LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Minaccia di autolesionismo: reato contro pubblico ufficiale

Un detenuto si oppone al trasferimento minacciando il suicidio e compiendo atti di autolesionismo. La Cassazione conferma la condanna per violenza a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.), stabilendo che la minaccia di autolesionismo è un male ingiusto idoneo a coartare la volontà degli agenti. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi addotti sono stati ritenuti manifestamente infondati.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Minaccia di autolesionismo: quando diventa reato contro un Pubblico Ufficiale

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso complesso e delicato, stabilendo un principio fondamentale: la minaccia di autolesionismo può integrare il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale. Questa decisione chiarisce i confini tra una legittima protesta e una condotta penalmente rilevante, specialmente in contesti ad alta tensione come gli istituti penitenziari. L’analisi della Suprema Corte offre spunti cruciali per comprendere come la legge bilanci la tutela della funzione pubblica con le azioni di chi si oppone ad essa, anche attraverso gesti estremi rivolti contro sé stessi.

I Fatti del Caso: La Protesta di un Detenuto

Il caso ha origine dalla condotta di un detenuto che, per opporsi al suo trasferimento presso un altro istituto penitenziario, ha posto in essere una serie di atti lesivi contro la propria persona. In particolare, l’uomo si è prima procurato tagli alle braccia e all’addome con una lametta, si è strofinato il volto con peperoncino e ha ingerito due batterie. Successivamente, ha inveito contro gli agenti penitenziari, minacciando di darsi fuoco e affermando che sarebbe uscito da lì “solo morto”.
La Corte d’Appello aveva riqualificato la sua condotta da resistenza a pubblico ufficiale a violenza o minaccia a pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 336 del codice penale, confermando la sua responsabilità. Contro tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua condotta non potesse essere configurata come tale.

La Decisione della Cassazione sulla minaccia di autolesionismo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi presentati manifestamente infondati. I giudici hanno confermato in toto la valutazione della Corte d’Appello, solidificando un importante principio giuridico. La Suprema Corte ha stabilito che anche il comportamento con cui un soggetto minaccia di togliersi la vita o di procurarsi lesioni per ritorsione contro un atto legittimo della pubblica amministrazione costituisce reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale. Ciò avviene quando la minaccia è idonea a intralciare la pubblica funzione, poiché il male prospettato, sebbene rivolto contro sé stessi, è considerato “ingiusto” in quel contesto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le motivazioni della Corte si basano su due pilastri fondamentali.

Il primo riguarda la qualificazione della minaccia di autolesionismo come “male ingiusto”. La Corte ha ritenuto che la condotta del detenuto, pur essendo diretta contro la sua stessa persona, avesse un carattere minaccioso e aggressivo finalizzato a coartare la volontà dei pubblici ufficiali. L’obiettivo era impedire l’esecuzione di un ordine legittimo (il trasferimento). In quest’ottica, la minaccia di un danno alla propria integrità fisica diventa uno strumento di pressione illecita, e quindi un male “ingiusto” ai sensi dell’art. 336 c.p., volto a turbare il corretto svolgimento della funzione pubblica.

Il secondo pilastro affronta la questione della contemporaneità tra la condotta e l’atto d’ufficio. La difesa sosteneva che le minacce fossero state proferite prima che gli agenti iniziassero materialmente l’atto di trasferimento. La Cassazione ha respinto questa tesi, richiamando un precedente (Sez. 6, n. 13465/2023) secondo cui la locuzione “mentre compie l’atto del suo ufficio” non si limita all’istante esatto dell’esecuzione, ma si estende anche alle fasi immediatamente precedenti e successive, se direttamente funzionali al completamento dell’atto stesso. Poiché le minacce erano chiaramente finalizzate a impedire l’imminente trasferimento, il requisito della contemporaneità è stato ritenuto soddisfatto.

Infine, la Corte ha giudicato inammissibili anche i motivi relativi alla pena, confermando la valutazione dei giudici di merito sulla pericolosità sociale dell’imputato, desunta dai suoi numerosi precedenti penali, e ritenendo congrua la pena di sette mesi di reclusione.

Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione ribadisce con fermezza che la tutela del regolare svolgimento delle funzioni pubbliche è un bene giuridico di primaria importanza. La decisione chiarisce che qualsiasi forma di minaccia, inclusa quella di autolesionismo, se utilizzata come strumento per ostacolare o influenzare indebitamente l’operato di un pubblico ufficiale, travalica i limiti della protesta e assume rilevanza penale. Il principio affermato ha importanti implicazioni pratiche, specialmente in contesti sensibili, e serve da monito sul fatto che la legge non tollera che la minaccia di un danno, anche autoinflitto, venga strumentalizzata per paralizzare l’azione della pubblica amministrazione.

Minacciare di farsi del male per opporsi a un atto di un pubblico ufficiale è reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la minaccia di autolesionismo integra il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.) perché il male prospettato è considerato “ingiusto” e idoneo a intralciare la pubblica funzione.

Perché la minaccia di autolesionismo è considerata un male “ingiusto”?
La sentenza stabilisce che il male prospettato attraverso l’autolesionismo è ingiusto quando è finalizzato a coartare la volontà dei pubblici ufficiali per impedire un atto legittimo del loro ufficio, come in questo caso un trasferimento penitenziario.

Il reato si configura anche se la minaccia avviene prima che l’atto d’ufficio sia completato?
Sì. La Corte chiarisce che la condotta criminosa non deve avvenire solo nell’istante esatto in cui si compie l’atto d’ufficio, ma può comprendere anche le fasi immediatamente precedenti e successive, purché siano direttamente funzionali al compimento dell’atto stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati