derivare da una condotta, e ciò in funzione della conservazione di determinati beni giuridici che richiede l’incriminazione della messa in pericolo del bene stesso, con la conseguente anticipazione della soglia di tutela e della punibilità.
In questo contesto, assume peculiare rilievo il fenomeno dell’emanazione di norme preventive, volte ad impedire che il rischio connesso ad alcune attività si traduca in un danno per l’incolumità pubblica.
Ciò posto, il Tribunale ha allora adempiuto anche all’onere di motivare circa il fatto che lo stato di cose accertato dal Comitato Tecnico avesse determinato l’insorgenza di un pericolo concreto per la pubblica incolumità, il quale deve essere oggetto di specifico accertamento da parte del giudice (Sez. 1, n. 34549 del 19/5/2022, Traina, Rv. 283450 – 01).
Sotto questo profilo, l’ordinanza impugnata ha dato atto in modo congruo che la condizione di pericolo conseguente all’inosservanza delle norme tecniche fosse concreta ed attuale, alla luce del fatto che, per un verso, l’edificio in questione ha una destinazione funzionale allo svolgimento di plurime attività e servizi di rilevanza pubblica implicanti la presenza al suo interno di un numero elevato di persone e che, per l’altro, la zona nella quale è situato l’edificio è classificata come zona sismica di tipo 2.
Quest’ultimo, in particolare, costituisce un aspetto idoneo a concorrere in maniera significativa nell’apprezzamento del pericolo concreto per la incolumità della collettività.
La minaccia di rovina può derivare da una intrinseca inidoneità della costruzione, per i materiali adoperati o per il tempo trascorso dalla sua edificazione, a conservarsi in astratto e in qualunque situazione.
Ma, rispetto al bene giuridico della tutela della pubblica incolumità e sul piano dell’accertamento della concretezza del pericolo, rileva senza dubbio anche l’idoneità dell’edificio a garantire condizioni di sicurezza rispetto alla situazione del luogo nel quale sorge. In questo senso, il rischio di sisma, valutato in termini no
astratti e identici per tutto il territorio, ma alla luce delle peculiarità delle diverse zone di classificazione, deve essere adeguatamente considerato, ciò cui il Tribunale ha opportunamente proceduto sulla base di una argomentata disamina delle ragioni tecniche rappresentate dal Comitato Tecnico.
Dunque, il Tribunale ha fatto buon governo dei criteri di valutazione della probabile relazione tra un fatto – l’inosservanza delle Norme Tecniche di Costruzione in una misura rilevante – e l’evento dannoso (la rovina dell’edificio), formulando un giudizio ex ante, secondo scienza ed esperienza, di probabilità del verificarsi dell’evento di danno, in cui ha tenuto conto anche della incidenza di fattori conosciuti e prevedibili che possono inserirsi nella catena di eventuale verificazione dell’evento.
In questa valutazione non sono stati impiegati criteri solo formali, riconducibili alla astratta violazione delle norme tecniche di costruzione, ma è stata in modo congruo data rilevanza a comprovati elementi tecnici, su cui è stata correttamente ricostruita la sussistenza del pericolo derivante per la incolumità delle persone con una motivazione immune da insanabili vizi rilevabili in questa sede di legittimità per le misure cautelari reali.
L’ordinanza impugnata, in definitiva, ha operato, sulla base della provvisoria situazione indiziaria e in conformità alla funzione preventiva dei reati di pericolo, una corretta applicazione della norma incriminatrice, dando conto delle ragioni per le quali è da ritenersi che gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 677, terzo comma, cod. pen., siano rimasti, allo stato, integrati nei fatti oggetto del procedimento.
Del resto, se è vero che nella valutazione del fumus commissi delicti, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice non può limitarsi alla semplice verifica astratta della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall’accusa e deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, ciò, però, significa, non che possa sindacare la concreta fondatezza dell’accusa, ma che debba solo accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato (cfr. Sez. 3, n. 8152 del 12/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285966 – 01; Sez. 5, n. 49596 del 16/9/2014, COGNOME, Rv. 261677 – 01).
Il motivo, dunque, deve essere disatteso.
4. Per quello che riguarda, infine, il quarto motivo, deve ricordarsi che i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche al sequestro preventivo ed impongono al giudice di motivare adeguatamente sulla impossibilit’
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di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva, al fine di evitare un’esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata (Sez. 2, n. 29687 del 28/5/2019, COGNOME, Rv. 276979 – 01).
In questa prospettiva, è da ritenersi che il Tribunale di Teramo, una volta considerato sussistente il pericolo attuale e concreto di rovina, abbia convenientemente motivato circa la prevalenza delle esigenze di tutela dell’incolumità delle persone su quelle rappresentate dal destinatario della misura reale.
È del tutto ragionevole sostenere che non possa stimarsi adeguata a prevenire i pericolo del crollo, con le conseguenze che ne deriverebbero a quanti praticano l’edificio per ragioni di studio e lavoro, altro tipo di cautela meno invasiva. Si tratta, invero, di un luogo che – secondo l’ordinanza impugnata, non smentita sul punto dal ricorso – è frequentato quotidianamente da centinaia di persone, la cui incolumità ben difficilmente potrebbe trovare tutela senza inibire l’uso dell’edificio a rischio di crollo e, contestualmente, l’accesso ad esso da parte di terzi.
Si è al cospetto, dunque, di una motivazione che non è ulteriormente sindacabile in sede di legittimità, tenuto conto che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere unicamente quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, COGNOME, Rv. 239692 – 01).
Non è il caso di specie, sicché anche questo motivo è, pertanto, infondato.
A quanto fin qui complessivamente osservato, consegue, dunque, che il ricorso debba essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20.12.2024