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Minaccia con arma: niente tenuità del fatto

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un uomo condannato per minaccia aggravata dall’uso di una pistola. La Corte ha stabilito che la minaccia con arma è un fatto intrinsecamente grave che non può beneficiare della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis c.p. La gravità della condotta, data dall’effetto intimidatorio dell’arma, è sufficiente a escludere tale beneficio, senza che il giudice debba analizzare altri elementi potenzialmente favorevoli all’imputato. Confermato anche il risarcimento del danno morale liquidato in via equitativa.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Minaccia con Arma: Quando la Gravità Esclude la “Tenuità del Fatto”

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati contro la persona: una minaccia con arma è una condotta di per sé grave, tale da escludere l’applicazione della causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto”. Questa decisione chiarisce i limiti di applicabilità dell’art. 131-bis del codice penale, sottolineando come la modalità dell’azione possa essere determinante per la valutazione del disvalore penale del reato.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo, sia in primo grado che in appello, per il reato di minaccia aggravata dall’uso di una pistola. L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali:

1. Erronea esclusione della tenuità del fatto: Secondo la difesa, i giudici di merito avrebbero negato l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. basandosi unicamente sull’uso dell’arma, senza considerare altri elementi favorevoli come la non abitualità della condotta, il contesto di una lite patrimoniale e l’esiguità del danno.
2. Mancanza di motivazione: Il ricorrente lamentava una carenza di motivazione sia riguardo all’entità del risarcimento del danno liquidato in favore della parte civile (€ 4.000), sia sulla determinazione della pena, ritenuta immotivatamente superiore al minimo edittale.

La Questione Giuridica: Minaccia con Arma e Valutazione della Gravità

Il fulcro della controversia legale risiede nella possibilità di considerare un episodio di minaccia con arma come un fatto di “particolare tenuità”. La giurisprudenza, e in particolare le Sezioni Unite con la sentenza ‘Tushaj’, ha stabilito che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che abbraccia sia le modalità della condotta sia l’esiguità del danno o del pericolo.

La difesa sosteneva la necessità di un’analisi complessiva, ma la Cassazione ha seguito un orientamento più rigoroso, incentrato sulla gravità intrinseca di specifiche modalità di azione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, fornendo una chiara analisi su tutti i punti sollevati.

La Gravità Intrinseca della Minaccia con Arma

Il primo motivo di ricorso è stato respinto con fermezza. La Corte ha affermato che una condotta minacciosa commessa utilizzando una pistola è “intrinsecamente connotata da gravità”. L’esibizione di un’arma, anche se finta, a salve o scarica, è un comportamento idoneo a incutere un timore profondo nella vittima, realizzando così il delitto di minaccia grave.

Citando i principi delle Sezioni Unite, la Corte ha specificato che per negare la causa di non punibilità è sufficiente la valutazione negativa anche di uno solo degli elementi previsti dalla norma, come le modalità della condotta. In questo caso, la gravità del fatto, commesso mediante l’uso di un’arma, costituisce un “elemento ostativo” che da solo preclude l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. Non è quindi necessario che il giudice proceda alla disamina di tutti gli altri elementi potenzialmente favorevoli all’imputato.

La Liquidazione del Danno e la “Doppia Conforme”

Anche il secondo motivo è stato rigettato. Riguardo alla liquidazione del danno, la Cassazione ha ricordato che, in presenza di una “doppia conforme” (quando la sentenza d’appello conferma quella di primo grado), le motivazioni dei due giudizi si integrano. Il giudice di primo grado aveva liquidato il solo danno morale in via equitativa, una procedura corretta per danni non patrimoniali che, per loro natura, sfuggono a una precisa determinazione matematica. La motivazione, basata sui fatti e sul percorso logico seguito, è stata ritenuta adeguata e non censurabile in sede di legittimità.

La Determinazione della Pena

Infine, per quanto riguarda la pena inflitta, la Corte ha osservato che, essendo stata determinata all’interno della “media edittale”, non necessitava di una specifica e dettagliata argomentazione. La sua giustificazione può essere desunta dalla valutazione complessiva del fatto, inclusa la decisione di negare la causa di non punibilità.

Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio: l’utilizzo di un’arma in un contesto minatorio qualifica il fatto come grave, escludendolo a priori dal perimetro della “particolare tenuità del fatto”. La decisione sottolinea che la modalità dell’azione criminale può avere un peso preponderante nella valutazione complessiva del reato, superando altri fattori potenzialmente attenuanti. Questo orientamento offre un chiaro monito sulla percezione giuridica della violenza e dell’intimidazione, ribadendo che certi comportamenti non possono trovare spazio in istituti premiali pensati per offese di minima entità.

L’uso di una pistola, anche se finta o a salve, per minacciare una persona costituisce un’aggravante?
Sì, la sentenza conferma che l’esibizione di qualsiasi oggetto che abbia l’apparenza di un’arma produce un effetto intimidatorio maggiore, integrando così l’aggravante del delitto di minaccia grave.

È possibile ottenere la non punibilità per “particolare tenuità del fatto” in caso di minaccia con arma?
No, la sentenza stabilisce che una condotta minacciosa commessa con un’arma è intrinsecamente grave. Questa gravità è un elemento ostativo che, anche da solo, impedisce l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).

Il giudice deve motivare in modo dettagliato la quantificazione del danno morale?
No, per la liquidazione del danno morale, che ha natura non patrimoniale, il giudice può procedere in via equitativa. La motivazione è considerata sufficiente se indica i fatti materiali e il percorso logico seguito per arrivare a una determinata somma, senza la necessità di esporre calcoli analitici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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