Minaccia con arma giocattolo: quando è reato grave e non serve la querela
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di minaccia con arma giocattolo, chiarendo due aspetti fondamentali: la validità della minaccia anche se comunicata tramite un intermediario e la sua procedibilità d’ufficio quando l’arma, pur essendo finta, appare vera. Questa decisione sottolinea come, ai fini legali, l’apparenza e l’effetto intimidatorio prevalgano sulla natura reale dell’oggetto utilizzato.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dal ricorso presentato da un uomo condannato in primo e secondo grado per il reato di minaccia aggravata (art. 612, comma 2, c.p.). La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza iniziale, sostituendo la pena detentiva con una pecuniaria di 15.000,00 Euro.
L’imputato ha basato il suo ricorso in Cassazione su due motivi principali:
1. La minaccia non era diretta: Sosteneva che la minaccia, pur essendo stata proferita, era stata rivolta a una persona diversa dal destinatario finale, che avrebbe dovuto semplicemente riferirla. Secondo la difesa, questo interrompeva l’effetto intimidatorio diretto.
2. Mancanza della querela: La difesa eccepiva il difetto di querela, ritenendola necessaria per procedere penalmente per il reato di minaccia.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo entrambi i motivi manifestamente infondati. Di conseguenza, ha confermato la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni della difesa, fornendo chiarimenti importanti sulla configurazione del reato di minaccia aggravata.
La minaccia indiretta è pienamente efficace
Sul primo punto, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: non è necessario che le espressioni intimidatorie siano pronunciate direttamente in presenza della vittima. Il reato si configura anche quando la persona offesa ne viene a conoscenza tramite altri (il cosiddetto nuncius o messaggero), a patto che dal contesto emerga la chiara volontà dell’agente di produrre un effetto intimidatorio. Nel caso specifico, l’imputato, minacciando con un’arma giocattolo priva di tappo rosso, aveva gravemente intimorito sia l’intermediario sia il destinatario finale.
La minaccia con arma giocattolo e la procedibilità d’ufficio
Il secondo motivo di ricorso è stato respinto con ancora più fermezza. La Corte ha spiegato che il reato di minaccia grave, come previsto dall’art. 612, comma 2, c.p., che rinvia all’art. 339 c.p., è procedibile d’ufficio. Ciò significa che non è necessaria la querela della persona offesa per avviare l’azione penale.
L’aggravante scatta quando la minaccia è commessa con l’uso di un’arma. La Corte ha precisato che un’arma giocattolo, se privata del tappo rosso o se il tappo viene occultato (anche solo temporaneamente), rientra a pieno titolo in questa categoria. Ciò che conta non è la reale capacità offensiva dell’oggetto, ma la sua apparenza estrinseca e la conseguente capacità di intimidire la vittima. Se l’arma giocattolo appare come un’arma vera, l’aggravante sussiste. È la visibilità del tappo rosso, e non la sua mera esistenza, a escludere l’aggravante.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre due lezioni pratiche di grande rilevanza:
1. La forma della minaccia è irrilevante: Minacciare qualcuno tramite un amico, un parente o un messaggero non attenua la gravità del reato. Se l’intento intimidatorio è chiaro, il reato sussiste in pieno.
2. Un’arma finta può avere conseguenze reali: L’uso di una minaccia con arma giocattolo senza tappo rosso visibile trasforma il reato da procedibile a querela a procedibile d’ufficio. La legge punisce l’effetto psicologico sulla vittima, che percepisce un pericolo reale. Pertanto, chi utilizza un’arma finta in modo da farla sembrare vera commette un reato grave, perseguibile dalle autorità senza bisogno di una denuncia formale da parte della vittima.
Una minaccia è valida anche se non è rivolta direttamente alla vittima?
Sì. Secondo la Corte, non è necessario che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della vittima. Il reato si configura anche se la vittima ne viene a conoscenza tramite una terza persona (intermediario o ‘nuncius’), purché sia chiara l’intenzione dell’agente di produrre un effetto intimidatorio.
Quando una minaccia con arma giocattolo è considerata aggravata?
Una minaccia è aggravata quando viene compiuta con un’arma giocattolo il cui tappo rosso non è visibile, perché occultato o rimosso. In questi casi, ciò che rileva è l’apparenza estrinseca dell’arma, ovvero la sua capacità di sembrare vera e di incutere timore, a prescindere dalla sua reale inoffensività.
Per il reato di minaccia aggravata con arma giocattolo è necessaria la querela della persona offesa?
No. La minaccia grave commessa con l’uso di un’arma (anche giocattolo, se appare vera) è un reato procedibile d’ufficio. Questo significa che le autorità possono perseguire il colpevole autonomamente, senza che sia necessaria una formale querela da parte della vittima.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45165 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45165 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MOLFETTA il 27/11/1964
avverso la sentenza del 12/01/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
che NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bari in data 12 gennaio 2024, che ha parzialmente riformato la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti per il delitto di cui all’art.612, comma 2, cod. pen., sostituend alla pena detentiva irrogatagli in primo grado la corrispondente pena pecuniaria di Euro 15.000,00 (fatto commesso in Molfetta il 6 agosto 2016);
che l’atto di impugnativa consta di due motivi;
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il primo motivo, con il quale si deduce il vizio di motivazione sul rilievo che il sogget cui le minacce erano state rivolte era diverso da colui che ne era l’effettivo destinatario, manifestamente infondato, posto che la Corte territoriale, attenendosi all’insegnamento al riguardo impartito dalla giurisprudenza di legittimità, ha evidenziato come, ai fini del configurabilità del delitto di minaccia, non è necessario che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della persona offesa, potendo quest’ultima venirne a conoscenza anche attraverso altri, in un contesto dal quale possa desumersi la volontà dell’agente di produrre l’effetto intimidatorio (Sez. 5, n. 38387 del 01/03/2017, Rv. 271202) (vedasi pagg. 1 e 2 della sentenza impugnata), di modo che è corretta in diritto e non manifestamente illogica la motivazione censurata nella parte in cui ha dato atto di come l’imputato minacciando con un’arma giocattolo priva di tappo rosso la persona incaricata di riferire ad altri del proposi intimidatorio dell’agente avesse intimorito gravemente sia il nuncius che il destinatario finale effettivo;
che il secondo motivo, che eccepisce il difetto di querela, è manifestamente infondato, posto che, in ragione del rinvio all’art. 339 cod. pen. operato dall’art. 612, comma 2, cod. pen., risul procedibile d’ufficio il reato di minaccia grave commesso con l’uso di un’arma, ancorché giocattolo con tappo rosso non visibile ;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13 novembre 2024
Il consigliere estensore
Il Presidente