Minaccia Aggravata: Prescrizione e Onere di Motivazione del Giudice
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha annullato una condanna per minaccia aggravata, non per l’infondatezza dell’accusa, ma per l’estinzione del reato dovuta alla prescrizione. Questo caso offre uno spunto fondamentale sull’importanza della motivazione delle sentenze, specialmente quando si tratta di valutare la sussistenza di un’aggravante.
I Fatti del Processo
Un imputato veniva condannato in primo grado e in appello per il delitto di minaccia aggravata. La difesa, non soddisfatta della decisione della Corte d’Appello, proponeva ricorso per Cassazione. Il motivo principale del ricorso si concentrava su un presunto vizio di motivazione: secondo il ricorrente, i giudici di merito non avevano adeguatamente giustificato perché le minacce proferite dovessero essere considerate ‘gravi’ ai sensi dell’art. 612, secondo comma, del codice penale.
In particolare, la difesa sosteneva che la Corte d’Appello si fosse limitata a una valutazione generica e illogica, senza approfondire l’effettiva portata intimidatoria delle parole dell’imputato e il reale turbamento psicologico causato alle persone offese.
La Decisione della Cassazione sulla Minaccia Aggravata
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso non manifestamente infondato, accogliendo, in linea di principio, le censure relative al difetto di motivazione. Tuttavia, prima di poter analizzare nel dettaglio la questione, i giudici hanno dovuto prendere atto di un fatto dirimente: il decorso del tempo.
Il Vizio di Motivazione sull’Aggravante
La Corte ha ribadito un principio consolidato in giurisprudenza: per configurare il reato di minaccia aggravata, non basta il tenore letterale delle espressioni usate. È necessario che il giudice accerti l’entità del turbamento psichico concretamente provocato nella vittima. Questa valutazione deve tenere conto non solo delle parole proferite, ma anche del contesto in cui si inseriscono e del complessivo agire dell’imputato.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello, pur menzionando il comportamento intimidatorio dell’imputato, non aveva fatto esplicito riferimento all’entità del turbamento delle vittime. Questa omissione costituiva un vizio di motivazione, poiché impediva di comprendere appieno le ragioni per cui la minaccia era stata qualificata come ‘grave’.
L’Intervento della Prescrizione
Nonostante la fondatezza del motivo di ricorso, la Corte non ha potuto disporre un nuovo processo. I giudici hanno infatti rilevato che il termine massimo di prescrizione del reato, pari a sette anni e sei mesi (considerando anche le interruzioni), era già scaduto. Il reato era stato commesso il 28 dicembre 2015 e la prescrizione era maturata il 28 giugno 2023.
Di fronte a una causa di estinzione del reato, il giudice è obbligato a dichiararla immediatamente, prevalendo su qualsiasi altra valutazione di merito, a meno che non emerga con evidenza l’innocenza dell’imputato. In questo caso, non essendo emersa una prova evidente di innocenza, la Corte ha dovuto applicare la prescrizione.
Le Motivazioni della Corte
La motivazione della sentenza della Cassazione si articola su due livelli. In primo luogo, riconosce la validità delle doglianze del ricorrente sul piano del diritto, sottolineando che una motivazione sull’aggravante della minaccia grave non può essere generica ma deve analizzare specificamente l’impatto psicologico sulla persona offesa. In secondo luogo, la Corte applica il principio procedurale secondo cui la declaratoria di una causa di estinzione del reato, come la prescrizione, ha la precedenza. Pertanto, pur rilevando il difetto nella sentenza impugnata, la Cassazione non ha potuto fare altro che annullarla senza rinvio, dichiarando il reato estinto.
Conclusioni: L’Importanza di una Motivazione Completa
Questa sentenza evidenzia due aspetti cruciali del nostro sistema penale. Da un lato, conferma che la qualificazione di una minaccia aggravata richiede un’analisi rigorosa e dettagliata da parte del giudice, che deve spiegare perché la condotta dell’imputato abbia generato un turbamento psicologico di particolare entità. Una motivazione superficiale può portare all’annullamento della sentenza. Dall’altro lato, il caso dimostra come la durata dei processi possa incidere sull’esito della giustizia, portando all’estinzione del reato per prescrizione anche quando le accuse potrebbero essere fondate.
Cosa serve per configurare il reato di minaccia aggravata secondo la Cassazione?
Per configurare il reato di minaccia grave, non è sufficiente il tenore delle espressioni verbali, ma è necessario accertare l’entità del turbamento psichico determinato dall’atto intimidatorio sul soggetto passivo, valutando anche il contesto in cui le espressioni si collocano.
Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in questo caso?
La Corte ha annullato la sentenza perché il reato si è estinto per prescrizione. Il tempo massimo previsto dalla legge per perseguire il reato (sette anni e sei mesi, incluse le interruzioni) era trascorso prima che si giungesse a una sentenza definitiva.
Quale difetto è stato riscontrato nella sentenza della Corte d’Appello?
Il difetto riscontrato era un vizio di motivazione. La Corte d’Appello non aveva argomentato in modo compiuto sulla sussistenza dell’ipotesi aggravata, omettendo di fare esplicito riferimento all’entità del turbamento psicologico delle persone offese, elemento necessario per qualificare la minaccia come ‘grave’.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12384 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 7 Num. 12384 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/11/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 15 novembre 2022 la Corte di appello di Firenze ha confermato la condanna di NOME per il delitto aggravato di minaccia.
Avverso la pronuncia è stato presentato ricorso per cassazione nell’interesse dell’imputato, articolando un unico motivo (di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.), con il quale son stati prospettati la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza quantomeno dell’aggravante di cui all’art. 612, comma 2, cod. pen., profilo quest’ultimo in ordine al quale – nonostante le censure prospettate con l’atto di appello e quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità – la Corte di merito avrebbe reso una motivazione generica e illogica.
Deve, pertanto, rilevarsi che il 28 giugno 2023 è spirato il termine di prescrizione del reato (commesso il 28 dicembre 2015), pari a sette anni e sei mesi (tenendo conto dell’interruzione e non constando sospensioni: cfr. artt. 157 e 161 cod. pen.); e deve disporsi l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
Premesso che – contrariamente a quanto esposto nella sentenza di primo grado – non consta in atti la remissione della querela da parte delle persone offese (avendo NOME COGNOME espressamente escluso la remissione e nulla avendo affermato al riguardo NOME COGNOME; cfr. trascrizione dell’udienza del 5 giugno 2018), non venendo dunque in rilievo il più favorevole regime di procedibilità posto dall’art. 612, ultimo comma, cod. pen. come modificato dal d. Igs. 150/2022, ad avviso del Collegio, è dirimente osservare che il ricorso non è manifestamente infondato nella parte in cui ha dedotto che la Corte di merito non ha argomentato compiutamente sulla sussistenza dell’ipotesi aggravata. Difatti, «ai fini della configurabilità del reato di minaccia grave, ex art. 612, comma secondo, cod. pen., rileva l’entità del turbamento psichico determinato dall’atto intimidatorio sul soggetto passivo, che va accertata avendo riguardo non soltanto al tenore delle espressioni verbali profferite ma anche al contesto nel quale esse si collocano» (Sez. 5, n. 8193 del 14/01/2019, Criscio, Rv. 275889 – 01); e il Giudice distrettuale pur richiamando il complessivo tenore dell’agire dell’imputato, ha affermato che le espressioni dell’imputato sono state tali da intimorire le persone offese ma non ha fatto esplicito riferimento all’entità del loro turbamento di. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 13/12/2023.