Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14490 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14490 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di: COGNOME COGNOME nato a Bari il 09/05/1971, avverso la sentenza del 23/01/2024 della Corte di appello di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato il ricorso e la memoria difensiva; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, nella persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi i difensori del ricorrente, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno insistito per l’annullamento della sentenza impugnata.
La Corte di appello di Bari, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava integralmente la sentenza emessa dal GUP del Tribunale del medesimo circondario il 13 luglio 2022, era quindi confermata pure la qualificazione giuridica estorsiva della condotta contestata, commessa ai danni di NOME COGNOME amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE
1.1. La originaria imputazione, che vedeva il ricorrente imputato del delitto di estorsione, per aver pattuito (tra privati) con l’amministratore della società Janco Best la consegna di una percentuale sul valore dei lavori affidati dalla RAGIONE_SOCIALE s.p.a., era novata dal P.m. in udienza preliminare in quella di estorsione, per avere costretto NOME COGNOME a consegnare (in due distinte e ravvicinate occasioni, nel giugno e luglio 2018) la somma complessiva di 13.000 euro (8000 + 5000) con la minaccia di ritardare o non completare i pagamenti degli stati di avanzamento dei lavori di una “tramoggia” appaltati alla RAGIONE_SOCIALE
Tale condotta era ritenuta dimostrata (come fatto costituente reato) nella parte relativa alla minaccia di ritardare i pagamenti delle ultime tranches, ove il COGNOME non avesse versato al COGNOME le somme inizialmente pattuite quali corrispettivo per i lavori affidati alla RAGIONE_SOCIALE. La Corte di appello h stimato consumato il delitto di estorsione contestato a NOME COGNOME (socio e consigliere di amministrazione della committente IPM), per avere -a seguito della iniziale pattuizione con NOME COGNOME amministratore di fatto della appaltatrice Janco Best, avente ad oggetto il riconoscimento in suo favore del 15% dell’intero corrispettivo ad essa spettante per la costruzione di una tramoggia- costretto il medesimo a corrispondergli euro 13.000,00 tra giugno (€8.000,00) e luglio (€5.000,00) 2018, in esecuzione degli impegni presi, mediante minaccia consistita nel prospettare l’omissione o il ritardo dei residui pagamenti dovuti dalla IPM, correlati alla esecuzione ultimativa dell’opera.
Avverso tale sentenza ricorre l’imputato, a mezzo dei difensori di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione le ragioni in appresso sinteticamente indicate, nei limiti dettati dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:
2.1. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, vizi esiziali di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen.), avendo la Corte confermato l’affermazione della responsabilità erroneamente riconoscendo l’ingiustizia del male minacciato, atteso che al momento della ritenuta minaccia non poteva più realizzarsi alcun ritardo nei pagamenti di quanto dovuto alla NOMECOGNOME che -a quella data- aveva già ricevuto più di quanto avesse diritto a ricevere; non si è pertanto realizzato, né poteva minacciarsi a quella data alcun
ritardo nei pagamenti. La minaccia di non corrispondere un pagamento non dovuto (alla data della minaccia) non può quindi costituire male ingiusto. Sul punto dedotto con i motivi di gravame la motivazione della Corte territoriale è del tutto apparante, se non mancata.
2.2. Violazione e falsa applicazione della norma incriminatrice (art. 606, comma 1, lett. b,cod. proc. pen., in relazione all’art. 629 cod. pen.), per avere la Corte, con la sentenza impugnata, erroneamente applicando la legge penale, ritenuto sussistente l’ingiusto profitto dell’agente, con corrispondente danno del soggetto vessato, atteso che la somma pretesa dall’agente era frutto di un accordo illecito; dunque, il credito certamente non sarebbe stato esigibile. L’accordo, invero, giammai poteva ritenersi illecito, atteso che il patto corruttivo tra privati (art. 2635 cod. civ.), ancorché procedibile a querela contraente debole, non poteva ritenersi integrato, sia per difetto della qualifica di amministratore del COGNOME (socio e consigliere di amministratore in bianco di deleghe), che per l’assenza della condotta tipica, non avendo il contraente forte violato alcun obbligo di fedeltà nei confronti della società di cui era socio. La somma di euro 13.000 è stata ricevuta dall’imputato in esecuzione di un accordo ritenuto perfettamente lecito, una forma di procacciamento di affari.
2.3. Vizio esiziale di motivazione, per mancanza o intima contraddittorietà, (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), per avere la Corte ritenuto sussistente (sulla base di mere supposizioni) la condizione di difficoltà economica della persona offesa e la concreta capacità dell’imputato di incidere nei pagamenti della IPM, che erano viceversa nella esclusiva disponibilità decisionale dell’amministratore delegato NOME COGNOME.
2.4. Il medesimo vizio motivazionale è dedotto con il quarto motivo di ricorso, avendo la Corte ritenuto di individuare un nesso eziologico, viceversa inesistente, tra minaccia del male ingiusto e costrizione al pagamento del dovuto. Tra le parti (IPM e NOME Best) era stato stipulato un contratto scritto, che prevedeva precise cadenze nei pagamenti degli stati d’avanzamento, tale aspetto è stato trascurato nei due gradi di giudizio di merito, talché il dato probatorio trascurato vale ad escludere qualsiasi rapporto strumentale ed eziologico tra minaccia e costrizione, in quanto la vittima non è stata posta nella impossibilità di determinarsi e scegliere l’alternativa tra l’agire e il non agire, ma ben avrebbe potuto -eventualmente- agire giudizialmente con certezza di soddisfazione delle proprie pretese, nell’ipotesi in cui non avesse ricevuto i pagamenti nei termini stabiliti (19 luglio e il 19 agosto 2018), di molto successivi alla corresponsione del denaro all’imputato, e, ancor prima, chiederne direttamente conto a NOME COGNOME come peraltro aveva già fatto il 21 giugno 2018.
2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione (art.606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen., in relazione all’art. 629 cod. – pen., per avere la Corte di merito, alla stregua di motivazione contraddittoria, applicando erroneamente la legge penale, ritenuto sussistente il danno. Rapportando infatti il valore dei lavori realmente portati a termine e l’ammontare della retribuzione dell’imputato, la persona offesa non ha subito alcuna effettiva deminutio patrimonii. Avendo anzi lucrato un ragguardevole differenziale positivo.
2.6. Violazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 393 e 629 cod. pen.), per avere la Corte mal qualificato il fatto, trattandosi al più di esercizio arbitrario delle proprie ragion con violenza o minaccia alle persone, ma giammai estorsione. L’imputato infatti agì, a tutto voler concedere, nella convinzione non irragionevole di azionare un preteso diritto, scaturente da un accordo liberamente perfezionatosi tra parti.
2.7. La Corte infine avrebbe escluso la lieve entità del fatto (Corte costituzionale n. 120 del 2023), in tal senso dovendosi interpretare il complessivo svolgimento degli accadimenti, largamente consensuali.
2.8. Con memoria tempestivamente trasmessa a mezzo p.e.c., la difesa ampliava il tema dei motivi di ricorso già proposti, valorizzando in proposito una recente decisione di questa stessa Sezione (sent. n. 6591/2024) che ha escluso la qualificazione estorsiva “precontrattuale” in fattispecie (induzione a versare una somma di denaro propedeutica alla assunzione presso una struttura privata) nella quale difettava il danno per il soggetto vessato, che non avrebbe subito altro nocumento se non quello di restare inoccupato, come già prima della induzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi primo, secondo, quinto e sesto del ricorso sono fondati. I censurati deficit motivazionali devono essere colmati in sede di rinvio.
Siè detto, nel ritenuto in fatto, che il cuore della qualificazione estorsiva dei fatti contestati e ritenuti in sentenza è dato dalla ritenuta costrizione della vittima a versare parte di quanto originariamente pattuito con l’imputato, pena il ritardo nei pagamenti di quanto dovuto per le opere già realizzate dalla RAGIONE_SOCIALE. Tuttavia, la precisa cronologia dei pagamenti liquidati dalla IPM in favore della RAGIONE_SOCIALE, specificamente valorizzata con i motivi di gravame, se posta a confronto con le date delle due consegne di denaro all’imputato (8.000 e 5.000 euro, nel giugno e luglio 2018), mette in seria discussione la sussistenza del
IV
“sinallagma criminale”, giacché la difesa aveva documentalmente dimostrato che al momento – delle ravvisate minacce del COGNOME (attivarsi con l’amministratore della IPM per non dar corso ai regolari pagamenti), i versamenti già effettuati avevano in realtà coperto molto più di quanto la NOME potesse pretendere dalla committenza. Il che evidentemente riverbera effetti esiziali sulla ingiustizia del male minacciato.
1.1. Orbene, sul punto la motivazione della Corte di appello è mancata, avendo assiomaticamente ritenuto l’ingiustizia del male minacciato in sé, prescindendo da quanto effettivamente (in relazione allo stato di avanzamento dei lavori ed a quanto oggetto del contratto di affidamento delle opere di edificazione della tramoggia) dovesse ritenersi al momento dovuto alla RAGIONE_SOCIALE.
Del pari deve ritersi per il quinto motivo di ricorso.
2.1. L’orientamento non contrastato di questa Corte esclude che possa configurarsi il reato di estorsione quando la minaccia intervenga nel momento genetico del rapporto di lavoro, quando esso non è ancora in essere e, anzi, la minaccia costituisca la condizione cui viene subordinata l’assunzione (Sez. 6, n. 6620 del 03/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282903 – 01; Sez. 2, n. 27556 del 17/05/2019, Amico, Rv. 276118 – 01; Sez. 2, n. 21789 del 04/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275783 – 01; da ultimo, Sez. 2, n. 6591 del 16/01/2024, Ferrara, non mass.): «non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, al momento dell’assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l’alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell’opportunità di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d’opera sottopagate, ciò non significa che l’ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione.».
2.2. Nella concreta fattispecie, in continuità analogica con detto principio di diritto, i giudici di merito, nella conformità verticale di giudizio, hanno ritenuto che non vi fosse danno per il contraente debole che volontariamente aveva pattuito con il contraente forte il versamento di una somma per addivenire al perfezionamento dell’accordo contrattuale, che altrimenti sarebbe mancato.
Se è dunque questa la ratio che ha orientato la decisione di merito, non è chiaro quale danno possa aver attinto la Janco Best ed il suo amministratore di fatto, NOME COGNOME nel versare parte di quanto dovuto in esecuzione di un accordo espressione della precisa volontà dei contraenti, a meno di non voler scorporare la dazione dalla sua fonte e ritenerla autonoma. Versata, dunque, non in esecuzione di un precedente accordo, ma in ragione di una autonoma e
successiva pressione costrittiva, non vincibile. Il che però confligge con quanto appena sopra ricostruito in diritto (sub 1.).
2.3. Ancora una volta la motivazione della Corte di merito sul punto è
mancata, avendo ritenuto che il danno per la vittima consistesse nella consegna di una somma non dovuta, il che contrasta con la cronologia degli adempimenti
illustrata con i motivi di gravame, in quanto la RAGIONE_SOCIALE avrebbe ricevuto pagamenti per lavori non ancora effettuati, con un risparmio di spesa ben
superiore all’ammontare dei versamenti effettuati in favore dell’imputato.
3. Ancora (secondo e sesto motivo), se l’accordo iniziale non era penalmente illecito, come ritenuto in primo e secondo grado (quanto meno per difetto della
condizione di procedibilità, oltre che per la dubbia consistenza di una reale infedeltà del dirigente verso l’impresa), la pretesa dell’agente doveva ritenersi
supportata dalla non irragionevole convinzione di agire per l’adempimento di una prestazione dovuta. Il che secondo il diritto vivente (Sez.
U., n. 29541 del
16/07/2020, NOME, Rv. 280027-02) vale ad immutare il titolo del reato da estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona
(art. 393 cod. pen.). Sul punto la motivazione appare nel suo complesso contraddittoria, la conciliabilità logica tra le due opzioni andrà chiarita nella sede di rinvio.
In ordine al terzo, al quarto ed all’ultimo motivo di ricorso, la Corte territoriale ha logicamente argomentato il proprio convincimento, attingendo in maniera certamente non travisata a circostanze di fatto che solo il giudice di merito può conoscere e valorizzare, come ha fatto, in motivazione.
La sentenza va, per l’effetto, annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari, che, attenendosi ai principi di diritto affermati sopra, colmerà le ravvisate lacune motivazionali fornendo adeguata e congruente risposta argomentativa ai motivi di gravame svolti nel merito della penale responsabilità dell’imputato.
P.Q.M.
con rinvio per Annulla la sentenza impugnata della Corte di g appello di Bari. nuovo giudizio ad altra Sezione
Così deciso il 5 marzo 2025.